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“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”

Rubrica di ispirazione cattolica a cura di Totò Sauna

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Giovanni 6, 51-58

 

“Mi fa impazzire  di gioia vedere un Dio che si fa mangiare. Che si fa Corpo e Sangue per me. Per noi. Per alimentarci. Sa che siamo dei deboli. A volte ci mancano le forze per seguirlo. Che appena ci sentiamo lo stomaco vuoto, perdiamo il lume della ragione. Allora, ecco, si fa Pane. Per noi. Che amore. Che gioia grande. Ma da quale fame ci vuole sfamare il nostro Dio? Esistono tante fami. Non fatemi fare l’elenco. C’è una fame che non riusciamo mai a soddisfare : l’avere. Avere. Soprattutto, la felicità. Abbiamo legato, nella nostra vita, la felicità all’avere. La salute, i soldi, la bellezza fisica, i figli belli, le carriere. Tutte cose giuste. Ma quello che fa la differenza è il costo. Quanto siamo disposti per pagarli? A volte, anche la vita. A volte, tutto noi stessi. Per poi accorgersene dopo anni, dopo tanti anni, che alla fine sono delle cose non eterne. Finiscono. Scompaiono, Ci sono oggi, ma non ci sono domani. Che lasceremo tutto. Qui sulla terra.E continuiamo ad avere fame. Continua. Appena soddisfatta una fame terrena ecco ne nasce un’altra. E un’altra. Una corsa senza fine. Fate voi. Date voi un nome a questa fame. Un’altra moglie, un altro marito, un’altra macchina, un’altro cellulare, un altro vestito, e vai.  Una fame che si trasforma in insoddisfazione. Ci porta alla tristezza. Al malumore. Che ci portiamo dentro e che può portaci a malattie serie.  Dio si fa Pane eterno. Non ammuffisce. Non passa di moda. Che soddisfa tutta la nostra fame. Che ci sazia, ci conforta, ci aiuta, ci riempie di amore e pace. Che da le risposte alle nostre domande sul fine della vita.

Per poterlo scoprire per poterlo apprezzare è necessario parlare con Lui. Riflettere. Una domenica per riflettere su chi è Dio.
Una domenica per riflettere su cosa facciamo ogni domenica. Abbiamo bisogno di molto Spirito Santo per capire, per non banalizzare, per lasciarci convertire. Non è facile per chi si avvicina con molta superficialità comprendere che lì in quella particola c’è Cristo. C’è Cristo.Oggi è diventata, quando va bene, stanca abitudine, reiterata cerimonia, perdendo il senso dell’incontro con Dio, la consapevolezza dell’immensa fortuna che abbiamo nell’avere in mezzo a noi la presenza stessa del Signore che si fa pane spezzato, che si dona. Cosa ci è successo? Perché è così difficile partecipare ad una celebrazione in cui si respiri la fede? Perché i nostri preti, invece di parlare della Parola, ci inondano di inutili parole e di astratti concetti teologici, o giocano a fare gli intrattenitori simpaticoni? Perché le persone che abbiamo intorno, troppo spesso, sono solo degli anonimi spettatori con i quali non abbiamo nulla da spartire? Dobbiamo alimentare questo rapporto con Dio, Vale della nostra vita. Ci accorgiamo che spesso andare a Messa una volta la settimana non basta. E come andare a teatro, ad una sfilata. Un rituale, che a volte, non sentiamo. Non ci appartiene. Dobbiamo ricostruire il rapporto con Dio. Come? Con la preghiera. Continua ed insistente. Solo riscoprendo questo rapporto riscopriamo la grandezza dell’Eucarestia. Del Corpo e del Sangue di Cristo. E, se siamo cosi, in questo stato di grazia e se riusciamo a creare questo nuovo rapporto, credetemi, sperimentato, cambia tutto, Anche, l’eucarestia cambia sapore e ha il sapore di tutte le quelle fami che mi facevano stare male, non mi facevano dormire la notte .E’ Cristo che entra in me. Fisicamente. Allora, subito, di corsa, se Cristo centra nella nostra casa andiamo a pulirla, puliamo tutte le stanze, buttiamo tutto quello che non serve puliamo i vetri. Sta entrando Cristo, il massimo degli ospiti. Colui che ci guarisce. Allora, con tanta umiltà, prima di riceverlo, andiamo a liberarci dei peccati. Cristo non può entrare in un cuore e un’anima disordinata dal peccato. E, lasciamo la chiacchierata con il vicino di banco, mettiamoci  subito in preghiera. Parliamo con Lui. “ Padre Santo ti ringrazio che sei nel mio cuore. Aiutami, guariscimi, accompagni ogni passo della mia vita, illumina i miei pensieri. “ Quando sperimentiamo questa gioia, non dobbiamo e vogliamo  più perderla. Non dobbiamo lasciarla. Allora iniziamo ad avere una vita cristiana. Fatta di amore e perdono. Cristo al primo peccato ci lascia e va via, e ci lascia nelle mani del nostro io. Non può restare dove non è accettato. Perché vedete, amici lettori, il grande peccato è il nostro io.  Pensiamo di essere indistruttibili, eterni . Cambiamo rotta, è il giorno per tornare all’essenziale, per ridire la fede della Chiesa: noi crediamo nella presenza di Cristo in mezzo alla sua comunità, nel segno efficace dell’eucarestia, nella Parola che riecheggia nei nostri cuori. L’ultimo regalo di Cristo. Siamo quasi alla fine della sua presenza terrena. Giovanni dedica quasi tutto il suo vangelo a questi discorsi finali. Quando Gesù è alla fine, quando si preoccupa se hanno capito il fine della sua venuta, quando hai voglia di dare tutto, di parlare, di abbracciare, Lui ci regala se stesso, fisicamente, l’Eucarestia. Lo strumento massimo. Da duemila anni facciamo quel gesto. Perché crediamo che lì c’è Gesù Cristo. Ecco cos’è l’eucarestia. Non è un problema di lingua o di rito, ma di fede.Certo,sarebbe cento volte meglio se le nostre assemblee fossero più accoglienti, cantassero canti più belli e intonati, e se le nostre chiese fossero davvero luoghi ospitali che invitano ad alzare lo sguardo. Ma è inutile illudersi: quello che ancora manca alle nostre liturgie è la certezza che il Signore si rende presente.

Manca la fede”.

Buona Domenica

Totò Sauna

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