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No Green pass: i visionari ascoltati in piazza e criticati sui social

Gela – Saverio Di Blasi, il visionario; quello che nel 2000, mentre 10 mila persone scendevano in piazza per chiedere la riapertura del petrolchimico chiuso per il pet-coke invocava la chiusura. Poi l’Eni ha chiuso i battenti. Lillo La Mantia, un altro idealista che ha speso la sua vita per contrastare quelle che ritiene ingiustizie sociali. Vogliono portare a Gela un nuovo organismo sociale fondato nazionale da Lillo Massimilano Musso. Perseguono un’idea che contrasta lo Stato, quella contraria ai Green pass e all’idea del vaccino, lo stesso green pass richiesto ai cittadini per entrare sedersi al bar ma non ai deputati per entrare a Montecitorio. Hanno organizzato una manifestazione di piazza alla quale ha partecipato poca gente, ma loro sono rimasti soddisfatti, anche quei pochi hanno ascoltato. Si comincia così. La Mantia ha lanciato una idea provocatoria: si mette a disposizione da non vaccinato per farsi ricoverare per 72 insieme ad un medico vaccinato. “Sono disponibile a sottopormi ad una sperimentazione per 72 ore ed essere ricoverato presso ad un qualunque centro Covid d’Italia insieme ad un medico che afferma che da vaccinato vanta di non essere contagiato e verificare sul campo se una delle due parti rischia meno dell’altra visto che i medici sostengono che avendo avuto la doppia somministrazione la malattia attecchisce in maniera più blanda. Io sostengo che qualunque malessere si presenta lentamente nell’organismo e se curato in maniera appropriata non porta ad alcuna conseguenza letale, contrariamente ai messaggi che vengono diffusi e che hanno fatto terrorismo mediatico”. Alla manifestazione erano presenti rappresentanti del gruppo del fondatore di Forza del Popolo , avv, Musso. “Abbiamo girato l’Italia – ha detto Di Blasi – e c’è una forza nuova che si rende conto di cosa sta accadendo. Svegliatevi.

La Danimarca ha abolito tutte le restrizioni COVID. Non una o due. Tutte. A partire dal 1 ottobre, non ci sarà più alcun obbligo di portare le mascherine nè tantomeno di esibire prova di essere stati sottoposti al vaccino sperimentale del COVID. Questa notizia è estremamente importante perchè la Danimarca è stata uno dei primi Paesi nell’Europa Occidentale a portare avanti la società totalitaria agognata da Davos. Questa decisione di rimuovere tutte le restrizioni e tornare alla normalità significa con ogni probabilità una sola cosa. La Danimarca si sta tirando indietro. La Danimarca non vuole più portare avanti il Grande Reset. La cabala continua a subire sconfitte pesantissime”. Noi abbiamo realizzato delle interviste che però sono state bloccate, per non parlare dei commenti feroci dei gelesi in calce alla diretta facebook. La strada è in salita…

Ecco il manifesto di Forza del Popolo,  un laboratorio democratico che persegue il miglioramento delle condizioni umane, sociali ed economiche, attraverso la progressiva destrutturazione del “potere dello stato” e la contestuale ricostruzione del sistema istituzionale in “organi a servizio del cittadino”. Capisaldi del movimento sono la riaffermazione del primato della coscienza personale, della sovranità popolare e della sovranità monetaria, il federalismo nazionale e l’autonomia dei Comuni, la concezione universalistica dei diritti dell’Uomo e il diritto di autodeterminazione dei popoli.

01 – LEGITTIMITÀ DEL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO

Già nel XVI secolo1 fu affermato il diritto del popolo di ribellarsi nel caso in cui l’istituzione che detiene il potere fosse divenuta sua nemica.

Per il britannico John Locke, “Contro la tirannia come contro ogni potere politico che ecceda ai suoi limiti e ponga l’arbitrio al posto della legge, il popolo ha il diritto di ricorrere alla resistenza attiva e alla forza. In questo caso la resistenza non è ribellione perché è piuttosto la resistenza contro la ribellione dei governanti alla legge e alla natura stessa della società civile. Il popolo diventa giudice dei governanti e in qualche modo si appella allo stesso giudizio di Dio2.

Concetto analogo è stato affermato dallo statunitense Henry David Thoreau nel libello “disobbedienza civile“: “Tutti gli uomini riconoscono il diritto alla rivoluzione, quindi il diritto di rifiutare l’obbedienza e d’opporre resistenza al governo, quando la sua tirannia o la sua inefficienza siano grandi ed intollerabili“.

Il russo Lev Tolstoj dal canto suo ammoniva: “Vero che noi non siamo responsabili dei misfatti dei governanti, ma siamo responsabili dei nostri misfatti, e quelli commessi dai nostri governanti divengono nostri se, sapendo che sono misfatti, noi partecipiamo al loro compimento“.

Non si può negare che l’odierno sistema politico-istituzionale italiano, oltre la coltre della sua apparente democraticità, stia devastando intere fasce della popolazione ed abbia abbandonato i cittadini in preda a potenti organizzazioni private transanazionali.

I governi e le classi dirigenti oggidì si appoggiano non sul diritto, neanche sopra una parvenza di giustizia, ma sopra una organizzazione così ingegnosa, grazie ai progressi della scienza, che tutti gli uomini sono presi in un cerchio di violenza dal quale non hanno alcuna possibilità di uscire3.

Contro un simile stato, sia come “stato delle cose” che come “Stato politico”, Forza del Popolo intende reagire energicamente.

Forza del Popolo s’interroga da tempo su cos’altro debba subire il popolo affinché reagisca, fin dove possano spingersi i segni dello sfacelo affinché il popolo si desti e si riappropri del proprio destino.

A tale interrogativo non segue alcuna risposta temeraria, poiché il movimento non attende né guerre né totalitarismi affinché abbia luogo una ri-Costituente democratica, cioè la ricostruzione dalle fondamenta della Repubblica italiana.

Una ricostruzione resa necessaria dal collasso della democrazia, naufragata tra le onde di una – a tratti – indecifrabile dittatura soft, costruita silenziosamente all’interno delle maglie democratiche, i cui frutti di fame e di miseria sono simili a quelli di un conflitto bellico che si perpetua da decenni.

I partiti tradizionali hanno perduto la loro ragione d’essere e appaiono più dei comitati d’affari che centri di mediazione e di potenziamento della rappresentanza della sovranità popolare.

Per il francese Georges Sorel, teorico del sindacalismo rivoluzionario, “Uomini d’affari e politicanti non sanno niente della produzione, e tuttavia si ingegnano per imporsi ad essa, mal dirigerla e sfruttarla senza il minimo scrupolo: ritengono che il mondo rigurgiti di ricchezze abbastanza perché si possa comodamente derubarlo, senza sollevare troppo gli strepiti dei produttori; tosare il contribuente senza che questi si rivolti: ecco l’arte del grande uomo di Stato e del grande uomo d’affari. Hanno una scienza tutta particolare per fare approvare le loro furfanterie dalle assemblee deliberanti; il regime parlamentare è truccato allo stesso modo delle riunioni di azionisti. Probabilmente è per via delle affinità psicologiche, derivanti da questi modi di operare, che gli uni e gli altri si intendono in maniera tanto perfetta: la democrazia è il paese della cuccagna sognato da uomini d’affari privi di scrupoli4. Sono passati più di cent’anni da quando Sorel descriveva la “sua” realtà, che è anche ed ancora la “nostra”. Sono passati cent’anni ed esattamente non è cambiato niente. Noi di Forza del Popolo non ci arrendiamo, non fuggiamo alla ricerca della libertà, ma vinceremo per la nostra libertà.

Forza del Popolo, quindi, alla “critica dello stato” affianca l’idea rivoluzionaria di ricostruzione dello Stato dalle sue fondamenta. Perciò, la vocazione di Forza del Popolo è eminentemente rivoluzionaria, per come appresso spiegato.

02 – PAROLA CHIAVE: RIVOLUZIONE

Nei suoi propositi Forza del Popolo si ispira agli ideali del socialismo cristiano, con misurata apertura alla cultura liberale. Forza del Popolo si oppone ad ogni forma di liberalismo selvaggio, di imperialismo militare, di dittatura finanziaria, di colonizzazione e di sfruttamento dei popoli.

Il trittico ideologico, sintetizzabile in Forza del Popolo, è costituito dal socialismo internazionalista, dal cristianesimo universale e dalla cultura liberale vocata al bene comune, nella convinzione che ognuna delle tre “ideologie”, in cui si insinuano radicalismi di ogni genere, possegga un proprio rispettivo nucleo di verità simmetrico e complementare rispetto alle altre. Del resto, la sintesi delle tre culture è l’humus ideologico su cui è sorta la Costituzione italiana. Ciò rende Forza del Popolo l’unica forza politica in Italia che attinge il suo paradigma idealistico direttamente dalla Costituzione, in specie dalla parte in cui sono riconosciuti i diritti fondamentali degli individui e delle aggregazioni sociali, pur anelando ad una riforma della stessa Costituzione nella parte che legittima i poteri dello Stato a scapito dell’effettiva sovranità popolare.

