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Il Prof. Vicari su Giuseppe Blanco: “La cosa più bella al mondo è essere prigionieri di ciò che si ama”

Gela – Il cortile San Rocco dove si affaccia la Libreria Orlando gremito di gente, alcuni seduti nei gradini delle palazzine che vi si affacciano. Amici, vecchi colleghi, insegnanti, soci di club service, tutti accorsi per ricordare Giuseppe Blanco. Il libro edito dall’Inner Wheel e supportato da Unipegaso, Sisa e Ares, a trent’anni dalla morte ha attirato ancora. L’avventura editoriale avviata dal club Inner di Niscemi presieduto da Tiziana Alecci, nasce sotto i migliori auspici ed è destinata ad espandersi per diversi comuni siciliani.

 

In questo clima grave e raffinato si è espresso con un linguaggio colto, a tratti misto ad affetto sincero per un ricordo lontano ma ancora vivo, il prof. Gaetano Vicari.  Ecco la sua relazione integrale:

“Giuseppe Blanco nasce a Niscemi il 13 settembre 1926, dove è vissuto per molti anni.

Poi, all’Università di Catania, si laurea in Lingue e Letterature Straniere Moderne (sez. Francese), insegnando la lingua d’Oltralpe a Gela per moltissimi anni. Si trasferisce definitivamente a Gela nel 1963 dopo avere sposato la prof.ssa Ida Liparoti, pregevole e preparata docente di Lettere Classiche.

  1. Blanco fu giornalista, saggista, scrittore, si è detto, ma si mostrò anche un abile conferenziere. Pronunciò l’orazione funebre alla morte di M. Gori.

Appassionato di musica e di sport, è stato uno dei fondatori della squadra di calcio Virtus Niscemi, della quale seguì con interesse viscerale tutte le vicende sportive dal 1938 al 1988, scrivendo la Piccola storia del “Niscemi”.

Lui, assieme a Renata Giambene Minghetti, con Mario Gori e con il prof. Serafino Lo Piano, organizzatori instancabili di incontri e conferenze culturali, avevano dato vita a Gela, nel 1955, all’associazione “La Soffitta del Sud”, sotto gli auspici della “Pro Gela”, il cui presidente era il dott. Giuseppe Ventura.

È stato la personificazione della bontà e della cordialità, della professionalità, dell’umiltà e della semplicità, della serietà della ricerca, dello studio.

Aveva un sorriso accattivante, riusciva a parlare con gli occhi e ad ascoltare col cuore: è così che lo ricordo. Un giorno mi disse, ero ancora studente universitario, che non bisogna mai fermarsi nel campo della conoscenza, e che anche quando si raggiunge una meta, questa deve costituire l’inizio di un nuovo percorso e così … sempre. Compresi subito il suo suggerimento di impronta shopenhaueriana, e ne feci tesoro.

Raramente criticava, perché sapeva che la critica è dissacrante. Sapeva perfettamente che il torto ha sempre urlato e che la ragione ha perpetuamente parlato: era questa una sua verità.

Riusciva abilmente a stondare le spigolosità e, decussando le incomprensioni con le pretese, arrivava sempre a una soluzione di conciliazione.

Stava dalla parte dei giovani e impiegò tutte le sue forze culturali nel giornalismo sportivo, perché conosceva il detto di Bernanos: Quand les jeunes ont froid, tout le monde claque des dents, è una metafora che sta a indicare che quando nei giovani affiora un malessere, i grandi devono preoccuparsi. Aveva capito che lo sport allontana il male e, giornalisticamente parlando, vi si era buttato anima e corpo.

Il giornalista

Giuseppe Blanco, uomo raro e prezioso, ha fatto dello stile una sostanza; la sua frase vibra, ritma il susseguirsi delle tematiche ed è incline a ricevere su di sé una corretta calibratura del suo lessico, sempre apprezzabile e costantemente scelto con cura e meticolosità.

Ogni parola è filtrata dalla sua consolidata esperienza di erudito, di uomo di cultura ed è registrata e collocata in un contesto esplicativo che non è mai freddo e distaccato, anzi è appassionato e coinvolgente. I concetti sono sempre precisi, lo stile è personale, la forma è scorrevole, le idee sono chiare, la lettura è decisamente piacevole.

Egli doma la parola e ne sfrutta abilmente la compatibilità collocazionale e l’occorrenza posizionale, la sceglie non in modo stocastico.

La sua scrittura è agile e scorrevole. È proprio il caso di dire che si è di fronte a una felice penna.

Era un uomo legato alla parola. Ha fatto cronaca per diversi lustri, cioè ha annotato ciò che è accaduto nella società, ha registrato lo spirito del tempo di una comunità con la lente focalizzante del ricercatore.

