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Gela. Una sanità pubblica malata e distante dal cittadino. Cosa fa il comune e cosa può fare. Noi un’idea l’abbiamo e loro?

Le nostre idee per il Sindaco, l'assessore e la Commissione consiliare

Tutti i programmi per durante le campagne per elezioni comunali contengono una parte sui servizi sociali e sanitari. I soggetti politici che si presentano vorrebbero costruire proposte che rispondano ai bisogni vecchi e nuovi della popolazione. Certamente il fattore ‘dimensione’ è fondamentale: per i Comuni piccoli di un territorio omogeneo è essenziale la capacità di mettersi in rete e collaborare (ad es. con la Conferenza dei Sindaci).

Sappiamo che ai comuni non è affidata l’organizzazione e gestione dei servizi sanitari. Tuttavia un sindaco non è un buon sindaco se non si occupa prioritariamente delle questioni della salute e della protezione sociale dei concittadini. Di conseguenza è fondamentale – tenendo conto delle differenze delle norme regionali che sussistono a questo proposito – l’azione dei comuni in termini di controllo, proposta, e ‘rivendicazione’ nei confronti del livello regionale e delle aziende sanitarie. L’applicazione rigida del modello aziendalista ha annichilito la questione del governo democratico della sanità e del sociale. Invece, a 40 anni dalla legge 833, uno dei suoi capisaldi – il legame col territorio – deve essere con forza riaffermato.

Cosa Fanno i nostri governanti cittadini per ciò? Sindaco, assessore e commissione sanità a parte i proclami e comunicati? Vedendo fino ad oggi cosa è la sanità pubblica in città e la situazione di un Ospedale che dovrebbe servire un bacino di circa 150.000 persone veramente poco se non nulla.

Sui social il dibattito è aperto. Un commento su tutti, lo citiamo solo perché ultimo in ordine temporale, quello di Marco Maniglia imprenditore gelese che non le manda di certo a dire.

È necessario che la tutela e produzione di salute sia in capo a ogni altra politica amministrativa locale, dall’urbanistica ai trasporti, dall’istruzione all’edilizia pubblica e privata, poiché è ormai nozione diffusa che i principali danni per la salute derivino dall’ambiente. Ogni comune, singolo o associato, deve avere un Piano per la Salute e, funzionale a questo, disporre di un Profilo di Salute del territorio: strumento che non deve essere non generico e vedere il coinvolgimento degli operatori socio sanitari nella sua costruzione.

Deve essere rafforzata la funzione informativa dei responsabili delle strutture sanitarie e quella di controllo da parte dei cittadini (chiedendo uno sforzo anche di traduzione della neolingua manageriale…). La riunione periodica del Consiglio Comunale con la dirigenza delle strutture sanitaria deve diventare una pratica corrente. L’informazione è a base di ogni pratica di partecipazione, che, anche rispetto ai servizi socio sanitari, è generalmente depressa o presente solo formalmente in gran parte del nostro paese. Sono diverse le leggi regionali che regolamentano questo aspetto (Comitati di partecipazione, Consulta, …) ed il Comune, sfruttando adeguatamente le norme presenti o promuovendo nuove forme di consultazione, deve assumere la promozione della partecipazione come impegno prioritario.

Rivendicare presso Regione e aziende sanitarie il potenziamento del personale sanitario e sociale (senza dimenticarsi della prevenzione collettiva e la salute mentale!) e l’eliminazione di precariato e sfruttamento del lavoro professionale in questo campo. La missione delle direzioni generali va riequilibrata. Bisogna richiedere che si occupino particolarmente dei carichi di lavoro, del clima organizzativo, del benessere degli operatori e della loro soddisfazione che è direttamente proporzionale al benessere degli utenti. L’incremento di personale, unitamente a seri controlli ex post sulla appropriatezza clinica delle attività di prescrizione degli accertamenti specialistici e farmaci, è anche funzionale ad aumentare per quanto serve l’offerta pubblica di prestazioni specialistiche, articolate per Percorsi Diagnostico Terapeutici e in continuità ospedaliero-territoriale.

