Archeologia e storia del territorio gelese

Il vaso trafugato dalla collezione Aldisio.

DI GIUSEPPE BRUGIONI

Nella collezione del Cav. Giuseppe Aldisio era conservata una pelike attica del Pittore dei Niobidi ,della meta` del V a.C . Il reperto era registrato presso la soprintendenza di Agrigento, allora con giurisdizione pure per la provincia di Caltanissetta, e regolarmente detenuto. In un vecchio documentario della RAI, Gela nel 1960 – Pensieri e abitudini di una città siciliana , la Signora Marisella Aldisio lo mostra alla telecamera dandone una sommaria descrizione. Nel 1973 il vaso venne trafugato e se ne persero le tracce, ma non tardò molto a riapparire. Finito sul mercato antiquario svizzero, venne acquistato dal collezionista giapponese Takuhiko Fujita, in seguito, lo stesso collezionista lo concesse in prestito temporaneo al museo Martin von Wagner di Wurzburg e proprio nel museo tedesco venne fatto oggetto di studio. Nel 1985 compare sulla rivista di archeologia Archaologischer Anzeiger lo studio della Dottoressa Simonetta Bonomi , attuale soprintendente del Friuli Venezia Giulia , con altri prestigiosi incarichi ricoperti in passato , tra i quali spicca la direzione della soprintendenza ai beni archeologici in Calabria. La studiosa, all`oscuro del furto del vaso , inizia il suo contributo, riportando che non si e` certi riguardo la provenienza del vaso e di seguito che lo stesso ,il vaso da lei esaminato in quel momento a Wurzburg , aveva stretta correlazione con una pelike del Pittore dei Niobidi conservata nella collezione Aldisio a Gela ,. queste le sue parole: “Tuttavia nell’elenco dei vasi attribuiti dal Beazley ai seguaci del Pittore dei Niobidi è citata una pelike della collezione Aldisio di Gela, la cui decorazione figurata corrisponde così esattamente a quella della pelike Fujita da far sorgere il sospetto che si tratti dello stesso vaso. ” In una nota a fondo pagina si precisa che la pelike della collezione Aldisio era stata battuta all’asta da Sotheby’s nel 1977. Allo scopo di chiarire meglio i contorni della questione, la Dottoressa Bonomi fece richiesta di poter consultare gli appunti manoscritti del Beazley pertinenti al vaso .Il fatto che tra i manoscritti dell’archeologo e storico dell’arte Sir John Davidson Beazley, nella scheda del vaso non vi fossero fotografie, ma solo schizzi , non permise di risolvere la questione. Se già al tempo della stesura della pubblicazione, oltre a fare richieste ad Oxford, si fosse pensato di fare richiesta pure alla soprintendenza di Agrigento, alla studiosa sarebbe stato comunicato il furto e forse oggi il vaso non sarebbe in Giappone, a Tokio, ma a Gela. Il nostro vaso lo ritroviamo in seguito in altre pubblicazioni, una del Bollettino delle opere d’arte trafugate ,del 1996, redatto dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e l’altra in una pubblicazione curata dalla Dott.ssa Rosalba Panvini e dal Professor Filippo Giudice, “Ta attika ” del 2004. In questa pubblicazione ,il vaso è indicato sia nella collezione Aldisio, elenco dei vasi studiati dal Beazley, sia a Wurzburg ,nella scheda del catalogo di riferimento del vaso. L’aver riportato due sedi differenti per la stessa pelike, non ha insospettito gli autori della pubblicazione, sempre in “Ta Attika“, un’altro vaso rubato è indicato come conservato al museo di Gela, ma di ciò tratteremo in un’altra occasione. Questo divergenza di dati sullo stesso reperto ha però insospettito il Professore Nuccio Mule’ , che dopo una breve ricerca scoprì che in realtà il vaso pubblicato era quello rubato . Da una ricerca successiva , fatta da parte dello scrivente , e comunicata al Professore Mule`, si è scoperto che il vaso non era a Wurzburg, ma bensì a Tokio . .Lo stesso Professore Mulè si è preoccupato di fare comunicazione al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Venuti a conoscenza dell’attuale luogo di conservazione del vaso, è stato possibile avviare una rogatoria per la restituzione , era il 2010 , quasi quaranta anni dal furto. Ci auguriamo che l’odissea di questo vaso ,con i suoi passaggi rocamboleschi attraverso il mercato antiquario e sfuggito diverse volte agli occhi degli studiosi che lo hanno pubblicato, si concluda con il suo ritorno a Gela. Sono passati più di dieci anni dall’avvio della rogatoria e nulla si sa in merito, con quanto riportato speriamo di poter contribuire ad un’accelerazione o ad una ripresa della pratica di restituzione e di poter vedere questo splendido reperto nel nostro museo, magari in occasione della nuova riapertura.

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