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Una ‘passeggiata’ nell’essenza del Carnevale

Il Carnevale è, senza dubbio, la festività più ilare e colorata dell’anno, durante la quale ciascuno di noi si sente libero di dare sfoggio alla parte più fantasiosa di sé, con travestimenti e maschere che permettono, idealmente, di spogliarci del quotidiano, e costruire un sé fittizio, rivelatore di chi si vorrebbe, di chi si potrebbe o, semplicemente, di chi ci diverte essere, almeno per qualche ora. 

La festa ha radici religiose, e la parola stessa è connessa alla pratica di privazione da alcuni cibi, nella fattispecie della carne, da cui deriva la combinazione linguistica che ne è alla radice di due termini, carnem e (le)vare, poi fusi insieme con dissimilazione consonantica. L’etimo è, dunque, strettamente connesso al veto cristiano di consumare alcuni cibi durante la Quaresima e alla convenzione di svuotare la dispensa entro la sera antecedente il suo inizio. Il Martedì grasso, appunto, prende il nome proprio da questa circostanza. Sebbene la sua origine sia Cattolica, la settimana del Carnevale si è arricchita, nei secoli, di significati antropologici e simbolici, con varianti culturali, dando vita a un microcosmo in scissione rispetto all’incedere consueto, determinato da forme di trasgressione ed eccessi, per l’occorrenza legittimati e accolti. Questo progressivo “impaganimento” della festa ha, nel tempo, incontrato l’opposizione ecclesiastica, la quale si è issata a baluardo contro un razionalismo utilitaristico e uno spirito sovversivo e superficiale che trova fine ultimo esclusivamente in se stesso. 

In realtà bisogna guardare la questione con razionalità, evitando che preconcetti storici o morali condizionino la nostra interpretazione, e riconoscere che la drammaturgia e le vesti carnevalesche celebrano quei valori esclusi dallo standard annuale aderendo a ragioni precise e vincenti per una concisa perentesi temporale. 

Già Rousseau aveva espresso dissenso contro un’inopportuna opposizione leggendovi una forma di asfissia in quanto soffocava un’attività collante per il popolo e il suo istinto creativo, costretto nella monotonia quotidiana. Bachtin ha descritto il Carnevale come un rito alternativo, materiale e rivoluzionario, in cui il popolo sperimenta un rinnovamento cosmico, sociale e individuale. In questa interpretazione rintracciamo una forma concisa del trinomio vita-morte-rinascita. 

E in effetti, la successione Carnevale-Quaresima-Pasqua porta con sé, in essere, questo flusso oscillante e andante, che si elabora fino all’esplosione ultima di rinascita di corpo e spirito. Intendendo il Carnevale come rito di rinnovamento riscontriamo nella sua ilarità il principio cosmico di beffeggiamento e liberazione da una veste metodica, in favore di una libertà rinnovata e parziale, quello che da Freud è descritto come un eccesso permesso e un’infrazione codificata. 

Il momento celebrativo ha un rapporto diretto e consequenziale con gli scopi superiori dell’esistenza umana, con il cambiamento e con la capacità di lasciare alle Ceneri il superfluo per poi rinascere in una Pasqua di intenti. Il Carnevale è una utopia condivisa, in cui il popolo sfoga abbondanza e disinibizione, ma è anche cosciente comprensione di una ciclicità con confini predefiniti.

Roberta Dainotto

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