Giuseppe Blanco ha rivelato un interesse particolare per l’aneddotica e per le piccole vicissitudini, magnificamente riportate nel suo scritto da Liliana, di grandi personaggi, per inquadrare meglio, come sostiene ancora lei, vicende e protagonisti nel periodo storico nel quale sono vissuti.

Giuseppe Blanco ha anche fatto uso del commento, il suo strumento principale di conoscenza. Commentare significa, in primo luogo, pensare, ricercare e ordinare le idee, ponderare il giudizio, dopo averlo fatto decantare e sedimentare. Sapeva che il commento è sacralizzante.

Aveva capito che la ragion d’essere di un giornalista era il sistema delle 3 P (3P, pagina, penna, parola [pensiero]), che aveva esteso anche alla sua attività di scrittore.

 

Aveva capito che la lettera più importante era la B (bellezza artistica, Blanco, bianco – lindo, candido). Ogni lettera ha una propria storia ed è portatrice di significati: la B accorpa I, P, L, 3, 8 (∞), è alfa numerica e rappresenta graficamente la ragion d’essere di uno scrittore: la I una penna, 3P (parola, pagina, penna), L libertà. È il risultato finale di uno schizzo visivo: la penna I che “ara” il foglio (la sezione bassa della B) seminando le parole P:

 

E l’8 adagiato, l’infinito, la letteratura che mai perirà.

 

L’intellettuale

Indubbiamente uno scrittore, un saggista e un giornalista, che ha fatto della parola, come cronaca e come ricerca, la sua motivazione esistenziale. La sua ferrea formazione umanistica e la sua straordinaria familiarità con le parole l’hanno portato verso un profondo apprezzamento culturale della sua statura di intellettuale.

Aveva fatto proprio il detto baconiano: Il leggere rende l’uomo completo, il parlare lo rende pronto, lo scrivere lo rende preciso.

Blanco sapeva leggere gli occhi delle persone, i gesti, i movimenti, i fatti, sapeva leggere gli errori, i malintesi, i travisamenti. Ma a ciò aveva aggiunto: tuttavia chi osserva sa ancora di più. Era sempre pronto nel comunicare, nell’esprimersi, ma … la sua passione era scrivere.

Quest’atto lo portava a produrre, a strutturare il suo pensiero e a comunicare, attraverso un libro, il risultato finale della sua ricerca, cioè attraverso quell’oggetto sincronico in cui confluisce la diacronia dell’autore, vale a dire la concentrazione delle sue forze culturali raccolte durante un lasso di tempo relativamente lungo.

Un libro, dunque, è un concentrato di esperienze di vita dell’autore, una sintesi decantata di parole, un condensato di immagini mentali e di riflessioni, un distillato di eventi. In particolare un libro è un precipitato di pensieri modellati, di parole scelte. È l’energia della parola. È un invorticarsi di parti, uno snodarsi di passaggi, per dare il senso dell’orientamento mentale nel rapporto tra pensieri, parole e fatti. Eh, sì, i fatti devono essere pensati, meditati, ragionati, concatenati, valutati, varati. Nel mondo della ricerca storico-letteraria accade che se anche un solo fatto, una vicenda, un caso, un evento si dovesse perdere nel grande mare della cultura, lo studioso lo cerca come farebbe un investigatore, lo fiuta e lo rintraccia come opererebbe un ispettore di polizia e lo recupera come farebbe un intellettuale.

È la norma che ha sempre guidato Giuseppe Blanco.

Si può partire da un frammento  di un fatto (scheggia) per arrivare alla bellezza artistica. Questo, sostengo, è il sunto e la sostanza dei suoi scritti (scusate la lunga allitterazione e sottolineatura in ‘s’) e la forza del suo pensiero.

 

Ma tutto ciò sarebbe poca cosa se non ci fosse l’impeto e la potenza della scrittura, perfettamente padroneggiata da Giuseppe Blanco.

Scrittura.

La scrittura è un’autentica tecnica di conservazione della memoria.

Alleata sia del tempo, inteso come imprescindibile e irrefutabile silenzio creativo, sia della mano, strumento insostituibile,

della penna, aratro instancabile

e del foglio, prato intrinseco irrinunciabile,

la scrittura è un esercizio monumentale di ripetizione, un rigoroso impegno di aratura.

La scrittura è distanziata dal pensiero, perché, rispetto alla prontezza di quest’ultimo, è flemmatica e comoda.

La scrittura deve installarsi nella lentezza della mano, deve lambire la semplicità e realizzarsi come esercizio di commento gemmante.

Nemica del presente con cui non si potrà mai riconciliare, la scrittura è diacronica e fiera di eternità.

Essa trova nel libro il suo oggetto sincronico e la sua proiezione nel futuro.

La scrittura è scalpello e inchiostro, e la parola scelta, attinta dal paradigma, è per sempre, perché diamantina e imperitura.

