Archeologia e storia del territorio gelese

Vite, complicate, dei medaglieri. Il furto di monete al museo di Gela e il loro parziale recupero .

DI GIUSEPPE BRUGIONI

La notte del 17 Gennaio del 1973 ,individui armati, almeno quattro secondo le fonti dell’epoca, fecero irruzione all’interno del museo archeologico di Gela e dopo aver immobilizzato i due custodi, sotto la minaccia delle armi, si fecero aprire la porta blindata del medagliere, una volta penetrati all’interno forzarono le vetrine e trafugarono quasi tutta la collezione numismatica del museo. Le prime notizie riportavano di un migliaio circa di monete rubate, in prevalenza d’argento, con l’aggiunta di altri coni in bronzo e di un ripostiglio di monete in oro del V secolo d.C., il valore delle monete rubate venne valutato in un miliardo di lire dell’epoca. Allo sgomento, alla rabbia, all’inizio delle prime attività di indagine e alle interrogazioni in parlamento, seguirono polemiche sulle responsabilità nelle istituzioni, a pagare nell’immediato, nel computo delle punizioni poi, sarà forse l`unica ad aver subito conseguenze, fu la direttrice del museo a cui venne revocato l’incarico. Prima di raccontare le vicende che portarono al recupero delle monete, va detto da ora che non tutte vennero recuperate, occorre dare una descrizione , limitatamente ai ripostigli monetali più importanti che lo componevano , del medagliere del museo prima del furto.

Notizie precise si possono ricavare dalle pubblicazioni dell’archeologo Pietro Griffo. Il nucleo principale era composto da diversi ripostigli monetali recuperati in città , nel territorio e in altri siti della provincia di Caltanissetta. L’elenco e la descrizione di alcuni di questi ripostigli è fondamentale per lo svolgimento del racconto circa le vicende che porteranno al recupero delle monete e alla composizione del medagliere del museo allo stato attuale, che in seguito tratteremo. Nell’esposizione, grande spazio aveva il tesoro di monete in argento dall’area dell’ex scalo ferroviario, da Via Fiume per l’esattezza. In origine composto da più di 1100 unità , il tesoro, rinvenuto fortuitamente durante dei lavori, venne disperso; solo l’intervento delle autorità permise il recupero di una consistente parte delle monete che lo componevano ed al museo ne pervennero 870.

Le monete, tutte in argento, erano ripartite in tetradrammi di Siracusa, Atene, Acanto ( Grecia del nord), Reggio, Zancle e da didrammi della zecca di Gela ed Akragas .Questo tesoro monetale, qualche anno prima del furto, venne studiato dal Professore G.Kenneth Jenkins, e pubblicato nella sua opera monografica ,dedicata alla monetazione di Gela, “The coniage of Gela ” , nel 1970.

Lo studioso scoprì che all’interno del ripostiglio monetale , ricordiamolo in un primo momento disperso dagli occasionali scopritori, si era inserito un esiguo numero, 22, di monete false e di monete riferibili a contesti diversi , durante i sequestri non si fa discriminazione dei materiali , quindi e facile che tra le monete di via Fiume siano finite monete non pertinenti. Dell’esposizione faceva parte un altro gruppo di 46 monete , anch’esse in argento ed appartenenti in origine ad un ripostiglio molto più consistente. Tra le monete spiccavano 14 esemplari di decadrammi siracusani riferibili a Euainetos, il resto era composto da tetradrammi e didrammi di varie zecche siceliote ,di Atene e Reggio.