Per raggiungere l’obiettivo manifesto di rendere concreta l’attuazione della prima parte della Costituzione, Forza del Popolo si impegna per la radicale riforma dei poteri dello Stato e delle strutture burocratiche, nella consapevolezza di dovere attrarre a sé l’impegno di larghissimi settori della società italiana e del pubblico impiego. Pertanto, Forza del Popolo come movimento rivoluzionario è a vocazione maggioritaria ed è inclusiva nei suoi percorsi anche di differenti sensibilità politiche, in vista di obiettivi comuni.

Nessuna ragione di dissenso antica o recente – scriveva il socialista liberale Carlo Rosselli – può essere tanto grave da giustificare l’eternarsi della divisione, nessun vantaggio derivante da una pretesa maggiore chiarezza e compattezza ideologica può superare l’immenso vantaggio derivante dall’unione delle forze e degli sforzi di tutti“; ciò è tanto più vero in questa grave ora del Paese che richiede compattezza per la risalita dal baratro morale, politico e culturale in cui è piombata l’Italia. La crisi economica, infatti, è figlia dell’abbandono della sintesi delle tre dette ideologie e della pubblica moralità.

Forza del Popolo è un movimento essenzialmente rivoluzionario spinge per una rivoluzione pacifica e non violenta. Il richiamo alla “forza”, contenuto nel nome del movimento, non va inteso nel senso di violenza, ma, come in Georges Sorel, quale elemento di contrapposizione al pacifismo sentimentale e al compromesso strisciante; quindi, quale richiamo alla qualità più vera del popolo italiano, capace di schiacciare la testa alla tirannia del potere.

Con le parole del francese Pierre-Joseph Proudhon, Forza del Popolo propugna “una rivoluzione integrale nelle idee e nei cuori” al fine di sostituire l’attuale sistema politico con un’applicazione più nobile della prima parte della Costituzione italiana, con un sistema più elevato, privo di privilegi e guarentigie, improntato ai valori di onestà, correttezza, sincerità, bontà, solidarietà e, parallelamente, procedendo all’integrale revisione degli assetti politico-istituzionali del Paese. Forza del Popolo intende delegittimare le attuali cariche del potere attraverso gli strumenti democratici a disposizione, prima tra tutte la libertà di comunicare il presente manifesto politico, lanciando apertamente la sfida al “sistema”, rivolgendoci alle masse, per contribuire alla crescita della coscienza sociale e della cultura politica e per l’affermazione dei diritti fondamentali della persona.

Forza del Popolo afferma la dignità dell’individuo, della famiglia, dei comuni, delle regioni e dello stato. Quindi, è una forza che riconosce l’indispensabilità dello Stato e degli enti per la tutela concreta della dignità dell’individuo e della famiglia.

Per la Legge astratta e generale, il rapporto tra la “persona” e lo “stato” dovrebbe estrinsecarsi nella logica del servizio al cittadino. Tuttavia, è evidente che nella vita quotidiana la “persona” abbia perso la sua identità, mutandosi in “spettatore”, “consumatore”, “utente”, “contribuente”; tutto, fuorché cittadino.

Mentre lo status di cittadino conferisce astrattamente alla persona poteri sovrani, nei casi concreti il cittadino risulta costantemente alla mercé di funzionari pubblici in un rapporto di sudditanza psicologica.

La sottomissione del cittadino al burocrate è il primo profilo sintomatico dell’esercizio arrogante e miserrimo della funzione pubblica, in grado di essere corrotta anche con poco.

La corruzione dilagante in Italia è figlia di questo insano rapporto di potere che lega il funzionario pubblico al cittadino. Il rapporto tra lo stato e il cittadino è e deve essere un rapporto di servizio al cittadino e non di sudditanza verso il Moloch/Stato. Quando lo stato si impone con prepotenza contro la volontà popolare, lo stato non è più Stato, perché lo Stato è strumentale alla libera espressione dell’essere umano, al riconoscimento della sua dignità, alla tutela dei più deboli. Per la tutela della persona lo Stato eroga servizi, con eserciti di dipendenti pubblici pagati per instaurare con il cittadino un rapporto di servizio. Per tale funzione, lo Stato attinge le risorse dal cittadino. Forza del Popolo intende affermare questo principio concretamente in modo tale che l’impiego pubblico si liberi dai condizionamenti politici e recuperi nella sua totalità la bellezza di un quotidiano impiego al servizio dei cittadini.

03 – RIVOLUZIONE DEL POTERE IN SERVIZIO

Forza del Popolo non condivide la tripartizione sostanziale dei poteri dello Stato in cui si è annidata concettualmente la legittimazione dell’idea che vi sia superiorità del potere statale a scapito delle libertà individuali e della concreta tutela della dignità umana.

Dai tre poteri, intesi come poteri arbitrari e irresponsabili, sono sorte le tre caste che tengono sotto scacco il popolo. La commistione, spesso, con la criminalità organizzata, con le massonerie o con l’antimafia di facciata, ha reso molte flaccide mosche forti come calabroni.

Forza del Popolo, aderendo sul piano costituzionale al principio formale della tripartizione delle funzioni dello stato, contesta la manifestazione sostanziale attuale del “potere” dello stato, caratterizzato da continue e sempre più gravi degenerazioni di un potere abile a preservare se stesso, senza conseguire l’obiettivo posto alla radice della sua funzione, anzi costituendo esso stesso causa di molti mali.

Responsabilità sono da imputare ad una buona parte di magistratura per avere consentito al malaffare, alla corruzione e alla criminalità di fiorire all’ombra delle leggi e per avere rallentato l’opera di verità e di giustizia di moltissimi magistrati impegnati in prima linea, a rischio della propria stessa vita.

La magistratura non di rado è sfociata nell’arbitrio, nell’irragionevolezza, nell’irresponsabilità5.

Il Governo, nella burocrazia ottusa, parassitaria ed ostile, è stato sin qui essenzialmente impegnato a spremere il popolo come un limone, con l‘imposizione forzosa di imposte, tasse e gabelle di ogni genere. Parimenti, per rendere concreti i servizi al cittadino, il Governo ha affidato le entrate pubbliche, sofferta spremitura del popolo, a veri e propri comitati d’affari. Così come “appalti” su scuole, ospedali, mezzi pubblici, autostrade, beni pubblici in genere, sono divenuti l’oggetto delle speculazioni illecite più scandalose della nostra storia, infine determinandosi altissimi costi e servizi inefficienti o fallimentari.

La classe politica, in cui si concretizza la rappresentanza del popolo e il potere legislativo, ha sin qui sguazzato nella corruzione, nell’inganno e nella sopraffazione del popolo, con una produzione legislativa pletorica, lobbistica ed indecifrabile in cui, come sintetizzato da un adagio cinese, “le leggi sono come tele di ragno: le mosche vi si impigliano, i calabroni le attraversano“.

Un sistema di “raccomandazione scientifica ha consentito l’ingresso nei ruoli dello Stato o nelle libere professioni di molte persone inadatte, a scapito spesso delle persone perbene, mentre chi è perbene ha trovato ostacoli alla propria carriera, puntualmente superato da colleghi a cui l’appellativo “perbene” non appartiene. È persino evidente che chi è perbene non fa carriera nella pubblica amministrazione. Addirittura, si percepisce in Italia che vivere onestamente sia inutile, quasi ad essere un limite funzionale.

I parlamentari sono il capolavoro assoluto del sistema, con riti elettorali che hanno ripristinato il carattere elitario della rappresentanza politica, definitivamente sganciata dall’appartenenza ad un dato territorio e dalla reale partecipazione del cittadino alla vita democratica del Paese. Gli “onorevoli” hanno dimenticato sempre più spesso di essere rappresentanti della sovranità popolare, impegnati a godere senza misura dei propri privilegi, decisi dagli stessi parlamentari. In pratica, in Parlamento il goloso e il gelataio coincidono nella stessa persona.

Senza il rapporto di servizio tra lo stato e il cittadino si è manifestato un sistema perfettamente autoreferenziale fondato sul potere.

“Potere” è un termine anticristiano, è un concetto pericoloso in sé stesso e non è meritevole di consacrazione costituzionale.

Del resto, la Costituzione italiana, anzitutto, afferma la più alta dignità del popolo, che viene indicato come popolo sovrano, a cui appartiene la sovranità6. Tale potere sovrano deriva dalla Costituzione, essenzialmente non solo perché è scritto sulla carta, ma perché la medesima Costituzione è stata scritta in nome del popolo, per volere del popolo, con il sangue e la sofferenza del popolo.

Pertanto, il legislatore della Costituzione è ancora vivo, non è mai morto, perché il popolo precede la legge ed è sempre pronto a rovesciare il tavolo e a riscrivere le regole come e quando vuole.

La forza del popolo, in tal senso, è dirompente e non conosce ostacoli.

La forza del popolo è l’unica forma di potere legittima, perché promana dallo stato naturale delle cose, in cui persone libere e uguali si danno delle regole per la pacifica coesistenza, per la solidale collaborazione, per la tutela della persona. La forza del popolo è l’unica forma di potere legittima perché alla radice impedisce che una teoria politica possa riportare ad epoche passate caratterizzate da schiavismo, guerre, divisioni.