Il suo specchio riflettente è costituito dal testo che deve essere appetibile e allettante: deve attrarre il lettore che ne deve essere ammaliato.

È ciò che è riuscito a ottenere Giuseppe Blanco con le sue pubblicazioni.

 

Se si parte dall’accettazione che l’universo è un corpo scritto, si è con R. Barthes nell’affermare che “la scrittura è l’idioma puro dei cieli”.

Nella scrittura la parola si onora di essere stata scelta, per il suo peso significativo, per la sua valenza, per la carezza che riceve dalla grafia.

La scrittura raggruma, struttura lo spazio, ha uno spessore intransitivo, nel senso che non è permutabile.

È diletto e legge: essa chiede diletto, in quanto chi scrive lo fa con passione e dedizione, è il caso di Giuseppe Blanco, e, nel contempo, invoca di donare piacere, perché porta il peso dell’intervento instancabile dello scrittore.

Ma è anche legge, cioè ordine, regolamento, rigore, potere, norma, tradizione.

E Giuseppe Blanco ne è un autentico esecutore.

 

La scrittura è la salvezza di chi scrive, perché scarica pesi interiori, sgrava pensieri assillanti, libera scorie mentali.

Nella società è sempre esistita una frattura tra parola e scrittura. Si pensi alla rappresentazione del suono allo scritto, alla problematizzazione fonematica, alla trascrizione del fonema, alla distinzione tra suono, fonema e grafema.

E lui da ottimo francesista conosceva tutto ciò.

 

La scrittura è invenzione, è memoria, in quanto il cervello si libera dal compito di archiviazione.

Da grafia, o memoria ordinata, essa diviene scrittura quando, innervandosi e invorticandosi, entra nel campo della significazione infinita.

Il qui e ora della parola diventa il sempre e ovunque della scrittura. È come se quest’ultima fosse un SSD (ex hard disk, disco rigido), in cui la mente può salvare tutto quanto per attingervi ogni volta che ne ha bisogno.

La parola scritta nasce in una pausa di riflessione e di silenzio e viene recepita in uno spazio interiore di riflessione e di silenzio, quello creativo, operoso, dinamico.

Chi scrive deve esternare con una forma cordiale una severa sostanza.

È ciò che accadeva a Giuseppe Blanco, che riusciva elegantemente a stabilire un legame ombelicale tra la sua professione di docente, la sua passione di studioso e la sua vocazione di giornalista.

Scrivere per lui era un piacere dello spirito e quando nella sua mente vedeva una luce di verità, sentiva un brivido di commozione, di gioia, perché, come diceva con un’immagine opportuna Gandhi, la felicità viene dall’orgoglio di ciò che si fa e come sosteneva Sant’Agostino nutre la mente soltanto ciò che la rallegra.

Il tutto lo faceva con:

Semplicità è la riduzione intelligente della complessità delle cose.

 

  • Il ricordo

Io ho avuto la fortuna di conoscere il prof. Blanco.

Egli sapeva che: La cosa più bella al mondo è essere prigionieri di ciò che si ama e  lui è stato prigioniero di un prolifico pensiero pensante.

Per ciò:

  • Nel 1973 gli è stato assegnato il “Premio di Cultura” da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la sua attività di critico letterario e d’arte;
  • nel 1991, prima della sua scomparsa, gli è stato conferito, dal comune di Pisa, il premio nazionale “Le Regioni” per la sua carriera culturale, per l’attività letteraria, giornalistica e saggistica.

Di lui io ricordo e ho sempre apprezzato il fiuto del giornalista, la competenza del saggista e l’efficacia dello scrittore.

Giuseppe Blanco oggi non c’è. In molti, a partire da quel 22 aprile 1991, si sono chiesti se il vuoto da lui lasciato poteva essere colmato. Il vuoto esiste ancora, ma nel firmamento della cultura la sua stella continua a brillare, perché noi abbiamo ereditato alcuni concetti chiave:

  • Le cose migliori della vita sono gratis (un sorriso, una carezza, una pagina di un libro, una parola di conforto, l’amicizia [meravigliosa quella con Mario Gori]).
  • La moneta della cultura è la gratuità.
  • Il vero sapere è essenzialmente armonia (A. Panzini).
  • A volte occorre chiudere gli occhi per vedere più belle le cose.

 

Giuseppe Blanco, oltre ai concetti chiave, ci ha lasciato soprattutto una LEZIONE in cui è incardinato il suo pensiero e cioè che il silenzio e la passione sono i pilastri della creatività e che quest’ultima e la bellezza sono il motore che tutto muove.

Poi spetta alle parole spingere verso la conoscenza delle cose e agli esempi trascinare il lettore verso il piacere del sapere”.

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