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L’anniversario. Marco Pantani, la morte 17 anni fa.

La maggior parte delle persone oggi, 14 febbraio, omaggia la figura di San Valentino. Gli amanti dello sport e del grande ciclismo, invece, in questa giornata ricordano dolorosamente il grande ciclista Marco Pantani.

Il 14 febbraio 2004, infatti, il ciclista romagnolo che per anni ha fatto sognare l’Italia intera in sella alla sua bici,  viene ritrovato senza vita in un residence di Rimini a soli 34 anni.

A 17 anni dalla morte (Rimini, 14 febbraio 2004) Marco Pantani resta una figura amatissima ma anche divisiva dello sport e della cronaca italiana. Chi ne ricorda le gesta e la figura appartiene a due grandi partiti. Il primo — senza dubbio maggioritario — sposa senza esitazione la tesi che Marco abbia cominciato a morire psicologicamente nel 1999 quando venne incastrato da un controllo antidoping farlocco al Giro d’Italia e sia poi stato fisicamente eliminato cinque anni dopo in una stanza del Residence Le Rose. Il secondo crede fermamente che Marco sia stato trovato col sangue fuori norma a Madonna di Campiglio perché aveva esagerato con le sostanze dopanti e sia morto di overdose dopo un lungo e devastante percorso di tossicodipendenza. Ristabilire un minimo di verità storica dei fatti può essere utile a entrambi gli schieramenti.

Difficile valutare a posteriori chi era davvero fuoriclasse e chi invece ronzino truccato da cavallo da corsa in un’epoca (1990-2005) in cui il ciclismo è stato stravolto dall’uso di prodotti e metodi dopanti che hanno alterato completamente i valori in campo: tutti i vincitori del Tour de France dal 1996 al 2005 compreso, tranne Pantani, hanno avuto formalmente a che fare col doping. Che Marco Pantani fosse un fuoriclasse lo dimostrano però i test accuratissimi eseguiti su di lui nel settembre 1989 (Marco aveva 19 anni e non era certo «trattato») da Giuseppe Roncucci, uno dei più stimati tecnici a livello dilettantistico. Roncucci lo testò prima di avviarlo verso la Giacobazzi, squadra importante del settore dilettantistico. «Lo feci pedalare su una cyclette speciale per misurarne la “cilindrata”. Dicevano che era un talento, considerati età (19 anni) e peso piuma (56 chili), immaginavo arrivasse poco oltre 300 watt. Mollò a 410: un dato pazzesco. Ripetemmo il test altre sei volte in due anni: stessi risultati. Un fenomeno assoluto». Di valutazioni su atleti di alto livello Roncucci ne fece centinaia: nessuno si avvicinò mai a quei valori.

Pantani era davvero un grande talento?

Mai, con un’importante eccezione, però. Premesso che nel periodo in cui Marco era in attività non esistevano test per smascherare l’Epo e le trasfusioni (che all’epoca dilagavano) e i controlli a sorpresa si facevano solo in gara, Pantani non è mai stato trovato positivo a un controllo antidoping ufficiale a nessuna sostanza all’epoca proibita, come del resto Lance Armstrong. Nel 2013, però, le rianalisi dei campioni di urina scongelati del Tour 1998 vinto dal Pirata, rilevò la presenza di Epo nelle sue urine dopo l’undicesima tappa che vinse, dopo la quindicesima e la sedicesima in cui finì secondo.

Pantani è mai stato trovato positivo a un controllo antidoping?

Sì, molte volte. Il sangue di Pantani è stato un mistero fisiologico e farmacologico per tutta la sua carriera. Tra il 1992 e il 1996, Marco (che gareggiava con la Carrera) frequentava regolarmente assieme a decine di altri atleti lo studio del professor Francesco Conconi, all’Università di Ferrara. Conservati a suo nome o con vari pseudonimi (Panzani, Panti, Ponti, Padovani…) i parametri ematici del romagnolo mostrano oscillazioni impressionanti, fisiologicamente inspiegabili: l’ematocrito passava dal 41-42% al 52-56% con una coincidenza perfetta tra qualità dei risultati ottenuti e valori alti. Quando Pantani viene ricoverato all’Ospedale delle Molinette dopo lo spaventoso incidente alla Milano-Torino 1995, il suo 60,1%, fisiologicamente inspiegabile per i periti, costringe i medici a somministrargli litri di diluente per scongiurare una trombosi e poi due sacche di sangue. Quell’incidente portò Pantani a processo penale anni dopo davanti al tribunale di Forlì per «frode sportiva», con una condanna a tre mesi di reclusione poi annullata in appello. Nella loro perizia Gianmartino Benzi e Adriana Ceci spiegarono che «… globuli rossi, emoglobina e ferritinemia sono assolutamente anomali sia per una persona normale, sia per un atleta di alto livello, sia per lo stesso Pantani». Altre anomalie riguardano ovviamente il controllo di Madonna di Campiglio e il fatto che l’atleta si muovesse sempre con una centrifuga portatile per il controllo dell’ematocrito

Pantani è mai stato coinvolto in inchieste giudiziarie?

Sì. A cominciare dal celebre «processo Conconi» in cui i dati dei suoi parametri sanguigni conservati nei file dell’università di Ferrara erano tra i più anomali in assoluto e passando poi per il processo di Forlì (incidente alla Milano-Torino) approdando a quello di Trento successivo alla sua espulsione dal Giro d’Italia del 1999 a Madonna di Campiglio. Il possesso di sostanze proibite gli venne attribuito (ma mai provato in via giudiziaria) dopo il blitz dei Nas alla tappa di Sanremo (la 17ma) del Giro d’Italia del 2001: a processo penale per uso di insulina andò il suo massaggiatore, lui rimediò una sospensione sportiva di alcuni mesi.

