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Quando l’emergenza fa saltare il piccolo rito del parrucchiere

Siamo in tempi tragici, e forse proprio per questo una debolezza si può confessare: alleggerisce un po’, se la si percepisce come vasta e partecipata come in effetti è. Seppur poco confessata. Perché è brutto (e non è nemmeno serio) lamentarsi di una mancanza frivola, con questa necessità imprescindibile di rimanere isolati che abbiamo ormai introiettato. Ma al cuor non si comanda, e fra le varie chiusure di questi giorni doverosamente segregati in un immaginario, contiano, tinello marron, la più sgradita e scomoda per moltissime donne e non so quanti uomini, è quella dei parrucchieri.

Se è lecito scherzare un po’, per arginare il pensiero continuo della sofferenza che ci sovrasta, parliamo oggi di capelli. I capelli fanno talmente parte della percezione di sè, e sono talmente simbolici del modo di essere di ciascuno, che si pensa di essere visibili agli occhi proprii e altrui, soltanto quando essi sono “in ordine”, cioè come piace a noi. Ci sono persone non professioniste geniali nel ramo, sanno fare tutto da sé, il taglio il colore la pettinatura, ma sono una minoranza. Tutti gli altri hanno bisogno dell’esperto, indipendentemente dalla classe sociale e dai soldi in tasca. Non sarà un caso che nei quartieri più popolosi e popolari si allinei una quantità impressionante di barbieri e parrucchiere/i; è semplicemente il segno che l’esigenza del capello “a posto” è interclassista, appartiene all’essenza delle persone. A molti sembra un esempio calzante quello di Giovanna Botteri, la gloriosa giornalista dei TG3  per anni corrispondente da New York, adesso in Cina, capelli difficili da domare, però da quando vive a Pechino sono anche diventati un po’ verdi, e non si capisce se sia la luce dello studio o soprattutto il suo hair stylist. Gruber? Ma non vedete che da quando è cominciata la quarantena medio-stretta anche lei non ha più in testa una piega così armaniana come il suo impeccabile vestire continua a denunciare? Avranno chiuso le porte anche i parrucchieri della 7?

Con questa benedetta chiusura, dicevamo, un pezzo della nostra essenza va a farsi benedire. Non aiutano le frasette perfide che girano su Whatsapp: «Alla fine della quarantena sapremo quante bionde naturali esistono veramente», oppure quell’altra anche peggiore, con la foto di una signora con baffi evidenti e sopracciglia in libertà (hanno chiuso anche gli istituti di bellezza), e capelli scompigliatissimi con sotto la scritta: «le donne dopo il 3 aprile».

Saremmo disposti a pagare la nostra mascherina e quella della shampista e anche del coiffeur, se fosse concesso o se solo se ne trovasse una: troppo spesso ormai ci si accorge che ce l’hanno in tanti ma a noi il farmacista dice solo e sempre «Non ne ho». Ci viene in mente una volta in più che nel governo ci sono troppo poche donne, e forse quella sera dell’emissione dell’editto, con Conte, non ce n’era nemmeno una al tavolo, perché avrebbe alzato il ditino e obiettato: «Il parrucchiere è un servizio essenziale». Le cose sarebbero andate forse diversamente, e non saremmo qui a pensare «Ho bisogno del taglio», «ho la crescita» e soprattutto, purtroppo: «non so farmi la messa in piega». Chissà come finiremo. Forse anche per questo si dice in giro che dopo questa quarantena non saremo più gli stessi.

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