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A scuola e sui mezzi pubblici: così il coronavirus si trasmette per via aerea negli spazi chiusi. La ventilazione ha un ruolo cruciale per ridurre i rischi e sui mezzi pubblici c’è

Perché si sta parlando molto si trasmissione vie aerosol?
Covid-19 non è contagioso come il morbillo ma si stanno moltiplicando studi e varie prove che confermano come la trasmissione del nuovo coronavirus avvenga non solo attraverso i droplets (goccioline pesanti che a causa di una dimensione maggiore, precipitano a terra per forza di gravità entro i due metri) ma anche attraverso minuscole goccioline (aerosol) esalate dalle persone infette quando tossiscono o starnutiscono ma soprattutto quando parlano, cantano, gridano, respirano. Inoltre studi recenti suggeriscono che gli aerosol possono muoversi di diversi metri e riempire una stanza per lunghi periodi mantenendo una carica di infettività elevata. Distanziamento e mascherine difendono dalle goccioline più grandi e sono indispensabili per questa modalità di contagio ma da soli non bastano per contrastare la trasmissione per via aerea.

Quali sono i luoghi in cui si diffonde più facilmente il coronavirus?
«I luoghi critici sono gli ambienti chiusi di dimensioni ridotte e con limitata ventilazione, soprattutto con un tempo di permanenza elevato» ricorda Giorgio Buonanno, professore ordinario di Fisica tecnica ambientale all’Università degli Studi di Cassino e alla Queensland University of Technology di Brisbane (Australia). Si è visto infatti in numerosi studi in tutto il mondo che Sars-CoV-2 si diffonde soprattutto in quegli ambienti chiusi dove si riuniscono molte persone: matrimoni, chiese, palestre, ristoranti, mezzi pubblici, cori, bar, mattatoi, carceri, feste soprattutto quando si parla ad alta voce o si canta senza mascherina.

Che cosa può succedere con la stagione fredda?

Ora che si va incontro alla stagione invernale i rischi di contagio, anche per via aerea aumentano (proprio come con l’influenza e gli altri virus respiratori) perché si trascorre più tempo al chiuso e la concentrazione di particelle infettive aumenta senza la presenza di un’adeguata ventilazione. È ipotizzabile che la scorsa estate in Italia la diffusione del virus, dopo l’effetto del lungo lockdown, sia rallentata sia per il maggior tempo trascorso all’aria aperta che per la maggiore ventilazione negli ambienti chiusi con le finestre aperte. In questo modo la modalità di trasmissione per via aerea è stata arginata.

Che cosa si intende per ventilazione?
In un’aula scolastica di medie dimensioni è possibile ricambiare completamente l’aria aprendo le finestre (areazione) in 10-20 minuti ma con la stagione fredda non è sempre fattibile. L’ideale sarebbe agire con impianti di ventilazione meccanica controllata: nel caso di ricircolo è consigliato l’utilizzo di filtri HEPA. Quando la ventilazione meccanica non è attuabile perché richiede importanti lavori di ristrutturazione si può pensare a purificatori d’aria portatili che possono essere spostati in vari ambienti.

Tutti gli infetti trasmettono allo stesso modo?
Secondo le stime di un numero sempre maggiore di studi gran parte delle persone infette potrebbe non contagiare nessuno. Uno studio di Hong Kong in cui sono stati tracciati i contatti è emerso che il 20% dei casi era responsabile dell’80% della trasmissione. Un’ altra ampia ricerca pubblicata su Science ha concluso che il 70% dei casi non era responsabile di nessun contagio mentre solo l’8% dei pazienti è risultato collegato al 60% delle nuove infezioni osservate evidenziando così il ruolo importante dei superdiffusori nella propagazione dell’epidemia . Già all’inizio della pandemia la ricerca aveva dimostrato che tra il 10 e il 20 per cento delle persone infette sono responsabili dell’80% della diffusione del coronavirus. Il problema è che un «superspreader» non è in alcun modo riconoscibile ma se si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato darà origine a focolai importanti. Quel che si può fare è evitare che si verifichino «eventi superdiffusori», cioé tutte quelle attività che facilitano la diffusione del contagio.