Come detto, in origine le monete contenute in questo ripostiglio dovevano essere molte di più , esse vennero disperse subito dopo il ritrovamento avvenuto nel 1948. L’archeologo Pietro Griffo riferisce che ai tempi le voci del rinvenimento circolarono subito , in particolare quella che il numero dei decadrammi contenuti nel ripostiglio era davvero elevato. Le 46 monete pervenute al museo da questo contesto, furono recuperate in diversi sequestri eseguiti nei confronti di quattro gioiellieri di Catania . Le informazioni raccolte dagli inquirenti portarono ad individuare nella figura di un trafficante gelese di antichità il responsabile della dispersione del tesoro nel mercato antiquario. Ad un tesoretto monetale rinvenuto in contrada Mangiova, al confine tra il territorio di Gela e Butera, sono riferibili 36 monete in oro del V secolo d.C, riferibili in massima parte all’impero romano d’oriente, è sempre l’archeologo Pietro Griffo che fa un breve racconto in una sua pubblicazione. Il tesoretto ,anche in questo caso , in origine era più consistente, al momento della consegna alla soprintendenza, conteneva 41 monete .Il proprietario del fondo in cui venne rinvenuto , appellandosi alle leggi del tempo ,reclamo ed ottenne una parte delle monete , cinque per l’esattezza. Le vetrine del medagliere ospitavano pure un tesoretto bronzeo composto da 33 denari di epoca repubblicana proveniente da Manfria. Anche in questo caso, si sospetta che in origine le monete facessero parte di un tesoretto più consistente. Un altro importante tesoro di monete in argento esposto nel medagliere proveniva dalla parte nord della provincia di Caltanissetta, da S.Caterina Villarmosa per l’esattezza. Al suo interno erano contenute 55 monete greche di varie città siceliote, di Atene e di Reggio, risalenti alla fine del VI e inizi del V secolo a.C. Come per i casi precedenti, anche questo gruppo di monete pervenne alla soprintendenza e poi al museo ,grazie ad un sequestro e presumibilmente in origine doveva contenere molti più esemplari. Dopo aver descritto a grandi linee e sommariamente le collezioni contenute nel medagliere , torniamo alle vicende successive al furto. Le indagini per individuare gli autori della rapina al museo e per recuperare le monete ebbero un’improvvisa svolta qualche mese dopo il furto. In Svizzera, a Lugano, la polizia elvetica arrestò due gelesi trovati in possesso di un gran numero di monete antiche, gli stessi pare fossero in procinto di venderle. L’analisi delle monete sequestrate, 152 in tutto, rivelò che si trattava in larga parte delle monete rubate al museo, in seguito infatti, si scoprì che tra di esse figuravano pure dei falsi. Le autorità italiane fecero richiesta di estradizione alle autorità elvetiche, estradizione che ottennero poco tempo dopo, intanto erano stati eseguiti arresti di soggetti sospettati di avere collegamenti con i due arrestati a Lugano. A questo punto, gli inquirenti avevano l’opportunità di seguire una traccia ben definita e si faceva sempre più reale e vicina la risoluzione del caso; a poca distanza di tempo infatti, venne eseguito un nuovo sequestro e vennero arrestate altre persone. In un’appartamento di Firenze vennero trovate 20 monete antiche in argento, insieme ad altro materiale di interesse archeologico.

I reperti erano nella disponibilità di due uomini, uno di essi gelese, che vennero immediatamente arrestati. Si scoprì che anche questo piccolo gruppo di monete erano provento del furto al museo. La caccia per individuare tutti i soggetti coinvolti nel furto e nella dispersione delle monete si fece più serrata e non tardarono ad arrivare altri risultati. In occasione del sequestro di 16 monete , fatto a Napoli, venne individuato un’esemplare in oro di V secolo d.C riconducibile al furto. Si trattava con molta probabilità di una delle monete del tesoretto di Mangiova. Da questo sequestro ne scaturì un altro, sempre a Napoli, molto più consistente del precedente, 900 monete antiche, tra cui molte provenienti dal furto al museo.I tre recuperi crearono ad un certo punto un paradosso: le monete restituite al museo ,o alla soprintendenza di Agrigento , erano ,nonostante ne mancassero ancora molte all’appello, in numero molto superiore a quelle trafugate. Anni dopo, intorno alla metà degli anni ottanta, a Chicago, negli Stati Uniti ,venne recuperata e restituita alle autorità italiane un’altra grossa quantità di monete , 573 per la precisione.

