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Barriere architettoniche, il Comune che non le elimina risarcisce i danni

Condannato a risarcire i danni al cittadino con disabilità il Comune che non elimina le barriere architettoniche. Il caso specifico è quello di una ex consigliera che ha citato il proprio comune perché non riusciva ad accedere autonomamente agli uffici comunali e alla sala consiliare. Con la Sentenza 3691/2020 la Cassazione ha respinto il ricorso del Comune (che aveva vinto in primo grado, ma perso in appello), ha ritenuto che l’ente abbia attuato  una forma di “discriminazione indiretta” e lo ha condannato al pagamento di 15 mila euro di risarcimento danni, oltre che al pagamento di tutte le spese processuali.  La discriminazione indiretta, secondo la sentenza, può dirsi cessata soltanto dopo l’istallazione nel palazzo comunale di un ascensore per disabili. L’ente locale è perciò tenuto a risarcire alla disabile i danni subiti in relazione a tutto il periodo in cui il suo diritto di accesso è stato impedito a meno dell’aiuto di terzi, anche se questi messi a disposizione dallo stesso ente comunale. Non valgono quindi, e sono da considerare discriminatorie, misure alternative che non rendono al cittadino la possibilità di muoversi autonomamente. Nello specifico della sentenza il Comune aveva istallato una sorta di montascale che però non era idoneo allo scopo di far accedere in maniera libera e autonoma il disabile agli uffici comunali.

La sentenza sancisce quanto già si cercava di stabilire, relativamente  al superamento delle barriere architettoniche, fin dalla Legge 13/1989, che impone spazi e strutture adeguati allo spostamento delle persone con disabilità nei nuovi stabili e in quelli sottoposti  a ristrutturazione, ma impone anche nei vecchi edifici l’adozione di tutti gli accorgimenti necessari per rendere gli spazi più adeguati possibili all’autonomia  di tutte le persone.

È questa della Corte di Cassazione di Ancona una sentenza importante perché ribadisce il dovere della collettività di rimuovere ogni forma di ostacolo al libero movimento di ognuno, compreso naturalmente le persone con disabilità. Spiegano i giudici marchigiani, richiamando il dettato costituzionale e apposite sentenze della Corte Costituzionale (Sentenza n. 167/1999 e Sentenza 251/2008), che l’accessibilità è ormai da ritenersi “una qualitas essenziale” per ogni genere di edificio (persino quelli ad uso di civile abitazione), “quale conseguenza dell’affermarsi nella coscienza sociale del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone affette da handicap fisici”.

La sentenza sottolinea la “necessità del superamento delle barriere architettoniche” e di ogni genere di “ostacoli che impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature e componenti”, per “facilitare la vita relazionale” delle persone con disabilità, evidenziando che tali principi “rispondono all’esigenza di una generale salvaguardia della personalità e dei diritti dei disabili e trovano base costituzionale nella garanzia della dignità della persona e del fondamentale diritto alla salute degli interessati, intesa quest’ultima nel significato, proprio dell’Articolo 32 della Costituzione, comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica” (come affermava già la citata sentenza 251/2008 della Corte Costituzione).

Questi i diritti sanciti dalla giurisprudenza, ma la via per la piena accessibilità è in realtà ancora impedita da tanti ostacoli e tante barriere. Quest’ultima sentenza della Corte di Cassazione marchigiana è importante perché condanna un Comune e quindi di fatto ammonisce tutti gli altri enti pubblici al preventivo abbattimento delle barriere architettoniche. Ma vi sarà una risposta adeguata? Di sicuro le associazioni per la tutela delle persone con disabilità hanno ora un pungolo in più per sollecitare gli enti locali alla rimozione di ogni impedimento all’autonoma accessibilità dei luoghi pubblici.

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