Economia

No! Non avremo il deposito di scorie nucleari in casa, non così in fretta, non così facilmente

Di Dalila Di Dio

Da ieri, è partita la corsa a stracciarsi le vesti per l’imminente arrivo di scorie nucleari, ennesimo oltraggio al meridione, in alcuni comuni siciliani.

Posto che questo materiale esiste e da qualche parte dovrà essere stoccato, prima di lasciare che il vittimismo dilaghi, sarebbe il caso di fare un po’ di chiarezza:

Ancora noi, sempre noi, tutto a noi. 

Falso!!!

Cominciamo a sgomberare il campo: per quanto la Sicilia sia terra martoriata da mille difficoltà, incuria ed un generale disinteresse da parte del Governo centrale, la questione nucleare ci tocca ben poco.
Al 31 dicembre 2017, su un totale di 30.497,3 metri cubi, era il Lazio la Regione con la maggiore quantità di rifiuti, con 9.241 metri cubi, pari al 30,30% del totale. Segue la Lombardia con 5.875 metri cubi (19,26%), il Piemonte (5.101 metri cubi, 16,73%), l’Emilia Romagna (3.211 metri cubi, 10,53%), la Basilicata (3.150 metri cubi, 10,33%), la Campania (2.913 m3, 9,55%) e infine la Puglia con 1.007 metri cubi di rifiuti radioattivi (pari al 3,3%). (Il Sole 24 ore)

Vogliono stoccare le scorie nucleari in Sicilia!
Falso o, quantomeno, impreciso.

Il documento pubblicato ieri elenca una serie di siti, 67, individuati secondo parametri fissati dal D. Lgs. 31/2010 e classificati in fasce: 12 con candidature molto solide, poi 11 zone ad alto interesse ed, infine, quelle meno papabili, tra cui alcuni comuni siciliani (per una volta, essere fanalino di coda non è poi così male!).
Per capirci, le aree predilette sono in Piemonte – 2 in provincia di Torino, 5 in provincia di Alessandria) e nel Lazio (5 siti in provincia di Viterbo)
In uno di questi 67 siti sorgerà il deposito nazionale.

Ma cosa sta succedendo, esattamente?

Il 15 febbraio 2010 – sì, quasi 11 anni fa – vedeva la luce il D. Lgs. N. 31 recante, tra l’altro, disciplina della localizzazione e della realizzazione dei sistemi di stoccaggio di rifiuti radioattivi e combustibile irraggiato.

L’art 27 del decreto prevedeva che ENTRO SEI MESI DALLA DATA DI ENTRATA IN VIGORE (8 marzo 2010) una società incaricata, la Sogin S.p.A. definisse la CNAPI Carta Nazionale delle aree più idonee ad ospitare, con un investimento di 1,5 miliardi di euro, il Parco Tecnologico ed il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, destinato allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e dalla pregressa gestione di impianti nucleari ed all’immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dall’esercizio di impianti nucleari, compresi i rifiuti derivanti dalla pregressa gestione di impianti nucleari.

Tra un golpe finanziario ed un “italiani troppo choosy”, tra una spending review ed uno #staisereno, nel 2015 la CNAPI vedeva la luce e veniva prontamente secretata.

Lo scorso 30 dicembre – “nel pieno di una pandemia” multicit. che va bene su tutto – con il Popolo Italiano intento a capire giorno per giorno la misura della propria libertà, una crisi finanziaria senza precedenti, il bollettino quotidiano dei morti e lo stentato piano vaccinale agli albori, il Governo ha autorizzato Sogin S.p.A. a pubblicare la CNAPI.

Dopo 11 anni dal provvedimento legislativo e dopo 6 anni in cassaforte, nel momento perfetto salta fuori la questione STOCCAGGIO DEI RIFIUTI RADIOATTIVI.

Una questione indispensabile, in questo momento.

Da ieri, data della pubblicazione – avvenuta tempestivamente (lol), proprio come imponeva la norma – sono, dunque, pubblici il progetto preliminare di massima e la documentazione di cui al D.Lgs. (https://www.depositonazionale.it).

Da ieri, le Regioni, gli Enti locali, nonché i soggetti portatori di interessi qualificati, hanno 60 giorni di tempo per formulare osservazioni e proposte tecniche in forma scritta e non anonima, trasmettendole a Sogin S.p.A.

Una procedura partecipata, quindi, cui seguirà un articolato iter, disciplinato dall’art. 27 del D.Lgs. 31, che, con la partecipazione di Ministeri, Regioni, Enti locali, parti sociali, Università ed Enti di ricerca vedrà l’approvazione della Carta e, successivamente, trattative bilaterali tra Sogin, Regioni ed Enti Locali, condurrà all’individuazione del sito con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico.

Una procedura partecipata – partecipatissima, ne siamo certi – all’alba del secondo anno “dopo Covid”, con la terza ondata alle porte, il tessuto economico in ginocchio e con i media intasati dal racconto h24 di Covid e Covid e Covid, con la variante “crisi di Governo” di tanto in tanto.

A pensar male si direbbe che qualcuno abbia voluto creare un piccolo diversivo, a pensar peggio direi che nulla meglio del marasma Covid potrebbe garantire che la faccenda passi in sordina e il Governo possa fare, tanto per cambiare, fare quel cavolo che gli pare.

La domanda, adesso, è una sola: i soggetti a cui la legge attribuisce il potere di incidere sulla scelta, saranno capaci di condurre una battaglia a difesa dei propri territori?

 

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