Tra i problemi che un sindaco si vedrà riferire c’è senz’altro quello delle difficoltà di accesso alle prestazioni. Sicché, dovrà considerare anche la rivendicazione della trasparenza delle liste d’attesa. I tempi di attesa per le principali prestazioni devono essere fatti conoscere efficacemente, nonché disporre di procedure di sostegno alle persone che incorrono nel superamento dei tempi standard previsti dalle norme.

Ecco alcuni riferimenti generali:

  • vi è una stretta relazione tra condizioni socio economiche, ambiente, alimentazione e salute
  • non può essere il mercato (il profitto) l’unico principio ordinatore del mondo, ma occorre che ci sia una sfera pubblica che agisce in nome di un interesse generale di giustizia e coesione sociale
  • l’ospedale non è l’unica sede in cui si tutela la salute; deve essere lo strumento finale a cui ricorrere dopo aver utilizzato gli altri rappresentati da una pianificazione urbanistica e una programmazione che mettano al centro la salute e la tutela delle risorse di supporto alla vita (aria, acqua, suolo, alimenti) e che indirizzino i cittadini verso l’assunzione di comportamenti ecologicamente corretti e salutari, interventi di screening ove disponibili, forte sostegno e promozione della medicina di base.

Il momento storico, negli anni della ‘crisi senza fine’, è caratterizzato dall’aumento della precarietà, della povertà e dei livelli di diseguaglianza, da una contaminazione diffusa delle matrici ambientali e dal cambiamento climatico che aggravano tutte le precedenti criticità.

Il sistema pubblico presenta diversi profili e tendenze alla privatizzazione ed è sottofinanziato. Le differenze regionali e locali sono in aumento . Vi è un incremento delle difficoltà d’accesso alle prestazioni (liste d’attesa) e pesano molto le norme riguardanti il blocco delle assunzioni e l’eccessiva compartimentalizzazione delle singole professioni sanitarie. In questi ultimi anni si registra una tendenza al gigantismo aziendale per perseguire una fallace economia di scala. I bisogni si fanno sempre più complessi (in primis l’epidemia di malattie croniche) ed il personale è più disorientato e demotivato. I servizi sociali sono quelli che hanno subito i tagli più pesanti negli ultimi anni (ad es. la quantità di ore di assistenza domiciliare è tra le più basse tra i paesi Eu, il sostegno alla non autosufficienza è assolutamente carente…).

La carenza di personale è la causa prima della difficoltà ad usare al meglio le dotazioni sanitarie di diagnosi e cura che ci sono, della difficoltà ad assicurare la indispensabile continuità dell’assistenza ospedale-territorio, delle liste di attesa e degli orari e delle condizioni di lavoro stressanti dei lavoratori del settore socio sanitario (da 10 anni non c’è il rinnovo contrattuale in sanità!).

Una mancanza particolare importante è anche che frequentemente le aziende sanitarie non forniscono dati epidemiologici descrittivi adeguati dello stato di salute della popolazione e quindi dei bisogni di assistenza e promozione della salute.

Deve essere riaffermato il diritto alla tutela della salute contro ogni forma di privatizzazione, palese o strisciante, ed il diritto alla dignità del lavoro in sanità pubblica e privata. I cittadini hanno diritto ad una sanità universalistica e pubblica. Sulla salute non è giusto fare profitti, quindi deve essere contrastata la strisciante privatizzazione alla quale abbiamo assistito in questi ultimi anni, che sta rischiando di riportarci alla situazione ante Riforma Sanitaria. In sintesi, dobbiamo porre nel nostro paese l’obiettivo di una ‘ri-pubblicizzazione del servizio sanitario’. A supporto di ciò, oltre che motivi etici relativi all’uguaglianza delle persone di fronte a un diritto fondamentale, stanno solidi dati e confronti internazionali sui sistemi pubblici che sono sicuramente quelli più economici e sostenibili.

Fermo restando l’importante funzione integrativa – ma non sostitutiva delle funzioni pubbliche – del volontariato, non possono essere messi progressivamente sullo stesso piano l’erogazione dei servizi da parte dei privati rispetto al pubblico; si indurrebbe così la dismissione della gestione diretta e dell’erogazione di molti livelli di assistenza senza nemmeno valutare preventivamente i costi e i benefici. Questi orientamenti sono stati spesso anche il cavallo di troia con cui si sono creati anche precarizzazione dei rapporti di lavoro e perdita di competenze del servizio pubblico. Dobbiamo far vivere la ‘protezione sociale’ come un diritto, e non lasciarlo collocare nella sfera del favore o della carità.