La forza del popolo non è da associare soltanto alla ghigliottina, bensì soprattutto alla costruzione di ponti, quindi la forza del popolo va intesa come forza motrice della storia, a volte brutale, altre salvifica, ma sempre secondo un destino non scritto, in cui Forza del Popolo vuole interpretare il suo ruolo dalla parte del popolo ed esserne forza politica organizzata e determinante.

Gesù ha condannato le fondamenta stesse dei sistemi di governo strutturati sulla violenza e sul comando. Gli attuali sistemi politici continuano a fondarsi sulla violenza e sul comando e tengono in schiavitù miliardi di persone, privandole della possibilità di vivere serenamente e costringendole alla mera sopravvivenza fisica ed alla ricerca estenuante e non decorosa dei mezzi di sostentamento.

Ecco perché nel III millennio più che di “potere” o di “poteri” bisogna affermare l’umiltà e lo spirito di servizio nelle funzioni affidate ai dipendenti pubblici; mentalità presente in grandi persone, che hanno dato la vita per il prossimo.

Alla domanda di un giornalista «Ma chi glielo fa fare?», il magistrato siciliano Giovanni Falcone ha risposto, poco prima di morire, “Soltanto lo spirito di servizio“.

Nel Vangelo Gesù esorta al buono spirito di servizio: “i capi delle nazioni dominano su di esse ed i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra di voi: ma colui che vorrà diventare grande tra di voi, si farà vostro servitore, e colui che vorrà essere il primo tra di voi si farà vostro schiavo“.

Un’esortazione concreta, manifestata con la lavanda dei piedi, in cui Gesù dice: “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi“.

Gesù, quindi, ha con autorità eradicato la legittimazione del potere e imposto alla coscienza il dovere del servizio. Per un cristiano tale nuova condizione costituisce una parte della grazia ricevuta con la conversione.

Giovanni Falcone affermava di sé di essere un umile servitore dello Stato mosso soltanto da spirito di servizio. Tuttavia, analogo giudizio del popolo su tanti pezzi dello Stato non può sussistere. Se lo “stato” fosse sempre animato dallo spirito di servizio – e non dal potere – l’immediata conseguenza sarebbe quella dell’obbligo dei funzionari dello Stato di svolgere le proprie funzioni umilmente, lontane dal profilo dei potenti, di persone di potere, bensì come espressione credibile di servitori dello Stato. Non possono e non devono esistere condizioni di potere, bensì devono legittimarsi persone che, in forza di specifiche attribuzioni e in linea con precisi limiti, vengano chiamate a svolgere i servizi che lo Stato deve garantire al popolo sovrano.

La responsabilità del funzionario pubblico, inscindibilmente connessa al controllo del suo operato, deve essere il primo corollario fondamentale del rapporto di servizio tra pubblica funzione e pubblico dipendente.

Parimenti, sul piano della legalità nell’esercizio della funzione pubblica, il sistema sanzionatorio penale, contabile e disciplinare, rivolto a funzionari infedeli e corrotti, deve trovare approdo nella dimensione della responsabilità oggettiva tipicizzata, anche per contrastare l’ormai evidente sistema descritto dal termine “massomafia”.

Oggi, il vero Antistato è sistema parallelo ed illegale che prende possesso delle Istituzioni, possedute, come da demoni, da persone prive di senso morale che piegano la funzione pubblica alla realizzazione del crimine e dell’interesse di parte.

04 – AVANGUARDIA DELL’ANTIPOLITICA: RIVOLUZIONE

Forza del Popolo intende rappresentare la forma più autentica e più alta dell’antipolitica, intesa non già come negazione delle regole che sovrintendono ai meccanismi democratici e di raccolta del consenso, ma, più semplicemente, come movimento di opposizione al potere, affinché esso divenga servizio.

Si distanzia dagli attuali movimenti antipolitici perché ancora fondati sul mito e sulla menzogna. L’assurdità di alcune tesi consiste soprattutto nell’ostinata e petulante invocazione della loro onestà ontologica, della loro diversità, quasi si trattasse di un dato antropologico o scientifico, senza alcuna indicazione programmatica e di contenuto su come raggiungere l’onestà nelle Istituzioni.

Spesso ci si limita a dire “noi siamo diversi, noi siamo onesti” senza spiegare in che modo si intenda porre sotto stretto controllo il “potere”, anche il loro.

Un simile modo di ragionare è puro razzismo, è demagogia manicheista, è la notte della ragione. Si chiede sempre più spesso un atto di fede in una fede altrui, un sostegno ad infallibili qualità morali, senza prurito di spiegare quali garanzie e contromisure abbiano ideato affinché anche loro, o quelli dopo di loro, non caschino nella mala amministrazione, nell’arroganza del potere, nell’arbitrio e nel privilegio, nella forza corruttiva del potere, nella tirannia.

Per Forza del Popolo “nessuna dittatura è migliore d’un’altra, sono tutte da abbattere“. Alcuni movimenti dell’antipolitica conquistano elettori con slogan e campanilismi, tuttavia occorre mettere nell’azione politica cultura politica e universalità, se davvero si vogliono costruire solide basi della comunità.

L’austriaco Karl Popper, liberale, rilevava “La domanda giusta non è “Chi deve comandare”, ma “come controllare chi comanda?” essendo i problemi politici “problemi di struttura legale e non di persone” e le istituzioni migliori sono quelle che consentono ai governati di meglio controllare l’operato dei governanti“.

Recenti movimenti di antipolitica hanno frustrato l’anelito alla rivoluzione.

S‘è creduto l’ape della rivoluzione, e invece non era che la cicala. Possa alla fine, dopo aver avvelenato i cittadini con le sue formule assurde, portare alla causa del proletariato, caduta un giorno per sbaglio nelle sue deboli mani, l’obolo della sua astensione e del suo silenzio7.

05 – CONDIZIONI PER ESSERE “FORZA POPOLARE

Forza del Popolo esige in maniera intransigente l’onestà personale, ma solo come precondizione perché vi si possa operare, non ritenendo, invece, che la sola onestà possa costituire di per sé garanzia di risultati o indice di capacità politica. Un cieco onesto non può guidare. Così, l’incapace onesto non può governare. Occorrono anche vocazione, attitudine, preparazione, spirito di sacrificio, militanza, coerenza, coraggio, spirito di servizio. Doti acquisibili con impegno, con umiltà e con perseveranza.

Tra i principi ispiratori di Forza del Popolo c’è l’onestà, per come insegnata da Gesù: “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e al denaro“.

Pertanto, il militante di Forza del Popolo persegue secondo la propria coscienza il bene comune e mai gli interessi personali o di lobbies.

Il militante di Forza del Popolo non è un guerrafondaio, né un pacifista. È uno che mette in atto ciò che predica e che non considera la violenza come opzione per la risoluzione delle controversie. Solo la legittima difesa e la difesa dei più deboli può giustificare l’uso della commisurata forza.

Il militante di Forza del Popolo, che prende un personale nome di battaglia e viene identificato come “forza popolare” oppure “forzapopolare”, attinge dalle ideologie tutto quanto di buono gli provoca nella coscienza, tutto ciò che gli suscita voglia di vivere nella verità, nella libertà, nella giustizia sociale, nella pace; tutto ciò che, insomma, lo inciti alla vita, alla rivoluzione rispetto ai canoni di morte e di miseria oggi dominanti.

Il socialista liberale Carlo Rosselli, quasi a rivolgersi a noi, scrisse: “Senza il balenio di un ideale supremo che permei nel profondo la sostanza e i fini della lotta attuale, senza una coscienza vivissima e abbagliante del valore dei beni pei quali si combatte, non si crea una temperatura rivoluzionaria“.

La libertà personale e il primato della coscienza sono i valori fondamentali del movimento politico Forza del Popolo. I primi ad essere chiamati alla libertà sono proprio i sostenitori di Forza del Popolo, nonché gli attivisti, militanti e rappresentanti che non saranno mai costretti ad apparire, al pari di quelli che si vedono ormai dappertutto, come dei perfetti scolaretti che ripetono frasi preconfezionate e gradite ai loro capi, che nei talk show seguono pedissequamente le tecniche comunicative loro impartite dai partiti-azienda o dai web-partiti, che si spaventano di farsi intervistare per paura di dire cose poco ortodosse secondo la visione del leader.

Il “forzapopolare” non è un mero “seguace” del movimento, ma è il movimento stesso. Ogni “forzapopolare” deve avere la mente aperta e pensare con la propria testa. Perciò, foss’anche al costo di sbagliare, mai al “forzapopolare” sarà inibito di sentirsi ed essere libero di dire ciò che vuole, perché la sua affermazione sarà comunque il frutto dell’adesione all’ideologia “forzapopolare”, che lo vuole anzitutto libero. Quindi, Forza Popolare desidera, accetta, incentiva e stimola l’eterodossia, ascoltando la voce e le ragioni di tutti.

Per tale ragione, si auspica il rifiorire della passione politica, della partecipazione consapevole ai dibattiti, del ritorno alle piazze gremite di gente e di bandiere sventolate da braccia di cuori che battono e non da braccia di comparse pagate.

