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La parola all’esperta: l’accezione dell’espressione ‘ragazzi speciali’

Scrivo dopo una lunga riflessione in merito alla notizia degli ultimi giorni circa la riapertura delle scuole per gli alunni ‘speciali’ a cui fanno riferimento numerose testate giornalistiche.

Premetto che la mia non vuole essere una polemica, ma una mera riflessione a cuore aperto di una madre, nonché docente di sostegno specializzata che ogni giorno collabora con i suoi colleghi curriculari per la realizzazione dell’apprendimento di numerosi alunni, ciascuno dei quali possiede un proprio stile cognitivo e differisce dall’altro, dunque ciascuno dei nostri ragazzi potrebbe essere definito ‘speciale’, utilizzando il termine nella pienezza del suo etimo. 

La radice della parola speciale, in latino è la medesima di ‘specie’ e credo sia non proprio inclusivo attribuire tale etichetta ai ragazzi con bisogni educativi ‘speciali’ siano essi con disabilità o con disturbi specifici dell’apprendimento. Non mi soffermerò sull’etimo della parola ‘disabile’ che è stato soppiantato dal buonismo dell’apparente politically correct ‘diversamente abile’, ma  rispetto a chi e a cosa?  Se dobbiamo accettare tali attributi, dovrebbe esistere il loro contrario e spero non sia ‘normale’ o ‘normodotato’. Personalmente trovo tutte queste definizioni, impropriamente utilizzate da giornalisti, politici e pseudo promotori di giustizia,  discriminanti  e permeate di ipocrisia.

Mi sono ritrovata a leggere e ad ascoltare numerose interviste in cui sovente si parla del rientro a scuola solo ed esclusivamente dei ragazzi con disabilità, come di una ‘specie’ altra e ciò è quanto di più improduttivo e pedagogicamente inefficace possa essere fatto. Il rientro a scuola dei soli ragazzi con disabilità per ‘garantire il rapporto 1 a 1’con il docente di sostegno,  a cui i saccenti del momento fanno riferimento è un anacronistico approccio didattico, è come  fare un salto nel tempo a ritroso  di più di mezzo secolo, un ritrono alle classi speciali , come ghettizzare ed isolare studenti che hanno il diritto all’istruzione e all’apprendimento , che non è fatto solo di metodologie e nozionismo, ma che prevede strategie trasversali, come le relazioni sociali. I docenti, siano essi curriculari o specializzati, lavorano tutti i giorni per favorire una didattica ibrida ed inclusiva, che sia al contempo personalizzata ed individualizzata e per realizzare ciò necessitano di una risorsa che non può scindere dall’apprendimento, la risorsa umana.

Condivido pienamente la scarsa produttività della Didattica a distanza e sono favorevole al rientro in classe dei discenti , ma di tutti, perché nessuno di noi vorrebbe il proprio figlio in un’aula vuota col solo docente, dove ogni singolo banco gli parla dei suoi compagni , per fargli sperimentare una solitudine che indurrebbe l’insorgere di sentimenti di frustrazione in un ragazzo che merita di vivere come tutti gli altri.

Il vero handicap della società siamo noi , quando mostriamo  sentimenti di pietà e mostriamo buonismo, (perché la bontà è altro ) nei confronti dei nostri alunni con disabilità, consentendo a questi ultimi di tornare a scuola, ma la scuola non è solo spazio fisico, la scuola, senza i suoi studenti, rimane un terreno non fertile.

Noi siamo chiamati alla piena realizzazione dell’individuo e numerose strategie della pedagogia moderna per il consolidamento dell’apprendimento prevedono la cooperazione tra i pari , senza i quali, molte delle nostre fatiche giornaliere risulterebbero vane.

La mia digressione non è priva di fondamenti , basta leggere le ultime dichiarazioni rilasciate da  D’Alonzo e Ianes, massimi esponenti della didattica per i bisogni educativi speciali , i quali affermano l’importanza della didattica ‘de visu’ , proponendo una valida alternativa , quale la turnazione del resto dei compagni, costituendo gruppi eterogeni che possano realmente promuovere la realizzazione del processo educativo.

Ciascuno dei nostri ragazzi possiede tesori nascosti ed inesplorati, competenze complementari, necessarie al resto dei compagni e portare in un’aula vuota un ragazzo con disabilità è la barriera più alta che si possa ergere nei confronti del principio di ‘inclusività’.

Siamo noi a dover abbattere tali ostacoli e a depennare totalmente le etichette, e finché non saremo in grado di farlo, finché non supereremo il nostro limite, la scuola non potrà portare a termine la missione a cui è chiamata.

La scuola deve essere aperta a tutti, ma la sua apertura non deve essere circoscritta alle quattro mura di cemento, la sua deve essere un’apertura che sappia vedere ‘oltre’, perché vede, cara Signora Blanco, e La invito a pubblicare la mia lettera, siamo noi i ‘diversamente abili’ nella nostra incapacità di guardare gli studenti non per ciò che possiedono, ma per ciò che sono, ragazzi , con le loro storie, le loro diversità, le loro capacità.

La ringrazio anticipatamente e spero vivamente che gli studenti, appartenenti tutti alla medesima specie, ciasucno con le proprie singole ed uniche  caratteristiche e diversità che li rendono speciali, a tornare a scuola.

Prof. Giovanna Lo Porto

 

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