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Viaggio nel libro più discusso. Punti esclamativi e sparate, ma sbanca tutte le classifiche

Libro sbagliato arrivato nel momento giusto, è il fenomeno editoriale e il bestseller dell’estate. Domanda: lo è per le idee eccessive e scomode, per la banalità del Buonsenso (titolo del primo capitolo), per lo status dell’autore, per i perversi meccanismi del sistema mediatico (è cinque giorni che domina le cronache e ieri in una libreria del Veneto è spuntato il primo cartello che invita la clientela a non chiederlo: un ottimo motivo per parlarne ancora di più) o perché è quel tipo di libro di solito mai di qualità particolarmente alta che dice ciò che tanti pensano ma nessuno vuole dire? Al netto delle opinioni contenute, su cui tanto è stato scritto, e al di là della delicata questione dei confini fra libertà di pensiero e hate speech, è interessante provare a capire il successo di un prodotto culturale che, peraltro, ribadisce la centralità del libro nella discussione pubblica. Tutti parlano di quello del Generale, di quello in arrivo di Giorgia Meloni, delle memorie di Sarkozy…

Autore: Roberto Vannacci, generale dell’Esercito italiano (e curriculum imponente), al suo esordio editoriale. Titolo: Il mondo al contrario, dove la parola «contrario» è ribaltata a specchio (come tante del libro è un’idea stupida, ma incuriosisce). Casa editrice: non c’è; il libro è autopubblicato e venduto in esclusiva su Amazon. Ciò spiega la velocità del successo: la piattaforma eCommerce distribuisce il volume attraverso il print on demand, per cui i pezzi sono stampati solo quando l’acquisto viene effettuato. Se Il mondo al contrario fosse stato pubblicato da un editore tradizionale il boom di richieste sarebbe stato ingestibile in tempi così brevi. Risultato: il libro di Roberto Vannacci in una settimana ha venduto, secondo alcune fonti, 22mila copie. In realtà, come lo stesso autore ha risposto a una nostra richiesta di chiarimenti, la cifra «è molto più alta», «veramente molto di più». Trentamila? Quaranta? Per avere un termine di paragone, Tre ciotole (Mondadori) di Michela Murgia, nella stessa settimana, ha venduto 10.700 copie. Se il titolo di Vannacci fosse contemplato dalle classifiche di vendita sarebbe largamente in testa (e il tour delle presentazioni deve ancora iniziare: si parte il 9 settembre a Pietrasanta).

Certo, come prodotto del self publishing Il mondo al contrario ha dovuto rinunciare a una serie di professionalità (editor, grafici, correttori…) che gli autori delle case editrici tradizionali hanno invece a disposizione. Conseguenze? La copertina, come per tutti i libri autopubblicati, è pessima; un livello di poco superiore a quelle della Nave di Teseo. L’editing, particolarmente necessario nel caso di un non professionista della scrittura, manca del tutto: concetti ripetuti più volte, refusi, un eccesso di aggettivi qualificativi, virgole non sempre al posto giusto, profluvio di luoghi comuni, spaziatura doppia incomprensibile tra i capoversi, neretti e corsivi senza uniformità, e i punti esclamativi, anche su 356 pagine, sono decisamente troppi. Poi le note, vero punto dolente: messe a caso, scritte peggio, discutibili in quanto ad autorevolezza. E ciò apre al problema più grosso del libro, che non sa decidersi tra il saggio (non è scientifico, le tabelle poco chiare, le citazioni arruffate: da Benedetto Croce, in esergo, a Noam Chomsky) e il pamphlet (la scrittura è basica, non c’è verve, semmai acredine e sdegno). Alla fine è un «libello», un cahier de doléances in salsa reazionaria, con una spruzzatura di sovranismo. E comunque scegliere come sparring partner Claudia Fusani è penalizzante. Per il libro, più che Vannacci non vuole capire le ragioni del fenomeno woke, o dell’ambientalismo con la bava alla bocca, o della «moda» gender fluid; si basa sull’osservazione diretta degli aspetti più eclatanti e da lì lo sfogo. È eccessivo e scomposto ma capace di ricompattare una larga fetta di lettori. In fondo, con migliore qualità di scrittura (insomma…), opposta visione del mondo e identico furore ideologico, quello che fanno, o hanno fatto, Saviano o la Murgia. Tout se tient. (Il Giornale)

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