Forza del Popolo, come movimento di ideazione politica, deve aggregare classi dirigenti sane, oneste, competenti. Servono intelligenze sui territori, più che scimmie in tv. Per ciò, Forza del Popolo persegue la presenza massiccia sui media, per veicolare i propri contenuti politici, tuttavia avversa fermamente una visione alla Grande Fratello dell’impegno politico, come se tutto si riducesse alle apparizioni televisive o alle estemporanee sui social network.

Forza del Popolo avversa lo slogan fine a se stesso, rappresentando la negazione del pensiero politico e lo strumento più infimo per ingannare le masse. Forza del Popolo rifiuta ogni forma di programmazione neurolinguistica (PNL).

Forza del Popolo costruisce dirigenti, forma classi di teste pensanti, capaci di amministrare i territori e i bisogni delle persone, con concrete iniziative sociali ed economiche.

06 – RITORNO AL FUTURO. RITORNO ALL’IDEOLOGIA

Rispetto ai principi di Forza del Popolo, sono miopi e qualunquisti i pensieri di quanti – letteralmente, idioti – desidererebbero sgomberare il campo dell’intelletto umano dalle ideologie, come se lo Stato si esaurisse nel tecnicismo asettico di amministrare bene i governati, senza alcun valore delle concezioni di destra o di sinistra poste alla base dell’agire politico.

Stolti e ciechi non si accorgono che i fatti sociali devono sempre avere un indirizzo, un orientamento, e comunque, vi saranno sempre tematiche che impongono una scelta ideologica, una precisa idea della vita e del mondo. L’ideologia rappresenta la protensione collettiva e ragionata al futuro.

Chi vuole togliere il futuro e il ragionamento alla collettività può avversare l’ideologia, ma chi vuole costruire con la politica le buone sorti del Paese deve necessariamente sforzarsi un “ritorno al futuro”, cioè un ritorno alla ideologia, alla protensione collettiva e ragionata al futuro.

L’azione politica deve essere sempre preceduta dal pensiero.

Alla distopia del potere va contrapposta l’utopia del popolo.

Va contrastato sempre il dogmatismo liberticida di certe ideologie, ma il sistema di idee (l’ideologia, appunto) è l’unica via in grado di indirizzare le moltitudini sui contenuti politici, affinché il popolo sovrano possa esprimersi consapevolmente nell’urna e determinare la rappresentanza politica che meglio interpreta la volontà popolare.

Le premesse ideologiche, o di spirito, devono venire prima dell’azione, perché ne costituiscono la guida verso gli obiettivi da raggiungere. Altrimenti, si è come ciechi che camminano su un percorso che non li conduce a nessuna meta.

La storia ci insegna che l’ideologia dogmatica e liberticida si è presto asservita al potere, e non al popolo, determinando la nascita dei totalitarismi.

Sul punto, il movimento Forza del Popolo nasce “vaccinato”, nel senso che ha già in sé all’atto della sua costituzione i potenti anticorpi finalizzati ad impedire ogni sorta di totalitarismo e di intolleranza.

Il movimento, infatti, si fonda sulla libertà di coscienza e sull’esatta sintesi tra i principi socialisti, i valori cristiani e la cultura liberale, in cui ognuna delle tre ideologie rappresenta il contraltare dell’altra e fa sì che nessuna di esse abbia possibilità di degenerare dapprima in radicalismo, infine in totalitarismo.

07 – I PRINCIPI DEL MOVIMENTO FORZAPOPOLARE

La più bella definizione di socialismo si trova in Carlo Rosselli: “Il socialismo non è né la socializzazione, né il proletariato al potere e neppure la materiale eguaglianza. Il socialismo, colto nel suo aspetto essenziale, è l’attuazione progressiva della idea di libertà e di giustizia tra gli uomini: idea innata che giace, più o meno sepolta dalle incrostazioni dei secoli, al fondo d’ogni essere umano; sforzo progressivo di assicurare a tutti gli umani una eguale possibilità di vivere la vita che solo è degna di questo nome, sottraendoli alla schiavitù della materia e dei materiali bisogni che oggi ancora domina il maggior numero; possibilità di svolgere liberamente la loro personalità, in una continua lotta di perfezionamento contro gli istinti primitivi e bestiali e contro le corruzioni di una civiltà troppo preda al demonio del successo e del denaro“.

L’anima cristiana di Forza del Popolo contempla con occhi mortali il cielo infinito, alla ricerca di una bussola in ordine alle scelte da compiere: vuole difendere la moralità nel vivere quotidiano, strappare i giovani alla corruzione dei costumi, premiare il merito paziente, garantire la giustizia in ogni circostanza della vita, l’onestà nelle istituzioni, proteggere la dignità dell’essere umano, incoraggiare e difendere la famiglia intesa come società naturale fondata sul matrimonio, la vita sin dal suo concepimento, assicurare ai bambini più protezione di quella di cui oggi godono, anzi rendere l’intera vita sociale a misura di bambino, propugna l’uguaglianza degli uomini e la loro assoluta libertà. Per il cristianesimo, Dio ha dato agli uomini il libero arbitrio e non è giusto che alcuni di essi si arroghino il diritto di toglierlo, privando gli uomini della libertà fisica e di quella morale attraverso la diffusione scientifica dell’ignoranza, vera causa di ogni male.

Forza del Popolo adotta la Dottrina Sociale come sistema ragionato di idee; non ci si riferisce quindi tout court alla religione, bensì al suo nucleo ideologico, apprezzato da un punto di vista sociale e dei rapporti economici.

Nel diciannovesimo secolo lo statunitense Henry David Thoreau rilevava che “Il Nuovo Testamento, anche se forse non ho il diritto di dirlo, è stato scritto da milleottocento anni; eppure, dov’è il legislatore che abbia sufficiente saggezza e capacità pratica da servirsi della luce che esso getta sulla scienza della legislazione?“. Pari considerazione Forza del Popolo rivolge al cristianesimo sociale per la sua teoria economica dall’enorme portata rivoluzionaria.

Va precisato che il movimento forzapopolare è laico, equidistante rispetto a tutte le fedi ed alle “non fedi”, non intendendo per nessuna ragione dare preferenza alcuna ad un credo, giacché – ad esempio – una cosa è ispirarsi al messaggio di Cristo, altra cosa è praticare la disuguaglianza per ragioni di credo religioso, pratica che lo stesso Vangelo censurerebbe imponendo di “non giudicare le cose secondo le apparenze, ma di giudicarle con retto giudizio“.

Il richiamo alla spiritualità potrebbe far pensare che il movimento non sia aperto agli atei e ai non credenti, ma non è così. Forza del Popolo non chiede di affermarsi credenti, cristiani o altro. Il movimento è orientato ai principi cristiani che anche l’ateo o il non credente possono condividere come fondamentali del senso morale universale.

Sia il socialismo sia il cristianesimo hanno come stella polare la difesa dei proletari, intesi non in senso politico-economico, ma in quello esistenziale di oppressi8. Ed, infatti, il vero comune-denominatore delle due ideologie consiste nell’attenzione che entrambe rivolgono a quanti, in un dato momento storico, possono essere considerati gli ultimi.

Per il socialista, lo Stato deve tutelare i poveri, gli ammalati, i carcerati, i lavoratori sfruttati, i precari o alienati, i disoccupati, gli anziani, i bambini, gli orfani, le vedove e tutti coloro che, per ragioni contingenti, hanno le tutele più basse rispetto alla norma.

Per il cristiano, il dovere è di pensare allo Stato avendo davanti a sé coloro a cui Gesù dedicò le beatitudini nel discorso della montagna, e cioè i poveri, gli afflitti, i miti, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace ed i perseguitati a causa della giustizia.

Lev Tolstoj riconosceva questo tratto comune con il socialismo: “Che cosa è il socialismo, se non una protesta contro questa situazione estremamente anormale in cui si trova la maggior parte della popolazione del nostro continente?9“.

Il cuore delle due ideologie consiste esattamente nella tutela di tutte le categorie deboli, tutela che, lungi dal limitarsi alla mera protezione passiva o assistenzialista, deve invece spingere, ove possibile, nel senso dell’emancipazione dal bisogno stesso di tutela, individuando meccanismi tali da rendere forti ed autonomi coloro che per un certo momento sono deboli.

Per il socialista George Orwell: “Se una speranza resta, deve trovarsi fra i proletari, perché solo fra loro, fra quelle masse disprezzate e brulicanti che formano l’85 per cento della popolazione, può nascere la forza capace di distruggere i partiti. … Ma i proletari, se riuscissero in qualche modo a prendere coscienza della loro forza, non avrebbero bisogno di cospirare. Non dovrebbero fare altro che levarsi in piedi e scrollare le spalle, come un cavallo che scuote da sé le mosche. Se volessero, potrebbero fare a pezzi i partiti domani stesso. Lo dovrebbero pur fare, prima o poi.” (da “1984”).

Ed a chi dice che la rivoluzione dei cuori non può far breccia sul popolo, si risponde citando ancora una volta Rosselli: “In verità la massa non è vero sia negata ad ogni appello che faccia leva su motivi non strettamente utilitari. Nella vita di tutti gli uomini, anche i più poveri, anche i più abbrutiti, c’è posto per momenti di riscatto e di catarsi. Nell’ambito familiare questi momenti idealistici tutti li riconoscono: è assurdo negarli nella sfera sociale. La storia di tutti i popoli conosce attimi, sia pure, ma di sublime bellezza, in cui folle intere si apersero ad una visione elevata e disinteressata. … Né alcuno sarà mai indotto ai sacrifici indispensabili di una battaglia rivoluzionaria con la sola molla dell’interesse personale“.

