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Il ciclismo e le borracce per strada: «Basta gettarle o regalarle». Le polemiche fra romantici e ecologisti

In bilico tra sicurezza, ecologia e tradizione, la «questione borracce» sta provocando un feroce dibattito nel mondo del ciclismo professionistico con corridori, squadre e tifosi che, uniti, lottano contro le famigerate «nuove regole ecologiche» imposte dall’Unione Ciclistica Internazionale sullo — chiamiamolo così — smaltimento dei rifiuti durante le corse.

Dal 1° aprile scorso, infatti, per liberarsi delle borracce (ma anche degli involucri delle barrette e dai temibili flaconcini vuoti del gel) gli atleti devono aspettare le cosiddette «green zone», aree segnalate sia sui documenti di gara che lungo il tracciato (l’ultima poco prima dello sprint finale) dove poi addetti dell’organizzazione provvederanno a raccoglierle e smaltirle. Fino al 2020 conferire in quei tratti i rifiuti era solo consigliato, ora è diventato tassativo. Intento lodevole, ci mancherebbe. Peccato che alla prima occasione utile (il leggendario Giro delle Fiandre, mica una corsa di paese), lo svizzero Michael Schar si sia fatto beccare dalle telecamere mentre appoggiava delicatamente la borraccia al suolo indirizzandola verso un bambino che aspettava di raccoglierla.

Durante e dopo la gara le borracce (griffate con i colori del team) sono da sempre un vero e proprio oggetto da collezione. Il povero Schar non aveva fatto i conti col regolamento, approvato da poche ore. Un attimo dopo il «lancio», la macchina della giuria l’ha avvicinato e un arcigno magistrato di gara gli ha comunicato che poteva riconsegnare il numero dorsale e accomodarsi a bordo strada. Nelle prove di un giorno è previsto infatti il cartellino rosso, la squalifica in gara, sanzione un tempo riservata (e non sempre) solo alle scazzottate violente in base al principio che prima si taglia il traguardo e poi si discute a bocce ferme su quello che è successo e si prendono provvedimenti. Stesso trattamento (nel Fiandre femminile) è toccato all’azzurra Letizia Borghesi, anche lei fregata dall’abitudine: a casa senza passare per il traguardo in una corsa che sognava fin da ragazzina,

Ira funesta di spettatori, bambini, corridori e osservatori esterni: una tradizione secolare mortificata da una regola nata per evitare di inquinare ma illogica se applicata in questo modo. A fare una figura barbina (come succede spesso) il contestatissimo sindacato dei corridori, che i ciclisti li rappresenta poco e male. «Ci avevano giurato — ha spiegato Gianni Bugno, grandissimo ex degli anni Ottanta e Novanta — che il passaggio delle borracce ai bimbi sarebbe stato comunque consentito e invece nel regolamento non c’è scritto». Infatti, il regolamento parla di espulsione tout court: i sindacalisti si devono essere distratti al momento di andare in stampa. A metà aprile, riunione urgente dei rappresentanti dei corridori con i federales preoccupati per il danno di immagine: la norma rimane così com’è ma viene introdotto il cartellino giallo. Al primo lancio (anche verso i bimbi, nessuna distinzione tra chi getta nella foresta e chi consegna a un giovane tifoso) arrivano ammonizione e 300/500 franchi svizzeri di multa, graditissimi dalle casse del ciclismo.

L’Unione Ciclistica Internazionale sui rifiuti non fa marcia indietro come non lo fa sulle «posizioni pericolose» in discesa che restano vietate anche se non hanno mai fatto male a nessuno. I corridori non se la sono sentita al momento di difendere una tradizione storica con un’iniziativa simbolica, uno sciopero, una consegna collettiva di borracce ai bambini durante una (grande) corsa che avrebbe messo seriamente in crisi i brontosauri federali. Per raccogliere le borracce, quindi, accomodarsi dietro linea d’arrivo, facendo ben attenzione alle norme sul distanziamento. Nel frattempo, per portarsi avanti, molte aziende stanno producendo borracce riciclabili al cento per cento (va moltissimo la canna da zucchero) che potrebbero risolvere definitivamente il problema. (corsera)

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