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L’ istituto superiore Eschilo celebra il DanteDi’

Gela – Il 2021 è l’anno in cui ricorre il settecentenario dalla morte del Sommo Poeta, Dante Alighieri.

A Gela l’Istituto d’istruzione superiore Eschilo diretto dal Prof. Maurizio Tedesco, ha organizzato una due giorni culturale per celebrare il Sommo poeta. Il 24 marzo alle 11.30 gli studenti del Liceo classico e del liceo delle scienze umane incontreranno Enrico Castelli Gattinara che terrà una dissertazione sul tema: ‘Come Dante può salvarti la vita’ . I lavori saranno introdotti dalla prof. ssa Rita Spataro. Il 25 marzo alle 9.30 il prof. Fabio Sciandrello introdurrà la prolusione : ‘Perché leggere ( ancora) Dante’. Il prof Vincenzo Iacomuzzi dialoga con il fratello Ulisse.

Nonostante il periodo incerto il Ministro della Cultura Dario Franceschini è intervenuto per presentare le principali iniziative che prenderanno vita a partire dal prossimo 25 marzo, data scelta per le celebrazioni del Dantedì. “Ci sarà una lettura dalla Divina Commedia di Roberto Benigni al Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica. Sarà trasmesso in diretta Rai” ha detto Franceschini. “È un anno particolare.  Speravamo di essere usciti dalla pandemia, invece la stiamo ancora attraversando. Anche su questo Dante ci aiuta. A sentirci una comunità nazionale con una forte identità, a sentirci uniti. Inoltre, ci insegna ad aver fiducia. Teniamo a mente l’ultimo verso dell’Inferno… che ci sia da monito e da speranza: ‘uscimmo a riveder le stelle’. Credo che tutti siamo in attesa di poter ‘riveder le stelle’, ascoltare musica, tornare nei teatri e nei cinema, non appena sarà possibile farlo insieme”. 

Dante Alighieri, all’interno dello stilnovo, elaborò un personale concetto d’amore, non più solo fonte e frutto di nobiltà spirituale, ma senti-mento che apre all’uomo la conoscenza (di tipo ‘analogico’) del Divino tramite la contempla-zione della perfezione e della bellezza dell’amata. Altre poesie giovanili, d’imitazione siculo-toscana, sono raccolte nelle Rime (1283-1308), che contengono anche le cosiddette petrose (ispirate dalla passione per una ‘donna pietra’, cioè dura e insensibile) e composizioni allego-rico-dottrinali. Sposatosi con Gemma Donati, ebbe da lei tre figli: Jacopo, Pietro e Antonia.

Prendeva intanto parte attiva alla vita politica schierandosi con la fazione dei guelfi bianchi; dopo aver combattuto a Campaldino contro i ghibellini d’Arezzo (1289), iscrittosi all’arte dei medici e speziali, fu tra i priori di Firenze (1300). Nel 1301, mentre era ambasciatore presso il papa Bonifacio VIII, i guelfi neri, prevalsi a Firenze con l’aiuto di Carlo di Valois, lo bandirono dalla città (1302), condannandolo in contumacia, sotto l’accusa di baratteria, a una multa e poi al rogo. Durante l’esilio, andò peregrinando, tra il 1304 e il 1310, per varie città e corti: fu a Forlì, Verona (presso gli Scaligeri), Bologna, in Lunigiana (presso i Mala-spina), a Lucca. La discesa di Arrigo VII (1310) rinfocolò le speranze dell’esule, che scrisse per l’occasione tre delle sue 13 Epistole. Dopo l’ultima condanna a morte (1315) dimorò a Verona (ove espose dinanzi al clero una tesi filosofica in latino, la Quaestio de aqua et terra) e infine a Ravenna, presso Guido Novello da Polenta: qui morì nel settembre 1321 e fu se-polto nella tomba che tuttora ne conserva le ceneri. L’esilio, esperienza centrale della vita di Dante Alighieri, fu anche il principale elemento ispiratore delle opere della maturità: mentre il poeta affidò al Convivio (1304-1307) le residue speranze di tornare a Firenze grazie ai meriti della sua dottrina, rivendicò, nel De vulgari eloquentia (1304-1305; trattato incompiuto, in lati-no), la funzione insostituibile dello scrittore nella formazione del linguaggio di un popolo e pose il problema di creare, mediante regole, un volgare nazionale ‘illustre’, che avesse la stes-sa dignità letteraria del latino. Spetta infatti all’opera poetica e critica di Dante Alighieri il merito di aver fatto assurgere il volgare toscano a livello di una grande lingua capace di alta poesia e di speculazione filosofica. Nel Monarchia (1312-1313 ca.; in latino) affermò l’autonomia dell’Impero rispetto alla Chiesa come garanzia per l’attuazione della felicità temporale. La Divina Commedia, infine, è il fondamento della letteratura nazionale; essa trascende ogni motivo occasionale ed è capolavoro di universale bellezza per la ricchezza di sentimenti umani che vi trovano espressione, per la vigorosa e armonica struttura e per il valore di sinte-si della visione medievale dell’universo che apre al Rinascimento.

Poema allegorico, iniziato probabilmente intorno al 1307 e compiuto negli ultimi anni di vi-ta, La Divina commedia fu chiamato dal poeta Commedia, in contrapposizione a ‘tragedia’, per i suoi aspetti lin-guistici e stilistici (fu composto in volgare, in uno stile mediano, anziché in latino aulico) e perché si conclude felicemente. Ebbe dai posteri, fin dal Trecento, l’epiteto di ‘divina’, consacrato dall’edizione veneta del 1555. È diviso in tre cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso) di trentatré canti ciascuna, più un canto introduttivo; consta di 14.233 versi in terzine in-catenate di endecasillabi. Soggetto letterale dell’opera è il viaggio immaginario dell’autore nell’oltretomba, compiuto nel 1300, anno del giubileo, con la guida di Virgilio nei primi due regni e di Beatrice, prima, e s. Bernardo, poi, nel Paradiso. A tale viaggio corrisponde alle-goricamente quello dell’umanità, sorretta dalla ragione (Virgilio), verso la felicità terrena, simboleggiata dal Paradiso Terrestre, e illuminata dalla rivelazione (Beatrice), di cui è depositaria la Chiesa, verso la felicità eterna.

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