La cultura liberale merita d’essere condivisa solo laddove persegua il bene comune. Dal punto di vista economico, è imprescindibile la voce liberale, perché strenua è la sua critica ad uno Stato accentratore, spremiagrumi e parassitario, forte è il richiamo al valore morale innato attribuito alla libertà di coscienza. La più bella definizione di liberalismo si rinviene sempre in Carlo Rosselli. “Nella sua più semplice espressione il liberalismo può definirsi come quella teoria politica che, partendo dal presupposto della libertà dello spirito umano, dichiara la libertà supremo fine, supremo mezzo, suprema regola della umana convivenza. Fine, in quanto si propone di conseguire un regime di vita associata che assicuri a tutti gli uomini la possibilità di un pieno svolgimento della loro personalità. Mezzo, in quanto reputa che questa libertà non possa essere elargita od imposta, ma debba conquistarsi con duro personale travaglio nel perpetuo fluire delle generazioni. Esso concepisce la libertà non come un dato di natura, ma come divenire, sviluppo. Non si nasce, ma si diventa liberi.

E ci si conserva liberi solo mantenendo attiva e vigilante la coscienza della propria autonomia e costantemente esercitando le proprie libertà. La fede nella libertà è al tempo stesso una dichiarazione di fede nell’uomo, nella sua indefinita perfettibilità, nella sua capacità di autodeterminazione, nel suo innato senso di giustizia. Il liberale veramente tale è tutt’altro che uno scettico. È un credente, anche se combatte ogni affermazione dogmatica; è un ottimista, anche se ha della vita una concezione virile e drammatica“.

08 – IL PRIMATO DELLA COSCIENZA

Forza del Popolo si riassume nella frase di Immanuel Kant, che poi fu scelta come epitaffio della sua tomba in quanto sintesi dell’intera sua filosofia, “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me“: l’essere umano, quindi, è, e deve essere, libero da ogni costrizione esterna, deve avere al di fuori di sé, sopra di sé, soltanto il cielo stellato, mentre le regole di condotta devono provenire da dentro di lui, dalla sua coscienza. Ecco perché per Forza del Popolo il primato è della coscienza e non delle leggi o della politica. Ciò non equivale all’abdicazione della forza pubblica rispetto a fenomeni delinquenziali o criminali, anzi, proprio per preservare il primato della coscienza i reati vanno perseguiti con pene certe e proporzionate. Senza la coscienza si impone il legalismo, cioè la creazione esponenziale di regole prive di supporto morale, strumentale all’assoggettamento delle persone e alla loro riduzione in schiavitù.

La missione di Forza del Popolo è tesa principalmente a questo fine: fare in modo che il sistema politico sia frutto della volontà consapevole dei cittadini, disciplinandone il vivere quotidiano non per imposizione e per costrizione, quanto per una convinta adesione al principio, come presa di coscienza della giustizia insita nel comportamento preteso dallo Stato. La moral suasion, la persuasione morale, deve essere il principale strumento dello Stato per condurre la maggioranza dei cittadini verso l’accettazione cosciente delle regole. Laddove la moral suasion non risultasse sufficiente, gli strumenti coercitivi, sempre sanciti sulla base di espresse volontà popolari, subentrerebbero per rendere concretamente precettiva la norma violata.

Se non si cercherà di raggiungere questo risultato, se quindi il progresso della comunità politica non andrà in questa direzione, non potrà parlarsi di sovranità popolare in senso proprio. Un popolo è sovrano nella misura in cui è alto il suo senso di autodisciplina. Se non si opererà prima sul piano culturale, cercando di far comprendere ad ogni cittadino l’essenza della sua libertà, fino a quando, cioè, le leggi saranno imposte senza che il popolo sovrano le abbia volute convintamente, non si potrà parlare di stato civile e democratico. L’approccio alla volontà popolare deve essere come le moderne pedagogie infantili si muovono con i bambini: non si educa più a furia di sculacciate e rimproveri, ma parlando con voce sommessa e facendo comprendere l’importanza del vivere civile e la ricchezza e la gratificazione che possono derivare dalla convivenza con gli altri, rispettando le regole che il popolo medesimo si è dato10.

09 – UGUAGLIANZA E LIBERTÀ

Sul tema dell’uguaglianza è bello il ragionamento attribuito ad Abramo Lincoln nel film omonimo di Steven Spielberg. Parlando ad un giovane ingegnere, Lincoln affermava: “Sei un ingegnere? Devi conoscere gli assiomi e le nozioni comuni di Euclide. … La prima nozione comune di Euclide dice questo: cose uguali a una stessa cosa, sono uguali tra di loro. E’ una regola di ragionamento matematico, è vera perché è valida. Lo è sempre stata e sempre lo sarà. Nel suo libro Euclide dice che questo è di per sé evidente. Persino in quel libro vecchio di duemila anni sulle leggi della meccanica è verità di per sé stessa evidente che cose uguali a una stessa cosa sono uguali tra di loro. Cominciamo dall’uguaglianza, lì è l’origine, lì è equilibrio, lì è correttezza, lì è giustizia“.

Uguaglianza e libertà sono “cose uguali” alla vita e non può non citarsi una delle massime più belle che siano mai state formulate: “La libertà è il diritto dell’anima di respirare, e se essa non può prendere un respiro lungo, vuol dire che le leggi sono cinte troppo strette. Senza libertà l’uomo è una sincope11“, vale a dire un essere assolutamente privo di coscienza e di consapevolezza.

Uguaglianza e libertà camminano insieme, perché ove la libertà di qualcuno impedisca la libertà dell’altro si spezza l’equilibrio tra uguaglianza e libertà, determinando che qualcuno risulterà più libero di altri. L’implementazione della propria libertà non è riconducibile al bene comune ove comporti la sottrazione di libertà altrui. In tale specifica ottica, Orwell concludeva in Animal Farm che “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri“.

La libertà è un valore innato ed è necessariamente complementare dell’uguaglianza. La libertà “innata”, negata in via di principio da Rosselli, viene annichilita sul nascere proprio dalle diseguaglianze. “Nasciamo uguali, ma l’uguaglianza cessa dopo cinque minuti: dipende dalla ruvidezza del panno in cui siamo avvolti, dal colore della stanza in cui ci mettono, dalla qualità del latte che beviamo e dalla gentilezza della donna che ci prende in braccio12. Quindi, le battaglie contro le diseguaglianze sono in se stesse lotta d’emancipazione per il ripristino della libertà violata. L’ideale politico dell’uguaglianza, non a caso, si traduce sul piano del diritto come riconoscimento concreto di libertà, attraverso pari diritti e pari prerogative innanzi alla legge e alle autorità.

10 – VERITÀ COME VALORE COSTITUZIONALE

La verità è un valore che senz’altro deve essere aggiunto tra quelli su cui deve fondarsi una nazione e desta non poco stupore che non via sia menzione della “verità” nella Costituzione italiana. Eppure, il principio di trasparenza della pubblica amministrazione non è altro che un corollario della verità, della possibilità che i cittadini devono avere di conoscere i documenti pubblici, di esaminarli, di valutarli e di farli annullare ove illegittimi. La verità è, poi, il valore cui tende la giustizia, civile, penale ed amministrativa: quante volte si sente dire ai familiari di vittime di reati di voler conoscere soltanto la verità? In quante circostanze s’è chiesto allo Stato di far verità sulle pagine infamanti che hanno segnato la storia della Repubblica? E non si chiede la verità anche ai mezzi d’informazione, ormai ridotti a scendiletto delle lobbies e del potere? Perché non si consacra la “verità” a diritto fondamentale dell’individuo?

Per il Mahatma Gandhi: “Dio ha tanti nomi, ma se dovessi sceglierne uno sceglierei quello di Verità“, per quanto essa, la verità, sia considerata unanimemente il fondamento di ogni altro valore.

Una delle promesse di Gesù dice: “la verità vi renderà liberi“; quindi lo Stato deve favorire la conoscenza della verità, perché soltanto attraverso di essa il popolo, ed ogni singola persona, può giungere alla libertà. In un altro passo Gesù afferma “Sarete veramente liberi” indirizzando lo scienziato francese Blaise Pascal13 a concludere che quella che generalmente si considera libertà, cioè la libertà politica, “è soltanto una figura di libertà“, una forma esteriore ed apparente, poiché con l’avverbio “veramente” Gesù faceva riferimento ad una dimensione ben più profonda di libertà, cui deve tendere ogni essere umano ed a cui deve tendere anche un intero popolo.

Uno stato che non riconosce la verità come diritto del cittadino e principio ordinamentale primario è una stato fondato sulla menzogna e sul relativismo.