LE CASE DELLA SALUTE

Case della salute come asse strategico su cui riorganizzare i servizi sociali e sanitari e investire risorse finanziarie ed umane; ma non si possono fare pure operazioni di facciata, come è in tante situazioni avvenuto finora, bisogna ripensare il modello organizzativo e le gerarchie nel sistema organizzativo, sia dei servizi sanitari, sia dei servizi sociali, calibrandoli sulle esigenze reali della popolazione.

  • se si vogliono ridurre gli accessi impropri al Pronto Soccorso, i ricoveri impropri negli ospedali, se si vuole evitare che le persone anziane e gli adulti con problemi di non autosufficienza, vengano dimesse dagli ospedali senza un adeguato supporto a livello domiciliare, dobbiamo investire prioritariamente sulle Case della Salute; questa scelta ha anche una ricaduta economica positiva sui costi della sanità.
  • il bisogno di salute dev’essere riconosciuto prima dell’insorgere della malattia o dell’aggravamento (sanità d’iniziativa). I comuni devo richiedere e promuovere verso le aziende sanitarie un superamento dell’assistenza territoriale basata unicamente sulla erogazione di prestazioni, occasionale e frammentata. Ci vuole una presa in carico complessiva della persona, non più soltanto risposte assistenziali all’emergere acuto del bisogno.
  • attribuire al Direttore di Distretto più poteri; è necessario un modello organizzativo a rete, non a piramide, che si muova in una logica di processo in cui chi governa il processo deve essere nelle Case della Salute, cioè bisogna rafforzare l’interfaccia tra bisogni ed organizzazione delle risposte ai bisogni; prevedere la necessità di affiancare ad Aziende grandi e sempre più legate alla sanità ospedaliera (comunque da ridiscutere, contro una eccessiva tendenza al gigantismo), zone distretto e Società della Salute forti con budget dedicati e competenze sociosanitarie.
  • per realizzare il cambiamento è fondamentale un nuovo atteggiamento di coinvolgimento degli operatori socio sanitari del territorio: obiettivo fondamentale deve essere quello della motivazione, non la loro gestione burocratica. Questo presuppone un lavoro di relazione molto profondo e ravvicinato sul quale l’organizzazione sanitaria deve investire con tenacia e con pazienza, oltre che con determinazione.
  • interessanti alcune proposte come quello di far svolgere i tirocini formativi della Facoltà di Medicina anche sul territorio; abbiamo bisogno che l’Università formi nuovi medici e nuovo personale sanitario sempre più capace di interagire e rispondere ai bisogni di salute della popolazione sul territorio non solo in chiave tecnologica e di iper specializzazione, ma affinando la capacità di diagnosi anche attraverso l’ascolto, l’accoglienza e la solidarietà che consenta una presa in carico delle persone nel suo insieme e non solo per organi.
  • anche le insufficienti strutture consultoriali materno infantili dovrebbero essere parte integrante delle CdS ed offrire, particolarmente alle donne, quella assistenza ostetrico ginecologica che costituisce parte non piccola della spesa privata il sostegno alla disabilità deve essere avulso da ogni logica ghettizzante e prevedere la più intensa possibile valorizzazione dell’autonomia e dei progetti di vita delle persone.

Conclusione
Il Servizio Sanitario locale riesce ad esprimere tutta la sua forza e garantire una reale vicinanza alle esigenze della popolazione se viene svincolato da un potere decisionale tutto incentrato sul controllo economico e lontano dalle conoscenze del territorio. È quindi compito anche dei Sindaci l’esercizio di una forte azione di vigilanza e di pressione perché non vengano perse esperienze proficue a livello locale e sia sempre garantito un alto livello di assistenza. Tutto ciò rappresenta anche un ‘contrappeso democratico’ allo stato delle cose presenti. La stessa democrazia, infatti, non può essere una pratica ridotta alle sole procedure elettorali.

Fonti
studi ed analisi sanità
quotidiano sanità

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