Le monete fecero ritorno in Italia quindi, ma non tornarono nel museo di Gela, vennero conservate in deposito, insieme al resto del medagliere in precedenza trasferito, presso il museo archeologico di Agrigento. Le monete vennero restituite al museo di Gela solo nel 1997, ma non venne subito creato uno spazio che potesse ospitare il medagliere, l’esposizione si limitò ad una selezione di poche monete del ripostiglio monetale di via Fiume in un’apposita vetrina.

Solo nel 2001 nel museo al medagliere tornò ad essere assegnato un intero settore del percorso espositivo. Erano passati quasi trent’anni dal furto prima che il medagliere tornasse ad essere fruibile alla visita del pubblico, ma in cosa differiva la nuova esposizione da quella precedente al furto? Delle 848 monete, segnalate come appartenenti al ripostiglio dal Jenkins, del tesoro di via Fiume, ne sono state recuperate solo 530 e sono tutte esposte nelle vetrine che compongono il corpo centrale del medagliere, settore appositamente pensato per ospitare proprio le monete di questo contesto. Al lato del corpo centrale, in una vetrina a muro, è esposto un piccolo nucleo di monete in oro ,otto (?), riferibili con molta probabilità al tesoretto di Mangiova, in origine presente nel museo con 36 esemplari. Del tesoro di S.Caterina Villarmosa non vi è traccia nell’attuale esposizione. Il tesoretto bronzeo di denari romani di epoca repubblicana da Manfria, sembra non essere esposto,ma su questo punto torneremo in seguito. Non vi è traccia pure del gruppo delle 46 monete ritrovate a Gela nel 1948 , gruppo al cui interno spiccavano i 14 decadrammi siracusani. Spiegare queste mancanze non è affatto facile ,spesso non ci sono o non sono facilmente disponibili pubblicazioni e documenti a riguardo. Nel tentativo di delineare i contorni della storia delle monete mancanti nelle vetrine del nuovo medagliere si dovrà necessariamente formulare solo ipotesi e congetture .La mancata esposizione del tesoro di S.Caterina Villarmosa ,un tempo al museo di Gela, si spiega facilmente: il tesoro è indicato nelle collezioni del medagliere del museo di Agrigento (P.Griffo- Il Museo archeologico regionale di Agrigento- 1987). Il tesoretto di Mangiova, presente come detto con pochi esemplari ,lascia spazio a più di una congettura. L’esposizione limitata ad un numero ridotto di monete rispetto alla composizione originaria è da attribuire al fatto che non è stato possibile recuperarlo per intero dopo il furto? Il recupero ha riguardato tutte le monete del tesoretto e l’esposizione parziale è da ricondurre solo a dei criteri di scelta? Sciogliere questi dubbi è di fondamentale importanza. Se prendiamo per buona la versione delle monete non recuperate nella loro totalità, farebbe bene la direzione del museo di Gela a contattare la soprintendenza archeologica della città metropolitana di Torino. A questo ente è stato affidato in custodia un gruppo di monete in oro .Le monete tutte in buono stato di conservazione ,sono riferibili tutte alla stessa epoca, il V secolo d.C. . da una sommaria descrizione non differiscono molto dalle monete del museo. Gli aurei, cosi come riporta l’edizione del 2017 del catalogo dell’attività operativa del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, proviene verosimilmente dalla Sicilia. Il sequestro venne effettuato nei confronti di una casa d’ aste torinese. Le indagini successive al sequestro, permisero l’individuazione dei venditori, nonostante il possesso delle monete fosse stato ricondotto ad un’eredità , mancava qualsiasi tipo di certificazione che attestasse il possesso di oggetti di interesse storico-archeologico . Restando sempre e rigorosamente nel campo delle congetture e tenendo buona che la versione che non tutte le monete siano state recuperate, le coincidenze sono cosi strabilianti da giustificare un controllo e una verifica . Alle complicate vicende del tesoretto di Mangiova vanno aggiunte quelle delle 33 monete che componevano il tesoretto di denari romani di epoca repubblicana proveniente da Manfria. Le pubblicazioni che hanno accompagnato la ricollocazione del medagliere al museo di Gela non fanno accenno a questo tesoretto. Il fatto che