La storia della settimana

Iraq: parla il gelese Flavio Martines

Il giallo dell’Iraq si infittisce. Dopo i due operai morti qualche settimana fa vengono fuori altre storie. Non si sa se assimilabili al possibile pericolo di cui si sta occupando la magistratura ma di sicuro accomunate, quantomeno dal confine territoriale dove si configurano e dall’elemento patologia. I due dipendenti Eni, Gianfranco Di Natale e Filippo Russello non ce l’hanno fatta, spazzati via in pochi attimi e l’ipotesi su cui i magistrati indagano è di omicidio colposo. Le procure di Palermo e Gela indagano per capire perché sono morti due operai in servizio all’Eni in raffinerie irachene. I due lavoratori sono deceduti all’improvviso per problemi cardiaci. Coriacea la tempra di Flavio Martines, 54 anni. Colpito da ictus nell’aprile scorso è tornato a casa e adesso si trova nel reparto di riabilitazione della Casa di cura Santa Barbara per il suo percorso di ripresa delle funzionalità degli arti, in particolare del lato destro del corpo. Martines era in impiegato negli uffici Eni di Bassora dove è rimasto 4 anni. “Quando è accaduto il fatto – racconta – sono stato trasportato a Dubai, in un ospedale che si può paragonare alla serie TV E.R.; strutture avvenieristiche senza precedenti. E’ lì che mi hanno trattato nel momento tragico in cui è insorto l’ictus. Se fossi stati qui, sarei morto da sette mesi e invece sono qui a combattere. Poi ho subìto due intervento chirurgici: uno a Milano ed uno a Messina. Mi attende un altro intervento per la ricostruzione della calotta cranica. Non so a cosa sia dovuto tutto ciò, certo mi piacerebbe saperlo, ma non posso puntare l’indice contro alcuno, nè mi va di dir male di chi mi ha dato il lavoro con cui ho mantenuto la mia famiglia. Di certo ho ricevuto tutte le cure di cui avevo bisogno, le più accurate e sono qui a raccontarlo”. Alto, fisico asciutto ereditato geneticamente, Martines 54 anni, sposato e padre di 3 figli, non si arrende: per carattere appartiene ad una famiglia che affronta la vita a muso duro. E’ assistito dalla moglie e dai suoi figli ma già si muove in carrozzina con il piglio di cui è capace per forza di volontà.

E intanto altri operai in trasferta in Iraq stanno cominciando a pensare di tornare a casa, sapendo di guadagnare meno soldi ma di più in salute e rischi

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