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Afghanistan, i veterani italiani: “Il sacrificio dei nostri militari non è stato vano, ha vinto la fede millenaria”

Pacella, presidente dell’associazione Good Guys in Bad Lands, parla di tristezza nel vedere le immagini di Kabul in mano ai Talebani, ma aggiunge che bisogna capire il contesto e perché i combattenti afgani non hanno combattuto.

“C’è una profonda “tristezza” nel vedere le immagini dell’Afghanistan tornato in mano ai Talebani ma bisogna anche comprendere le ragioni che hanno condotto a un’avanzata così rapida del movimento dopo 20 anni di presenza internazionale sul campo.

Per Rocco Pacella, presidente dell’associazione Good Guys in Bad Lands, che riunisce uomini e donne che indossano un’uniforme a livello internazionale con l’obiettivo di valorizzare e unire nel mondo lo spirito del Brothers in Arms, “la verità su quello che sta succedendo in Afghanistan è tutta scritta nella bandiera dei Talebani che sventola sul palazzo Presidenziale”, ha vinto “una fede millenaria sulla civilizzazione occidentale”.

– Cosa prova a vedere le immagini che arrivano da Kabul e dalle altre aree afgane?

“Penso che sia pensiero comune, c’è profonda tristezza e rammarico nel vedere tutto questo lavoro vanificato, ma guardando l’evoluzione di quello che è accaduto in così poco tempo in cui i Talebani hanno ripreso tutto l’Afghanistan ritengo che vada compreso il contesto.”

Lo sventolare della bandiera talebana, la Shahaba, con la scritta araba della testimonianza su Dio:

“Testimonio che non c’è nessun Dio al di fuori di Dio e testimonio che Maometto è il profeta di Allah”, dimostra che in Afghanistan ha vinto nuovamente una fede millenaria, la fede di un popolo antico come la terra che abita.

-Perché i Talebani non hanno incontrato ostacoli dopo il ritiro delle truppe internazionali?

“È questa la domanda da porsi, perché i soldati addestrati da oltre una generazione dall’Occidente non hanno combattuto? Siamo arrivati 20 anni fa per combattere la minaccia terroristica, e con la morte di Bin Laden quella guerra era vinta, ma restava un Afghanistan con la presenza del movimento religioso dei Talebani, con convinzioni condivise dalla popolazione in un modo che non è comprensibile all’Occidente.

Il popolo deve guadagnare la propria democrazia quando è pronto.

Sono stati per primi i soldati a non combattere perché non si sento appartenenti alla nazione Afghanistan come la intendiamo noi. Si tratta di tante province autonome che parlando lingue diverse. Perché devo morire per una cosa che non sento mia? E quindi ha vinto la fede, una fede che questa popolazione ha nel suo dna.”

– Il sacrificio dei militari italiani morti in Afghanistan è stato vano?

” No, il sacrificio non è mai vano. L’impegno italiano è stato preziosissimo nella regione occidentale, ne è valsa la pena. Una generazione è cresciuta con una forma mentis occidentale e l’Italia ha dimostrato come portare avanti i progetti di crescita e sviluppo.

Come contingente italiano avevamo un impiego diverso da Stati Uniti e Regno Unito, non combattevamo contro i Talebani a Est. Noi abbiamo operato in zone come Herat, dove con i fondi per la ricostruzione abbiamo dato vita a progetti di sviluppo, come le scuole per le bambine. E adesso di queste bambine che ne sarà? I Talebani di oggi dicono che saranno diversi, che sono cambiati, vediamo se sarà vero, ma stiamo parlando di uno stato islamico e della loro fede e noi chi siamo per dire che è sbagliata?”

-Cosa si può fare allora?

” La Nato è andata via perché la lotta al terrorismo era finita, ma adesso si può vigilare sul rispetto dei diritti umani. L’Onu deve intervenire per verificare le condizioni dei civili e dialogare a livello diplomatico con le nuove istituzioni. Oggi i Talebani dicono alla Russia negli incontri a Doha che consentiranno alle bambine di studiare e alle donne di uscire di casa non accompagnate, ma nello stesso tempo vediamo le scene delle fughe terrorizzate dei civili che temono il ritorno delle tenebre. L’Onu dovrà dialogare con il governo, apprezzabile o meno, per difendere i diritti civili.”

 

-Oltre all’evacuazione dei civili e dei diplomatici italiani, la Difesa si sta occupando di creare un ponte aereo per fare entrare in Italia i collaboratori afgani e le loro famiglie.

 

“Come associazione stiamo verificando che le condizioni di accoglienza di questi collaboratori e dei loro familiari, che sono stati già esaminati dalle autorità italiane e sono stati giudicati assolutamente affidabili, siano degne e che non vengano lasciati nei centri di accoglienza dove si trovano anche i migranti che arrivano illegalmente sulle coste italiane.”

Anche in questo caso vale il nostro motto, “nessuno rimane indietro”.

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