Pantani è mai stato «coperto» dalle autorità sportive?

Sì, in un caso anche dalle massime autorità sportive. Accadde nella primavera del 2000, quando, benché Pantani fosse devastato fisicamente e psicologicamente dall’episodio di Madonna di Campiglio, la federazione volle a tutti i costi portarlo ai Giochi di Sidney, su un tracciato per nulla adatto alle sue caratteristiche. Come tutti i candidati ai Giochi, Pantani venne visitato al centro di preparazione olimpica del Coni di Roma. Visti i risultati degli esami del sangue effettuati nel ritiro della nazionale, il professor Pasquale Bellotti, all’epoca membro della Commissione Scientifica del Coni, scrive alla federazione ciclistica e ai suoi superiori comunicando che «il quadro ematologico di Pantani, verificato ieri a Salice Terme, è estremamente preoccupante. Il regolamento attuale non ci consente di bloccarlo, ma tre dei cinque parametri sono fortemente alterati e pongono a rischio la sua salute». Pantani aveva ematocrito al 49% e ferritina da malato: 1.019 ng/mL. La federazione rispose affermando che l’atleta aveva superato tutti i controlli antidoping. Il Coni, risentito, invitò con decisione Bellotti a occuparsi di altro. E Pantani andò a Sidney tornando più depresso di prima.

Qualcuno l’ha davvero incastrato a Madonna di Campiglio?

Due ore dopo il «fatale controllo» che fece espellere Pantani dal Giro del 1999 per ematocrito alto, a Madonna di Campiglio piombarono i Nas e la Guardia di Finanza. Tutto il materiale utilizzato per i test venne sequestrato ed analizzato con cura e costituì elemento probante nel processo sul caso che si aprì a Trento: parlare di controlli non professionali e caotici è profondamente scorretto. Interrogato dagli inquirenti, il medico di Pantani (incredibilmente assente durante il controllo), Roberto Rempi, ammise che l’atleta si controllava da solo il sangue, che l’ematocrito la sera prima era altissimo (tra 48 e 49) e Marco fuori controllo dal punto di vista sanitario. Sui campioni di Campiglio ci fu un’accurata e documentata perizia dell’Università di Parma: il Dna del sangue era di Pantani, il diluente nella provetta non ebbe effetto sul risultato mentre «l’assunzione esogena di eritropoietina artificiale» spiegava «virtualmente i parametri modificati nel campione di sangue 11.440». I medici responsabili del controllo erano professionisti ospedalieri che — a dispetto di accuse infamanti durate anni — non avevano alcun legame con Pantani o soggetti esterni. Il processo (dove Pantani fu assolto come sempre perchè il doping fino al 2001 non era reato) arrivò a una conclusione lineare: Pantani venne espulso per ematocrito alto perché aveva l’ematocrito alto a causa di un uso massiccio di Epo. Nessuno ha mai dimostrato il contrario.

Qualcuno ha davvero ucciso Marco Pantani?

Decine di udienze, migliaia di pagine di atti investigativi non hanno portato a nessuna prova concreta su un possibile omicidio di Marco Pantani la sera 14 febbraio 2004 al Residence Le Rose di Rimini. Mancano prima di tutto il movente e poi gli elementi fattuali per affermare che Marco sia stato assassinato e non morto di overdose. Pantani era in uno stato di dipendenza dalla cocaina avanzatissimo e, grazie alla sua disponibilità economica, rappresentava il cliente perfetto per qualunque spacciatore: ucciderlo non avrebbe avuto senso. L’idea che questo possa essere stato tramite ingestione forzata di cocaina non ha riscontri giudiziari nella storia del crimine mentre il corpo non presentava nessun tipo di ferita o trauma alternativo all’overdose.

Qualcuno ha inquinato le prove della scena del crimine?

Possibile. Possibile che Pantani non fosse solo nella stanza del residence, anche se è probabile che un eventuale spacciatore abbia lasciato la struttura diverse ore prima della morte, visto che la stanza è stata trovata bloccata dall’interno. Evidente dalle immagini girate dalla polizia giudiziaria che sulla scena c’erano troppe persone che non avevano nulla a che fare col caso, ma dalla stanza non mancava nessun oggetto personale. Possibile poi che il «caso Pantani» sia stato trattato con una certa superficialità investigativa, come la morte, di routine, di un povero tossico: indagini più accurate avrebbero sgombrato il campo da equivoci.

Le numerose controinchieste hanno svelato dettagli inediti?

Gli elementi di chi non crede alla tesi dell’overdose/suicidio sono da anni sempre gli stessi e riportati in centinaia di documenti: l’estremo stato di disordine della stanza che farebbe pensare a una colluttazione, generici ricatti del mondo dello spaccio o della prostituzione, la presenza al residence di persone che Pantani non avrebbe dovuto vedere. Molte delle tesi sono smontabili facilmente: in diversi libri si sostiene ad esempio che la struttura del residence sarebbe stata rapidamente demolita e ricostruita per cancellare le prove dell’omicidio. Il residence fu semplicemente rinnovato e la stanza dov’è morto Pantani mantiene tuttora la sua struttura originale.

Esiste una documentazione «imparziale» sul caso Pantani?

Non semplice trovare tra decine di libri appassionatamente «partigiani» dei racconti obbiettivi sulla tragedia di Marco Pantani. Due vanno segnalati. L’eccellente, accuratissimo «The Death of Marco Pantani» del cronista inglese Matt Rendell (tradotto in numerose lingue, non in italiano) e «Delitto Pantani» del giornalista romagnolo di giudiziaria Andrea Rossini, attualmente edito da Nda.(Corsera)

 

 

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