La verità è la prima alleata del popolo nella lotta al potere. Quando Ponzio Pilato sentì Gesù parlare di verità, rispose “quid est veritas?” (“e qual è la verità?“), dando ennesima prova della generale e connaturata ritrosia del potere di fronte alla verità, giacché l’intorbidare la verità, il mistificarla è funzionale al mantenimento del potere. La verità, quindi, è la più grande nemica di ogni dittatura e di ogni autorità. Anche per questo motivo deve inserirsi un espresso ed inequivoco richiamo della verità nella Costituzione.

Certo la realtà sociale è molto complessa e nessuno ha la verità in tasca, tanto che non è facile individuare aprioristicamente i percorsi da seguire, finanche nella collocazione secondo le categorie “destra”, “centro”, “sinistra”.

Forza del Popolo prende le distanze dai partiti, cloache di propaganda menzognera, di servilismo clientelare e di promesse non mantenute.

Non si colloca a destra, ove si vantano facili soluzioni per problemi immensi. Woodie Allen, con la sua comicità, ha stigmatizzato con efficacia simili semplicismi: “In generale un’affermazione della destra è sempre una cattiva notizia, è sempre una faccenda pericolosa. Perché la destra dà risposte molto semplici, dirette a problemi enormi. Ci sono i senzatetto? Che se ne vadano. C’è aumento di criminali? Ripristiniamo la pena di morte. Soluzioni che naturalmente non tentano di capire il perché dei fenomeni a cui vengono applicate. Al momento possono sembrare efficaci, ma fra venti anni sarà peggio e ne faranno le spese le generazioni del futuro che di nuovo si troveranno di fronte problemi gravissimi“.

Forza del Popolo prende le distanze anche dai partiti cosiddetti di sinistra, che hanno mostrato nei decenni barcollamenti in un concetto tempestoso e flessibile di verità, possibilmente manipolabile per raggiungere strategicamente i fini prefissati, secondo la logica de “il fine giustifica i mezzi“. Così la menzogna è divenuta strumento di lotta politica, finanche strumento di governo delle masse, con l’apoteosi in sedicenti rottamatori fautori del più ortodosso gellismo.

Per Gandhi, “Il mezzo può essere paragonato a un seme, il fine a un albero; e tra mezzo e fine vi è esattamente lo stesso inviolabile nesso che c’è tra seme e albero“. Seguendo la similitudine, nessun nobile fine, per quanto aulicamente indorato, può essere tale se i mezzi adoperati per raggiungerlo sono miserrimi e immorali. Al contrario, il mezzo costruisce il fine, quindi la verità come mezzo – cioè come metodo – edifica il fine, l’obiettivo perseguito, che coincide con la verità medesima.

In definitiva, si parte dalla verità e si finisce nella verità, ciò a dire che non vi sono buone azioni o buona politica fuori dalla verità e nessun nobile fine può sacrificare, in nome della strategia politica, la verità, perché con il sacrificio della verità sull’altare di una finta conquista sociale si opprimono alla radice tutte le altre libertà.

Lo strumento più forte che Forza del Popolo ha a disposizione nella battaglia è la verità, come atto rivoluzionario più potente, in grado di abbattere decenni di menzogne atte a nascondere agli occhi dei più la barbarie, spacciandola per stato di diritto. “Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario (George Orwell, La fattoria degli animali, 1945).

In definitiva, rispetto ai concetti di destra e di sinistra, Forza del Popolo è “oltre”.

11 – FORZA DEL POPOLO, MOVIMENTO GIUSNATURALE

Per il movimento forzapopolare non si possono fare scelte politiche secondo valutazioni e categorie pregiudiziali. Ogni scelta va vagliata sempre secondo criteri logici e per singoli casi concreti. La scelta dei percorsi politici deve sempre alimentarsi del dubbio d’incappare nell’errore, affinché, ove lo stesso venga ravvisato anche in corsa, si corregga e si faccia marcia indietro, se non altro al fine di limitare le conseguenze negative della scelta iniziale. Una cosa è certa: non esiste una strada già tracciata a cui affidarsi per non sbagliare, perché in ogni fatto occorre un esame razionale e lungimirante che deriva proprio dalla costante ricerca della verità.

Elio Vittorini condivise in una lettera rivolta a Palmiro Togliatti un concetto per certi aspetti simile: “Qualche compagno pensa che non essendo (o non chiamandomi) marxista, io non possegga la verità, e dovrei fare a meno di parlare, per coerenza di comunista. … Il diritto di parlare non deriva agli uomini dal fatto di “possedere la verità”. Deriva, piuttosto, dal fatto che “si cerca la verità”. E guai se non fosse così soltanto! Guai se si volesse legarlo ad una sicurezza di possesso della verità! Lo si legherebbe alla presunzione del possedere la verità, e non parlerebbero che i predicatori, i retori, gli arcadi, tutti coloro che non cercano. La cultura ridiventerebbe clericale come era prima del Protestantesimo, o darebbe di nuovo lo spettacolo filisteo che tanto sconcertava Carlo Marx nella Germania del suo tempo. Se Marx pensava che attraverso il suo metodo si dovesse farla finita per sempre con ogni forma di filisteismo era perché appunto pensava che il suo metodo fosse di ricerca e non di possesso, e perché appunto pensava che tutto il parlare degli uomini dovesse ormai avvenire in funzione di ricerca e non di possesso. … E che il partito abbia dichiarato, in occasione del suo V congresso nazionale, di non porre ai militanti degli obblighi ideologici ha avuto per me un significato molto più importante di quello d’un semplice riconoscimento della realtà nella quale io avevo la mia parte tra centomila e centomila14“.

La storia dimostra che tutti i più grandi errori dell’umanità non sono derivati da scelte estemporanee, ma da convinzioni, da vizi culturali, da errati procedimenti di formazione di una volontà, anche della maggioranza di un popolo, talvolta frutto di fanatismo, talaltra di un finto progresso. Non sono i crimini individuali a stupire: i delinquenti, anche feroci, sono esistiti ed esisteranno sempre. Ad impressionare sono, invece, quei momenti della storia in cui pensieri errati e convinzioni viziate hanno trovato l’appoggio del potere e della legge, fino a divenire essi stessi Stato, Legge, Potere, Morale.

In tali scenari tetri si è attuata l’applicazione scientifica e legale di modi di pensare contrari alla stessa natura. Per questo è importante più dell’idea di verità (che appartiene solo a Dio), la costante ricerca della verità da parte degli uomini. I governi possono tentare, infatti, di spacciare per verità la convinzione di pochi se essa risponde ad interessi di ben precise lobbies: si pensi alla considerazione dei disabili durante il nazismo, all’abominio dell’aborto, al reato di omosessualità vigente in molti paesi occidentali fino al secolo scorso, all’odierno attacco alla famiglia e all’infanzia con teorie gender, in nome di un non meglio specificato progressismo, con l’assimilazione alla famiglia di società surrogate “in step” che le leggi di natura non consentono. Se sarà tenuta alta la ricerca delle verità, il suo spirito verrà fuori e “convincerà il mondo quanto all’errore, quanto alla giustizia e quanto al giudizio“.

In questa prospettiva, persino il diritto positivo non ha nessuna valenza ed anche le leggi dello Stato (almeno dello Stato come oggi strutturato in Italia) non meritano di per sé stesse d’essere obbedite, condividendosi l’intuizione di Sant’Agostino secondo cui “una legge ingiusta non è affatto una legge“, perché obiettivo dello Stato e della Legge è la giustizia.

Certo deve sempre tenersi in mente che in natura la legge sociale primordiale è quella del più forte. Tuttavia, nell’evoluzione civile dei popoli il concetto di legge naturale non va più correlato alla forza bruta di distruggere, di uccidere, di sottomettere fisicamente, bensì si esprime nelle opposte forze della ragione, di difendere, tutelare, proteggere, soddisfare bisogni a partire dai più deboli.

Una dimensione, questa, perfettamente naturale, culmine di un processo pedagogico sociale millenario, progredito anche per la concreta sperimentazione delle sofferenze che comporta la “legge del più forte”.

La primordiale legge del più forte è oggi riassumibile nella moderna parola “mafia”, ove coincidono le dinamiche di prevaricazione in assoluto incompatibili con lo Stato di diritto, ispirato alla ragione e non alla forza. Come nello Stato di diritto non vi è posto per la “mafia” (così dovrebbe essere), tanto come concetto quanto come organizzazioni criminali, allo stesso mondo non vi può essere spazio per alcun residuo o retaggio culturale tendente all’affermazione, foss’anche solo in linea di principio, di un’immanente legge naturale che vorrebbe il più forte legittimato a comandare, in lesione del principio di uguaglianza. Si nasce liberi e uguali, quindi non vi sono più forti e più liberi e meno forti e meno liberi. La libertà non deriva dalla forza, ma dalla ragione, che è parte della natura dell’uomo, e lo Stato di diritto sorge proprio per impedire il governo della forza.

12 – I RISCHI DEL RADICALISMO IDEOLOGICO

Il nucleo essenziale del socialismo, del cristianesimo sociale e della cultura liberale per come definita da Rosselli, fa sì che ognuna ideologia costituisca il contraltare dell’altra. Ciò può essere gradito o no, può costituire oggetto di confronto tra eterodossi e ortodossi di ogni fede politica, ma è necessario, anzitutto per assolvere ad un dovere di responsabilità. Infatti, ogni ideologia singolarmente considerata continua a comportare concretamente il rischio di far ritornare le masse nella dimensione dei radicalismi tragicamente conosciuti nel Novecento. Nazismo, comunismo e capitalismo sono state lente degenerazioni ideologiche che giorno dopo giorno hanno instillato nel popolo odio, rassegnazione ed egoismo, fino a trasformare l’essere umano in demone, in bestia, in alieno.

