Attualita

Costo dell’acqua: pesano le perdite

La componente più rilevante del costo del servizio idrico è costituita dalle perdite degli acquedotti il cui danno si ripartisce generalmente sugli utenti stante che l’acqua persa viene acquistata a monte ed non può essere fatturata a valle. Tuttavia,  per Caltaqua vale una regola inversa e più favorevole: a fronte della minore percentuale di perdite di rete della Sicilia il costo del servizio in provincia di Caltanissetta è il più caro dell’Isola. E’ quanto stimato da Cittadinanza attiva che ha pubblicato un dossier sull’argomento censendo i servizi idrici di tutte le provincie italiane (https://www.piusaipiusei.org/news/report-servizio-idrico/)

Nel report si rileva che a Caltanissetta le perdite di rete sono il 35,6% contro una media regionale del 48% mentre le tariffe, al contrario, sono operosissime -sia in assoluto che anche in rapporto con il resto della Sicilia:  già nel 2019 (675 euro a famiglia su un consumo annuo di 192 mc a Caltanissetta contro una media regionale di 445 euro).

Ben 230 euro a famiglia in piu ogni anno!

I cittadini paventano anche che gli utili così maldestramente conseguiti finiscano pure all’estero, forse nella Spagna dove ha sede questa Società.

E’ uno studio che sarebbe opportuno allegare alla deliberazione di rescissione del contratto che i Sindaci di Gela e Caltanissetta, in netta maggioranza nell’ATI, si apprestano ad adottare per essere conseguenzali a quanto promesso in campagna elettorale.

 

LA RIFORMA DELLA GOVERNANCE DEL SETTORE
Dall’ultima Relazione di ARERA (giugno 2019) emerge che tutte le Regioni hanno provveduto a
definire gli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) e in ciascuno di essi sono stati istituiti gli Enti di Governo
d’Ambito (EGA), con gli Enti locali che vi hanno formalmente aderito.
Il numero di ATO si è ridotto a 62 rispetto ai 71 del 2015 grazie al fatto che 12 Regioni su 191 hanno optato per un ATO regionale. Di questi, 6 ATO unici regionali (Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna,
Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Umbria) sono stati suddivisi in sub-ambiti di affidamento, cosicché, in
tutto, i bacini di affidamento risultano essere 90. Nonostante ciò permangono criticità rispetto all’effettiva operatività di alcuni EGA in quanto ne
risultano operativi 58 su 62. Mancano ancora all’appello gli EGA regionali della Calabria, del Molise e
parte di quelli siciliani, con conseguenti ritardi rispetto alla definizione dei Piani d’Ambito, alla scelta
delle forme di gestione e all’avvio delle procedure di affidamento ai gestori.
Il ritardo nell’operatività degli EGA ha contribuito a creare il “water service divide”, ossia un divario
tra un’area del Paese, collocata in prevalenza al Nord e al Centro, in cui la realizzazione degli
investimenti e le capacità gestionali e degli operatori appaiono coerenti con quanto necessario ad
accogliere le sfide dei prossimi anni, e un’altra parte del Paese, collocata principalmente nel Sud e
nelle Isole, in cui l’inerzia e la mancanza di soggetti con le necessarie capacità economiche e gestionali
hanno generato condizioni di stallo, che si ripercuotono sul servizio offerto agli utenti.
Ai fini dell’effettiva operatività degli EGA e dell’affidamento del servizio, l’aspetto più critico rimane
il livello di frammentazione gestionale che, sebbene si sia ridotto notevolmente rispetto al 1999,
quando i gestori attivi erano 7.826, rimane tuttavia ancora elevato, con 2.857 soggetti censiti
dall’ISTAT quali esercenti del servizio nel 2015. Di questi l’83% erano Comuni che gestivano il servizio
in economia e solo il 17% si configuravano come gestioni specializzate. A giugno 2019, inoltre, ARERA conta ancora più di 290 gestioni cessate ex-lege che continuano ad operare pur non avendone titolo.

• SITUAZIONE DELLE INFRASTRUTTURE, PERDITE DELLA RETE E INVESTIMENTI NECESSARI
Gli elementi di criticità rispetto allo stato delle infrastrutture sono legati in prevalenza alla vetustà
delle reti e degli impianti: il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa (percentuale
che sale al 70% nei grandi centri urbani); il 25% di queste supera i 50 anni (arrivando al 40% nei grandi
centri urbani) e le perdite di rete sono superiori al 42%. Negli ultimi anni gli investimenti realizzati
dagli operatori industriali, grazie all’impatto della regolazione ARERA, sono saliti fino a 44 euro annui
per abitante (con un aumento vicino al 30% negli ultimi 7 anni), ma per raggiungere i migliori standard
europei bisognerebbe salire a 80 euro.
Le aree del Paese in forte ritardo sono soprattutto nel Mezzogiorno, dove le ancora numerose
gestioni comunali “in economia” non possono assicurare livelli di servizi e investimenti adeguati,
creando iniquità fra diverse parti del Paese.
Alla vetustà delle reti si aggiunge anche la questione della “depurazione delle acque reflue”: circa
l’11% dei cittadini, infatti, non è ancora raggiunto dal servizio di depurazione. La maggior parte di
questi agglomerati sono concentrati nel Mezzogiorno e nelle Isole. La conseguenza – oltre ai danni
ambientali – è nelle sanzioni europee comminate all’Italia, colpevole di ritardi nell’applicazione delle
regole sul trattamento delle acque reflue.
Per quanto riguarda la questione delle perdite di rete, circoscrivendo il problema ai soli capoluoghi
di provincia italiani, la dispersione media ammonterebbe al 37% dell’acqua immessa, con evidenti
differenze nelle differenti aree geografiche e singole regioni

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