Cronaca

… e mentre si parla di Covid e sanità… i medici si accasciano stanchi

Gela – “Mentre a Roma discutono Sagunto cade”. Questa volta a cadere sono i medici. Quegli stessi medici che devono aiutare gli altri, i pazienti; quelli che stanno male e chiedono aiuto. I medici che devono lavorare con lucidità, e se fanno un errore ne va della vita degli altri. Il loro errore non è un accento mancato, è una speranza che può spegnersi nel gorgo della vita. E mentre si consumano ore in riunione via internet sulle concrete possibilità di potere accogliere i pazienti, come trattarli in termini di degenza, i medici di frontiera ‘cadono’ sotto i colpi della stanchezza, del trauma psicologico che li espone a vivere ore ed ore a contatto con la sofferenza dell’uomo che si rivolge alla struttura sanitaria, a vedere sfilare i morti, mentre le aziende sanitarie danno i numeri dell’attività e raccolgono i premi di produzione. Al reparto Covid e malattie infettive si vive così. La colonna sonora è quella delle sirene delle ambulanze che arrivano dai comuni viciniori e poi ci sono i campanelli dei letti.

“Dottore è desiderato nella stanza tre: è emergenza”. “Dottore il paziente 4 non respira”. “Dottore……. non ce l’ha fatta..!” E questo con due medici in meno nell’organico del reparto Covid: uno se n’è andato e non è mai stato rimpiazzato e un altro è in malattia. E gli altri a gestire il ‘lazzaretto’ con un bacino di utenza che conta Gela ed i comuni limitrofi e  che non lascia spazio a posti vuoti.

“In questo periodo l’emergenza Covid è drammatica, siamo costretti a turni massacranti durante i quali abbiamo tante urgenze. Ho dovuto affrontare 34 ore di servizio continuo senza fermarmi un attimo – racconta un medico di frontiera di Gela –  a trattare pazienti molto sofferenti in condizioni gravi. Come medico sono abituato a toccare con mano la sofferenza umana e finora ho mantenuto il sangue freddo: fa parte del nostro lavoro, ma in questo periodo 34 ore di lavoro senza sosta, in cui bisogna gestire urgenze continue, avere a che fare con decessi di pazienti a cui è stato fatto di tutto per trattarli e salvarli, dare conto ai parenti che giustamente insistentemente vogliono avere informazioni, è un macigno che ti crea uno stress psicologico e un crollo emotivo pazzesco. Siamo essere umani non siamo robot e questo incide sulla nostra tempra per quanto forte:  dobbiamo accantonare la nostra vita per permettere la vita ad altre persone”.

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