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Perché l’efficacia dei vaccini di Pfizer e Moderna è una promessa anche contro le future pandemie

Tempi rapidissimi di produzione, in grande quantità, ottenendo una risposta immunitaria ottimale. La sfida della tecnologia a Rna messaggero (mRNA)

Era tenuto nel conto, da alcuni inascoltati osservatori, il coronavirus che tiene sotto scacco da mesi l’intero pianeta. La sovrappopolazione, unita alla spinta in territori di altre specie animali, il consumo di foreste, l’intensività negli allevamenti e un complesso di altri fattori favorivano prima o poi uno spillover. Per eventuali nuovi salti all’uomo, o possibili mutazioni nel corso del tempo dello stesso SARS-CoV-2, le evidenze che arrivano dai test sui vaccini in stadio più avanzato sono un elemento di significativa importanza. Perché se effettivamente confermato il successo delle sperimentazioni di Pfizer-BioNTech e Moderna (più tutte le altre a seguire) implica che, potenzialmente, disporremo di una nuova potente arma contro future pandemie.

In cosa consiste la svolta

La ragione sta nell’ingegnoso meccanismo di funzionamento alla base di entrambi, ovvero la promettente tecnologia ad RNA messaggero. «Si tratta di una nuova classe di vaccini composti di una sequenza di mRNA che codifica per una proteina specifica (antigene). L’RNA messaggero veicolato da goccioline lipidiche all’interno del corpo della persona, produce la proteina spike di cui il virus si serve per agganciare le cellule umane e penetrarle», sintetizza Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di ricerca in Statistica medica ed Epidemiologia molecolare presso l’Università Campus Bio-Medico. In buona sostanza si trasformano le cellule in fabbriche di sostanze capaci di annientare la minaccia del virus. «Questo tipo è più sicuro e ha meno effetti collaterali rispetto ai vaccini composti da virus inattivati. È più facile da produrre rispetto a quelli tradizionali e non contiene alcun agente infettante. Inoltre il processo di fabbricazione è più economico e più veloce e quindi di grande utilità nel combattere agenti patogeni in piena evoluzione (virus dell’influenza e oggi il caso del SARS-CoV-2)». Nei vaccini ad mRNA si può inserire direttamente una sequenza genetica di un antigene agente-specifico nell’organismo attraverso un veicolo che possono essere goccioline lipidiche o vettori tipo adenovirus umani o di scimpanzè. «Questa sequenza del mRNA poi è utilizzata dal macchinario di sintesi della cellula ospite per produrre l’antigene, la proteina e in caso di SARS-CoV-2 la spike».

Il ruolo degli anticorpi neutralizzanti

Sia in caso di mutazioni relative al Covid-19 sia nella comparsa di altri patogeni la piattaforma potrebbe essere pronta all’uso, grazie a velocità e agilità che sono i due veri punti di forza. Entrando più nel dettaglio Ciccozzi spiega che «il vaccino può stimolare i linfociti B che producono anticorpi, un sottotipo di linfociti T (CD4+) o un altro sottotipo di linfociti (i CD8+, chiamati anche CTL). L’approccio più promettente, almeno in teoria, è quello di stimolare la produzione di anticorpi neutralizzanti anti-spike. Questi impediscono al virus di entrare nelle cellule dell’organismo: finché un soggetto produce anticorpi neutralizzanti, il virus che si deposita sulle mucose (per esempio quella del naso) non può entrare nelle cellule e il soggetto non ammala».

A che punto è la sperimentazione

Il vaccino contro SARS-CoV-2 sviluppato da Pfizer e BioNTech ha completato i test di fase 3 su 43.500 volontari, risultando efficace al 95% nel prevenire la comparsa dei sintomi (e quindi la malattia), anche negli anziani. «Lo studio si basa sull’analisi di 170 persone contagiate, di cui 162 nel gruppo che ha ricevuto un placebo (a base di acqua e sale) e 8 tra i vaccinati. Dieci persone hanno sviluppato Covid-19 in forma grave e solo una di queste aveva ricevuto il vaccino. Gli effetti collaterali sono stati lievi/moderati e si sono risolti rapidamente. Il più grave è stato l’affaticamento, che ha colpito il 3,7 per cento dei volontari dopo la seconda dose (effettuata dopo 3 settimane dalla prima)».

Le domande senza ancora risposta

Come è stato ampiamente annunciato le forniture all’inizio saranno tanto limitate da non consentire un’uscita fulminea dalla pandemia per nessuno dei Paesi. Tutti e due hanno bisogno della doppia dose a distanza di tre settimane (Pfizer) o quattro (Moderna). Ma uno dei grandi punti interrogativi riguarda, anche secondo l’epidemiologo del Campus Bio-Medico, la logistica della distribuzione. «Il vaccino della Pfizer deve essere conservato a 70-80 gradi sotto zero. Quello prodotto da Moderna dura fino a 30 giorni a 4 gradi centigradi, quindi sarebbe più facile da conservare e da trasportare rispetto a quanto previsto per il farmaco di Pfizer». Stessa “filosofia” di fondo ma formulazioni lipidiche diverse per racchiudere e proteggere l’mRNA. «La facilità di trasporto e conservazione è senz’altro un vantaggio perché sarebbe possibile effettuare le vaccinazioni in farmacie, studi medici, ovunque sia presente un normale frigorifero». In Italia, ad esempio, «gli unici due aeroporti certificati per ricevere farmaci sono Fiumicino e Malpensa, ma non sono attrezzati con frigo a così basse temperature come richiede il vaccino Pfizer». Senza tralasciare il fatto che «la catena del freddo deve essere assicurata dal momento in cui il farmaco esce dal sito produttivo fino a quando la dose viene somministrata: se mal conservati i vaccini perdono in efficacia». (IL SOLE24ORE)

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