Cronaca

E’ morto Biagio Conte

Palermo – Biagio Conte è morto. Il santo laico di Palermo, il visionario che lottava per i poveri. Biagio Conte era Palermo. La città che aveva deciso di abbandonare il 5 maggio del 1990, a ventisei anni, sparendo nel nulla.

“Stanco della vita mondana che conducevo – ha scritto Biagio Conte nei suoi appunti – ho sentito nel cuore di lasciare tutto e tutti, me ne andai via dalla casa paterna con l’intenzione di non tornare più a Palermo. Mi addentrai tra la natura e le montagne della Sicilia, iniziando un’esperienza di eremitaggio sotto il sole, la luna e le stelle”. Tifoso di calcio, fan di Dino Zoff e di Eros Ramazzotti di cui amava soprattutto la canzone “Terra promessa”, appassionato di arte, filosofia e psicologia con il sogno di diventare un pittore, Conte da un giorno all’altro comincia a vivere da pastore in una fattoria nelle campagne di Raddusa. I figli di Rosario Leonardi che lo accolse ai tempi, in questi giorni davanti alla porta della stanza dove il missionario laico si stava spegnendo, hanno raccontato che il giovane Biagio si faceva chiamare Francesco e parlava con i cani e con le pecore “per convincerle a mettersi in fila quando era necessario e a non distruggere il raccolto del grano”. E loro, assicurano i figli del pastore Leonardi, “lo ascoltavano”.

Da Raddusa, Conte, decide di incamminarsi verso Assisi. È il primo di tanti pellegrinaggi in lungo e in largo per il mondo che caratterizzeranno la sua vita. Voleva conoscere i luoghi e la storia di quel San Francesco che stava cominciando a plasmarlo. Intanto i suoi genitori, Maria e Giuseppe, lo cercano ovunque senza trovarlo. Il papà, a capo di una piccola impresa edile di famiglia, che Conte sedicenne aveva cominciato ad aiutare nel lavoro, all’inizio non riesce ad accettare la scelta del figlio, la madre al contrario comprende da subito che il suo bambino non appartiene più soltanto a lei.

La scomparsa di Conte finisce alla trasmissione “Chi l’ha visto?”. Lui, però, non vuole farsi trovare e prega i pastori di Raddusa di non rivelare la sua identità. “Come spinto da un vento impetuoso – scriveva allora Conte – ho iniziato a camminare da pellegrino, attraverso le regioni dell’Italia fino ad arrivare ad Assisi, da San Francesco, a cui ho tanto sentito di ispirarmi per la sua profonda umiltà e semplicità e per l’aver donato la sua vita per Gesù e per il nostro prossimo. Durante il lungo viaggio ho incontrato diversi poveri e trasandati che mi riportarono alla mente quei volti poveri e sofferenti che vedevo nella città di Palermo”.

Comincia così la sua missione: dedicare la vita ai poveri. Nel 1992 i primi sono i barboni, i vagabondi, i giovani sbandati, gli alcolisti, gli ex detenuti e i profughi che vivono nei vagoni, sulle panchine e nella sala d’attesa della stazione centrale. Invisibili per tutti, diventano per lui “fratelli e sorelle”. È per loro che ogni notte prepara thermos con latte e the caldo, panini e coperte. Il cardinale Salvatore Pappalardo accetta di incontrarlo dopo le insistenze di Conte che si presentava continuamente davanti alla portineria della Curia: si innamorò della sua figura così vicina a San Francesco e decise di celebrare la messa sotto i portici della stazione centrale.

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