Per il socialismo il rischio è l’immanentismo, a cui seguirebbe il progressismo, sub-ideologia bipartisan che vorrebbe la liberazione dell’uomo da ogni asservimento materiale e spirituale annullandone il senso spirituale tout court, come a volere risolvere la carie estraendo tutti i denti. Il progressimo “socialisticheggiante” riporrebbe tutte le speranze nell’annichilimento della dimensione spiriturale della persona umana. “È possibile che vi accontentiate di vivere in un mondo in cui lo spirito è morto?“, l’estremo interrogativo di Kimitake Hiraoka, in arte Yukio Mishima, condivisa appena un attimo prima di suicidarsi, gridata a quanti lo stavano a guardare mentre si lasciava cadere dal cornicione di un edificio. Sintesi perfetta di quello che produce l’annichilimento dello spirito umano. Lo smarrimento della dimensione spirituale conduce l’uomo alla disperazione, al non senso, alla volontà suicida. Non può, quindi, essere avallata l’idea “socialisticheggiante” del comunismo che disegna una vita collettiva priva di volti, tutta protesa sulle realtà materiali, perché il socialismo semplicisticamente definito “ateo”, quindi il comunismo, in realtà ateo non lo è mai stato, per quanto si è impegnato ad inculcare la sua religione del vuoto, i suoi dogmi del nulla, i suoi mantra del non senso. In nome della negazione delle religioni, il comunismo ateo, figlio del socialismo progressista nichilista, si è fatto religione esso stesso e con i suoi “sacerdoti” ha praticato l’occultimo, ha perseguitato i suoi governati, ha stretto alleanze con le massonerie, quindi con le elite del capitalismo, infine tradito i suoi ideali. Per Forza del Popolo, lo Stato deve disinteressarsi delle religioni, nel senso che non può immischiarsi nelle legittime diatribe tra i cultori dei rispettivi dogmi, ma deve trattare i governati come esseri umani, dotati di personalità, creatività, emotività, tutti aspetti riferibili alla categoria dello “spirito”. Il rischio di seguire una rotta “materialistica”, magari mascherata da logiche utilitaristiche o edonistiche, è quello che l’azione politica finisca col degradare la natura dell’uomo a quella propria degli animali, legittimando così la legge del più forte e la trasformazione della comunità dei governati in greggi e la comunità dei governanti in branchi.

Per il cristianesimo il rischio è la rassegnazione, la tendenza cioè, proveniente da molti ambienti, a non resistere e a non reagire alle storture della vita, nella convinzione che poi, nell’aldilà, vi sarà una punizione per i malvagi ed una ricompensa per i giusti. “Ho sempre pensato che se una religione dichiara di preoccuparsi dell’anima degli uomini senza manifestare altrettanta preoccupazione per i quartieri degradati …, per le condizioni economiche che li regolano, per le condizioni sociali che li paralizzano, quella religione è spiritualmente moribonda e aspetta soltanto la sepoltura” (Martin Luther King).

Altro rischio è costituito dal dogmatismo integralista, in quell’atteggiamento che, abdicando alla ragione, demanda a determinate autorità il compito di indicare la strada, che viene poi seguita per fede e senza alcun senso critico. In questo senso, il forzapopolare, prendendo in prestito le parole di Bazàrov, il protagonista di “Padri e figli” dello scrittore russo Ivan Sergeevič Turgenev, “non s’inchina davanti all’autorità di nessuno e non accetta nessun principio, anche se si tratta di un principio cui tutti obbediscono“.

Il rischio del liberalismo, come confermato con i neoliberismi, consiste nell’assecondare la competizione tra gli uomini nella convinzione che il progresso sociale derivi proprio dalle spinte individualistiche all’affermazione personale. In forza di queste spinte ritiene di non dover intervenire nel presupposto che la società abbia una sorta di selezione naturale, in cui se qualcuno resta indietro è, probabilmente, perché non meritava di stare avanti. In questa competizione, per certi aspetti cinica, non v’è spazio per il sostegno e la solidarietà. Il socialismo ed il cristianesimo, da questo punto di vista, possono coniugare all’idea liberale il senso della solidarietà e della responsabilità collettiva. Come ha scritto Karl Popper “La libertà […] distrugge se stessa se è illimitata. La libertà illimitata significa che un uomo forte è libero di tiranneggiare un debole e di privarlo della sua libertà. Questa è la ragione per cui chiediamo che lo stato limiti in qualche misura la libertà, in modo che la libertà di ciascuno risulti protetta dalla legge. Nessuno dev’essere alla mercé di altri ma a tutti si deve riconoscere il diritto di essere protetti dallo Stato“.

La storia, anche recente, ha messo in guardia dai rischi degli eccessi di libertà economica, noti col nome di ultracapitalismo, che hanno condotto il mondo verso la dittatura del sistema finanziario, ma essi sono cosa ben diversa dai sacrosanti principi di sburocratizzazione e riduzione al minimo della pressione fiscale propugnati dalla cultura liberale classica. La libertà economica, quindi, non deve mai trasformarsi in capitalismo, in potere e predominio del capitale sulle persone. La linea di confine tra il dovere pubblico e l’iniziativa privata sta nel bisogno umano. I beni pubblici essenziali, quindi, sono di esclusiva competenza del pubblico, mentre nella loro gestione il privato non può interferire, non esistendo in verità alcuna “mano invisibile” capace di correggere gli squilibri se lo Stato cede le sue basilari prerogative al privato secondo le più degenerate logiche liberiste, che Forza del Popolo contrasta fermamente.

13 – L’UOMO AL CENTRO DELL’AGIRE POLITICO

Forza del Popolo intende il popolo nella sua dimensione di persona umana. Quindi, la persona è al centro della nostra visione politica, della nostra concezione di Stato. Lo Stato non può essere il leviatano libero di fagocitare i suoi sudditi. Lo Stato, per di più, non deve avere sudditi, ma liberi cittadini sovrani. La tesi dell’esistenza dei poteri statali è perciò incompatibile con la sovranità popolare. Al centro di tutto deve esservi la persona, ed è alla persona, idealmente indicata nel “popolo”, che deve attribuirsi la supremazia della volontà nell’ordinamento. Mai la volontà popolare può essere surrogata, attraverso leggi elettorali che consentano il suo annichilimento, dal dispotismo di entità giuridiche ultronee rispetto alle Istituzioni costituzionali.

La tirannide si fonda sulla indiscriminata e violenta imposizione della volontà del più forte, mentre la democrazia si fonda sulla ragione di processi elettorali che consentono la rappresentazione e la mediazione delle volontà popolari.

Per questo tirannide e democrazia sono non solo incompatibili, ma esatti opposti e contrari.

Uno Stato dipinto come soggetto superiore rispetto al popolo è tirannide. Uno Stato vissuto con il cuore pulsante del popolo è democrazia. In tale cornice, non si pone in discussione una verità essenziale, cioè che l’individuo preesiste allo Stato e continua ad esistere, nella sua individualità, anche al cambiamento di regime o al crollo del sistema.

Lo statalismo consiste anzitutto nel definire irragionevolmente lo stato come entità superiore preesistente agli individui e, al pari di ogni integralismo, è posta al di sopra e prima dell’uomo un’entità astratta utilizzata da alcuni individui per sottomettere tutti gli altri. Lo stato, in tale ottica, è una finzione utilizzata da minoranze per soggiogare la maggioranza.

Tuttavia, lo Stato in quanto strumento è senz’altro necessario, perché per impedire che prevalga la “legge del più forte”, quindi la “mafia” nel suo senso più autentico, occorre che gli uomini si consocino attorno ad un patto (sic est con la Costituzione italiana). Ciò perché “ubi societas ibi ius” (dove c’è una società, lì vi è il diritto), a dire che senza lo Stato la società dei preesistenti individui non potrebbe reggersi per mancanza delle regole, del diritto, che coincide con lo Stato medesimo, non a caso definito Stato di Diritto per distinguerlo dalle altre forme storiche statuali.

Ma il sistema giuridico trae legittimazione dalla preesistente società e non può porsi al di sopra di essa. Come la Costituzione è stata partorita da una preesistente Assemblea Costituente, al pari lo Stato non può discostarsi dalla sovranità del popolo (“la sovranità appartiene al popolo“).

Quanto sin qui delineato non costituisce uno sterile esercizio verbale, ma è il cuore pulsante della democrazia. Difatti, aderendo alle impostazioni positivistiche dello statalismo si finisce nel pentolone dei totalitarismi, per come conosciuti nel Novecento, ove entità rivestite di un’aura di superiorità, addirittura di sacralità, hanno assunto un potere temporale assoluto esercitato da folli, nutriti dei propri complessi esistenziali e mossi per capriccio, sete di potere, prurito di autoaffermazione storica.