Che cosa succede se in uno spazio chiuso come un’aula scolastica c’è un positivo?
I rischi aumentano quando è il docente a essere infetto perché parla più a lungo e ad alta voce per essere ascoltato, quindi emette 100 volte di più rispetto alla normale respirazione. Un potenziale alunno malato a confronto parla molto sporadicamente ed è decisamente meno pericoloso. Se in una classe di 150 metri cubi 25 studenti passassero 5 ore con un docente malato che spiega per due ore, senza prendere nessuna misura di precauzione contro gli aerosol, potrebbero contagiarsi fino a 12 studenti. Ogni singolo individuo avrebbe la possibilità di infettarsi pari al 15%. «Per avere un R0 accettabile, cioé inferiore a 1 in quella stanza potrebbero stare solo due studenti» spiega Buonanno.

Si può ridurre il rischio di contagio per via aerea in classe?
L’Università di Cassino ha pubblicato un tool per la stima del rischio di contagio per trasmissione aerea di Sars-CoV2 in ambienti chiusi. «Se tutti indossassero le mascherine si potrebbero contagiare al massimo 7 studenti (5 in meno della situazione base) e in quella stanza, sempre per avere un R0 inferiore a 1 potrebbero rimanere 3 persone mentre il rischio individuale di contagio si dimezzerebbe. Con la ventilazione forzata (un ricambio totale d’aria ogni 20 minuti) rischierebbero il contagio solo 4 persone e per abbassare l’R0 sotto 1 in quelle condizioni potrebbero restare in classe 5 persone. A scuola fa ancora meglio della ventilazione forzata dotare i docenti di un microfono (così non sarebbero costretti a parlare ad alta voce): solo 1,4 persone rischierebbero il contagio e in quella stanza potrebbero restare 9 persone (con rischio individuale di infezione pari al 2,7%). Se mettiamo insieme tutti i dispositivi: mascherine, ventilazione forzata, microfono il numero massimo di persone contagiate in presenza di un insegnante infettivo scenderebbe drasticamente a 0,4 (meno di un contagio) e in quella stanza potrebbero soggiornare fino a 30 studenti mantenendo comunque un R0 inferiore a 1: solamente con tutte queste precauzioni si potrebbe controllare adeguatamente l’indice R0 mantenendolo al di sotto di 1.

È possibile stimare il rischio anche su un autobus?
A bordo di un autobus urbano, con 80 passeggeri, un ricambio d’aria all’ora (sui mezzi i ricambi d’aria sono in verità ancora più elevati), un tempo di permanenza di 30 minuti e soggetti in piedi che parlano, in presenza di un passeggero infetto si potrebbero contagiare al massimo 2 persone. Per abbassare R0 sotto 1 su quell’autobus potrebbero salire 54 persone. Indossando le mascherine il problema si abbatte: potrebbero essere contagiate al massimo 0,7 persone e il bus potrebbe ospitare fino a 107 passeggeri tenendo comunque R0 sotto 1. Può aiutare anche l’incremento della ventilazione forzata con un ricambio d’aria ogni 10 minuti: il risultato è simile a quello ottenuto indossando le mascherine. Se si adottano tutte le misure insieme il numero massimo di persone contagiate sarà 0,4 e a bordo potrebbero salire fino a 193 passeggeri. «I mezzi pubblici, a differenza da quello che si possa credere, non sono luoghi particolarmente rischiosi per la trasmissione via aerosol nel caso di tempi di esposizione contenuti» chiarisce Buonanno. Ma con i tassi di incidenza così elevati di questi giorni è facile che a bordo di un mezzo pubblico possa salire più di un individuo infetto, in tal caso i rischi raddoppiano e triplicano.

Distanziamento e mascherine allora non bastano?
«Distanziamento e mascherine sono una condizione necessaria (soprattutto per difendersi dai droplets, le goccioline più grandi e dal contagio a breve distanza) ma non sono sufficienti per il contagio per via aerea negli ambienti chiusi. Sappiamo oggi stimare le condizioni di ventilazione, affollamento e tempi di esposizione negli ambienti chiusi per gestire al meglio il rischio contagio ».

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