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Don Giuseppe Cafà vicario foraneo di Niscemi

Niscemi – E’ don Giuseppe Cafà il nuovo vicario foranero di Niscemi. Un altro sacerdote gelese che verrà nominato dal Vescovo Rosario Gisana su indicazione dei sacerdoti locali. Don Giuseppe, ordinato da 15 anni ha svolto il suo sacerdozio a Gela e da 6 anni è stato nominato parroco a Niscemi dove si è trasferito con i genitori per sovrintendere a tutto tondo alle attività parrocchiali. Entusiasta, estroverso, don Giuseppe ha anche la passione per la musica che esterna nei suoi gruppi parrocchiali. L’anno scorso ha partecipato anche ad un format televisivo dando prova delle sue doti canore.

Il vicario foraneo è il parroco preposto a uno dei distretti ( vicariati foranei ), comprendenti più parrocchie, in cui si può dividere una diocesi; ha un diritto di vigilanza sulle parrocchie a lui sottoposte e sui loro sacerdoti.

Il vicario V. di Cristo (lat. Vicarius Christi) è il titolo che cominciò a essere assunto del papa, con coscienza del significato dottrinario in esso implicito, nella situazione di crisi dei rapporti tra papato e impero nell’età della lotta delle investiture (11°-12° sec.). In virtù della vicaria diretta di Cristo, a differenza di quella mediata contenuta nel titolo di vicarius Petri, il papa veniva a essere superiore a ogni altra potestà in una concezione ecclesiologica che vedeva la potestà terrena sottoposta, ma non ancora affidata, a quella spirituale. Nell’elaborazione teologica e canonistica successiva, da Innocenzo III a Bonifacio VIII, vicarius Christi finì con l’indicare l’attribuzione totale al papa del potere spirituale e di quello temporale.

Nella gerarchia ecclesiastica, il titolo v. apostolico compare verso la fine del 4° sec. per designare un vescovo residenziale, il quale, oltre ai normali poteri ordinari spettantigli per il governo della sua diocesi, è munito dal papa di poteri speciali anche sugli altri vescovi della regione; dagli inizi del 17° sec. si cominciarono a nominare v. apostolici nel senso odierno, cioè vescovi in partibus inviati da Roma, con poteri uguali a quelli di un vescovo residenziale, ad amministrare un territorio non ancora eretto in diocesi. V. delegato è l’ecclesiastico incaricato di rappresentare la persona del v. apostolico o del prefetto apostolico o del superiore ecclesiastico di una missione autonoma nell’esercizio della loro giurisdizione. V. foraneo è l’immediato collaboratore esecutivo del vescovo in un determinato distretto diocesano composto di più parrocchie (forania, decanato, arcipresbiterato). V. generale è il sacerdote incaricato di rappresentare la persona del vescovo nell’esercizio della sua giurisdizione in tutta la diocesi e di collaborare con lui negli affari amministrativi e disciplinari della diocesi; esercita gli stessi poteri di giurisdizione attribuiti per diritto ordinario al vescovo. V. parrocchiale è il prete che, quando risulta necessario o opportuno, viene affiancato al parroco per un’adeguata cura pastorale della parrocchia, mediante compiti precisi programmati con il parroco e sotto la sua autorità; in caso di parrocchia vacante, finché non viene nominato l’amministratore parrocchiale, il v. assume il governo della parrocchia con tutti gli obblighi inerenti (cann. 541 e 549).

Il cardinale v. è il cardinale che, in nome del papa, vescovo di Roma, regge la diocesi romana con potestà ordinaria vicaria. storia Nei primi secoli dell’Impero romano, vicarius era il funzionario che teneva le veci di un governatore provinciale morto o lontano. Nella riforma dioclezianea dell’Impero il titolo spettò ai capi civili delle diocesi. A partire dal Medioevo, il nome venne dato a molti pubblici uffici, tutti caratterizzati dalla rappresentanza di un’autorità. Cariche come il comes o il podestà avevano obbligatoriamente un v. che ne faceva le veci quando assenti.

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