Occorre, al contrario, conferire valore alla persona, subordinando il sistema alla realizzazione integrale della persona.

Per Carlo Rosselli, “L‘ultimo e solo fine appare l’uomo, l’individuo concreto, cellula prima e fondamentale; ovvero la società, ma solo in quanto con questo nome si designi un aggregato di individualità e si abbia riguardo al maggior numero. Ché la società in quanto organizzazione, è mezzo a fine, è strumento al servizio degli uomini, e non di entità metafisiche, siano esse la Patria, o il Comunismo. Non esistono fini della società che non siano, al tempo stesso, fini dell’individuo, in quanto personalità morale; anzi questi fini non hanno vita se non quando siano profondamente vissuti nell’intimo delle coscienze. La giustizia, la morale, il diritto, la libertà non si realizzano se non per quel tanto che si realizzano nelle singole individualità. Uno Stato giusto non è quello le cui leggi si ispirano a un astratto criterio di giustizia, ma quello in cui i suoi componenti si ispirano nella loro attività concreta a una regola di giustizia. Uno Stato libero vuole prima e soprattutto uomini liberi. E uno Stato socialista spiriti socialisti. Io non esito a dichiarare che la rivoluzione socialista sarà tale, in ultima analisi, solo in quanto la trasformazione della organizzazione sociale si accompagnerà ad una rivoluzione morale, cioè alla conquista, perpetuamente rinnovantesi, di una umanità qualitativamente migliore, più buona, più giusta, più spirituale“. Allo stesso modo, per Henry David Thoreau, “Non vi sarà mai uno Stato realmente libero ed illuminato, finché lo Stato non giunga a riconoscere l’individuo come un potere più elevato ed indipendente, dal quale derivino tutto il suo potere e la sua autorità, e finché esso non lo tratti di conseguenza“. La persona è il centro dell’idea forzapopolare di Stato, persona identificata nel concetto di popolo sovrano. Charlie Chaplin nel discorso finale del “Grande Dittatore” giungeva alla sagace conclusione che: “Nel diciassettesimo capitolo di San Luca è scritto che il Regno di Dio è dentro l’uomo, non di un uomo né di un gruppo di uomini, ma in tutti gli uomini, in tutti voi, voi, il popolo, avete il potere, il potere di creare macchine, di creare felicità, voi, il popolo, avete il potere di rendere questa vita libera e bella, di fare di questa vita una splendida avventura“.

14 – NUOVO RAPPORTO STATO/PERSONA: AUTONOMIA / FEDERALISMO

Il movimento redigerà, di volta in volta, e su scale diverse, i programmi elettorali e di governo, non essendo questo il luogo più indicato per elencare le misure concrete che abbisognano d’attuazione.

In questa sede può solo dirsi che va messa da canto qualsiasi volontà riformista. Non c’è nulla da riformare, ma si deve fare “tabula rasa” del passato per approdare ad una nuova Italia, in cui i precedenti pseudo valori ed i precedenti vizi vanno rifuggiti come il peggior dei mali.

Per Fernando Pessoa “riformare significa essere incapaci di correggersi“; la riforma, quindi, si pone come tentativo di cambiare tutto per non cambiare niente, un gattopardismo di cui i politici italiani, abili trasformisti, sono specializzati. La gattopardite trasformistica di chi, avendo fatto il male dell’Italia, si adatta alla situazione di malessere della società italiana e simula la promozione di un cambiamento, è la terribile malattia intellettuale da cui guardarsi, per non adagiarsi su strutture ben congeniate di captazione del consenso e di gestione del potere. Tabula rasa vuol dire “defenestrazione” di tutti coloro che hanno avuto il compito di governare ed hanno pasciuto se stessi. A queste persone non va offerta alcuna ulteriore possibilità di riscatto o di riabilitazione, va impedita per legge la partecipazione alle elezioni, sull’assunto che se per almeno otto anni ti sei occupato della cosa pubblica, non hai più nulla da dire né da dare alla comunità, hai già giocato le tue carte.

Certo, nel medesimo scritto15, Pessoa mette all’indice insieme ai riformatori anche i rivoluzionari come noi, perché li identifica, erroneamente, in violenti ed invasati. Ma è la storia che dimostra che per essere rivoluzionari non occorre necessariamente lo spargimento del sangue. Anzi le uniche rivoluzioni che hanno sortito effetti duraturi sono state quelle pacifiche. Martin Luther King e Gandhi, ad esempio, non furono dei sanguinari, eppure riuscirono a sovvertire i sistemi politici che ritenevano ingiusti.

In quest’ottica, e riprendendo le tesi di uno dei maggiori intellettuali socialisti del secolo scorso, non c’è nulla di immorale nella violenza, se la si intende come azione di rivolta interiore contro la forza dell’autorità statale.

D’altro canto non è neppure vero che i rivoluzionari siano degli invasati, o, secondo un’espressione più comprensibile, degli utopisti.

Per Elio Vittorini “il rivoluzionario si rifiuta in effetti, e non solo da oggi, di servire un’utopia. … Il fatto ch’egli persista a voler operare una trasformazione nel mondo indica che persiste a volere una violenza. Però ne vuole una e non un’altra. L’accetta per necessaria sotto una certa forma e la respinge sotto un’altra forma. Cioè non pone più la propria istanza rivoluzionaria su un piano semplicemente logico. Ormai la pone su un piano morale. … noi siamo in uno dei momenti più alti della storia umana. Siamo in un momento in cui lo sforzo rivoluzionario di trasformazione del mondo è diventato, per eccellenza, attività morale16“.

Forza del Popolo vuole una Repubblica Federale Italiana di Regioni Autonome. Il federalismo caratterizza gli Stati più evoluti, accentua per il conseguente decentramento amministrativo la responsabilità politica dei governanti, accorcia le distanze tra governanti e governati. Quindi è scelta ottimale per il mantenimento delle libertà individuali.

Il sistema federale si oppone alla radice a quello centralista del contratto sociale di Rousseau, in cui ai nominati a maggioranza vengono attribuite dai cittadini tutte le loro libertà. Per tale impostazione, abbracciata da importanti movimenti dell’antipolitica italiana, l’uguaglianza consisterebbe nel “ciascuno mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale“.

Un’impostazione incostituzionale, posto il principio del divieto di mandato imperativo, quindi dell’assenza di un vincolo di mandato, che conferisce un potere libero non solo nell’astratta individuazione degli interessi dei cittadini, ma anche nelle modalità per il loro perseguimento.

Affermava opportunamente Proudhon: “E non solo lo Stato è spinto dalla sua logica intrinseca ad appropriarsi dell’azione sociale, ma anche a centralizzare e unificare in una sola direzione la pluralità della vita collettiva. Questo movimento, che comporta l’aumento continuo delle funzioni statali a spese dell’iniziativa individuale, corporativa, comunale e sociale, una volta iniziato, tende incessantemente a crescere, a invadere tutta la società, perché la centralizzazione è per sua natura espansiva, invadente … non ha che l’universo come confini“.

Occorre, quindi, uscire dall’impostazione rousseauiana del contratto sociale, che attribuisce ai nominati il potere illimitato e centralizzato di agire in nome del popolo, anche in assenza di un vero e formale conferimento di attribuzioni, impostazione prevalente, anche se a vasti tratti inconsapevolmente, in tutti i partiti odiernamente presenti in Parlamento.

Tanto quanto vi è espansione dell’autorità centrale, tanto quanto consegue la soppressione della libertà individuale e la persecuzione del popolo chiamato a finanziare i capricci dei governanti ed il monumento burocratico da essi creato.

Non può confidarsi nella perenne esistenza di una classe politica equilibrata ed onesta che si mantenga fedele ad un astratto patto con il popolo, perché, presto o tardi, la classe politica, o le generazioni successive, cederanno all’arbitrio ed alla prevaricazione: la storia lo ha dimostrato con rigore scientifico e l’attualità ci riconsegna a questa fotografia.

Per Proudhon, “L’esperienza mostra, in realtà, che per quanto popolare possa essere stata la sua origine il governo si è schierato sempre e ovunque dalla parte della classe più colta e più ricca contro quella più povera e più numerosa; che, dopo essersi mostrato per un po’ di tempo liberale, a poco a poco è diventato governo d’eccezione, esclusivo; che infine, invece di sostenere la libertà e l’uguaglianza fra tutti, ha fatto di tutto per distruggerle, in virtù della sua inclinazione naturale al privilegio. … L’autorità, difendendo i diritti di fatto stabiliti, proteggendo gli interessi acquisiti, si è schierata sempre dalla parte della ricchezza e contro la povertà: la storia dei governi è il martirologio del proletariato“. Accade sempre, infatti, che gli interessi lobbistici e speculativi, o le stesse egoistiche volontà di potenza insite nell’uomo, finiscano col prevalere ponendo in essere leggi a scapito del popolo e tutte a vantaggio loro e delle lobbies che rappresentano. Per Lev Tolstoj, “oltre che il potere corrompe gli uomini, i calcoli o la tendenza incosciente di coloro che lo possiedono, avranno sempre per obiettivo il massimo indebolimento possibile dei violentati, poiché, più essi sono deboli, meno sforzi occorrono per dominarli

 

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