in alcune di esse, viene erroneamente riportata la data del furto al 1976 e non al 1973. obbliga a valutare con attenzione il resto dei dati forniti in questi contributi scientifici. In una pubblicazione in particolare, L.Sole in Compte Rendu, 61, del 2014 , si indica il numero dei conii romani di epoca repubblicana conservati nel monetiere in 60 unità, 15 delle quali in esposizione. Nessun accenno al tesoretto di Manfria. La presenza del tesoretto nel medagliere , in pubblicazioni così specifiche difficilmente può essere ignorata, visto anche l’esiguo numero di monete riferibili a questo periodo all’interno del monetiere. La consultazione di una pubblicazione del Professore Giacomo Manganaro , “Cinque ripostigli di denari repubblicani e la seconda rivolta servile in Sicilia ” in -Revue Belge de Numismatique et de Sigillographie – 2007 , complica maggiormente le cose . Lo studioso afferma di aver preso in esame le monete di Manfria nel 1968, presso il museo archeologico di Agrigento. La ragione della presenza di queste monete ad Agrigento è sconosciuta, forse da attribuire a ragioni di studio e restauro? Si è trattato di un trasferimento temporaneo? C’è da chiedersi se all’epoca del furto, le monete fossero rientrate a Gela. Per concludere con le monete mancanti nel medagliere, rimane da prendere in esame i 14 decadrammi siracusani e le altre 32 monete provenienti da un ripostiglio monetale in origine molto più consistente di numero. Di questo tesoro monetale non si hanno notizie da tempo, se fosse stato trafugato e mai recuperato se ne troverebbe traccia negli archivi disponibili in rete riguardanti le opere d’arte più importanti trafugate e da recuperare. Le pubblicazioni in cui vengono citate queste monete, a meno che non ve ne siano altre, che per scarsa abilità e fortuna non sono state individuate dallo scrivente, risalgono agli anni cinquanta , così come un video girato a Gela dall`Istituto Luce in occasione dell’inaugurazione del museo, in cui, in una ripresa appaiono proprio i nostri decadrammi insieme alle altre monete. Scrivere sul medagliere del museo di Gela e sulle vicende che lo hanno riguardato, e ancora lo riguardano, non è stata cosa semplice, anche se riguardo ai vari temi trattati, il corredo di informazioni sarebbe dovuto e potuto essere più ampio. L’augurio più sincero è quello di aver sprecato tempo ed energie e soprattutto di essersi sbagliati su tutto, o quasi, e che tutti questi materiali siano in realtà nelle disponibilità del nostro museo archeologico. Sarebbe una grande soddisfazione sapere di aver contribuito a fare chiarezza, ad aver stimolato nuove ricerche e perché no, ad eventuali recuperi, validamente motivati ,se ci saranno. In mezzo a tutte queste congetture e a tutti gli ipotetici scenari, l’intenzione e genuinamente orientata a non lavorare solo di fantasia, in mezzo a tutto ciò dicevamo, emerge la certezza , non proprio gratificante , che il museo di Gela, fin dalla sua istituzione, non è servito a fermare il dirottamento di reperti gelesi e del territorio in altre sedi. L’esempio del ripostiglio di monete in argento di IV secolo a.C, rinvenuto a Capo Soprano, composto da 89 pezzi, che andò ad incrementare le raccolte del medagliere del museo Paolo Orsi di Siracusa nel 1955 ( Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica- 1962-64 – Maria Teresa Curro’ Pisano’- ” La consistenza del medagliere di Siracusa per quanto riguarda la monetazione greco-siceliota ” ),cioè mentre si studiava come organizzazione i contenuti del nascente museo di Gela , è emblematico. Il museo di Gela è interessato al momento da lavori di ampliamento e ammodernamento, i trasferimenti in passato si sono quasi esclusivamente concentrati in circostanze come questa , speriamo che questa volta vada diversamente e che il concetto di ammodernamento non corrisponda solo all’installazione di lampade di ultima generazione o si limiti al cambio dell’arredo, già questo sarebbe una fortuna viene da dire , ma punti sull’integrazione delle collezioni già esistenti anche attraverso il recupero di quanto negli anni è stato sottratto al museo e alla città.

 

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