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77esimo Anniversario della Liberazione di Italia. Uno strano 25 aprile. 

Il sindaco Lucio Greco, il presidente del consiglio comunale Sammito e gli assessori si sono recati quest’oggi, come ogni anno, presso Piazza Martiri della Libertà per celebrare il 77esimo anniversario della Liberazione d’Italia.

Il corteo è partito dal municipio, accompagnato dalla banda musicale che porta il celebre nome del maestro d’orchestra gelese Francesco Renda, la cui salma è deposta nel cimitero monumentale di Gela.

Come ogni anno, la celebrazione della libertà dal nazifascismo è un momento di estrema riflessione per gli italiani, che compiono un salto in un passato storico impossibile da cancellare e quanto mai più attuale.

Gela ha, però, un marcia in più data dalla presenza dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia-Gruppo di Gela, che l’anno scorso ha compiuto 50 anni dalla sua fondazione. 

Di tale associazione fanno parte i nostri concittadini che hanno conosciuto la storia d’Italia di persona, con le loro navi e il loro coraggio. Costituiscono un orgoglio a parte per la città di Gela, i cui tesori non sono da vedere nella modernità odierna, ma nel passato sepolto e nella storia delle generazioni che hanno affrontato la guerra, i regimi politici e le opposizioni siciliane ed italiane al fascismo. 

Il sindaco Greco ricorda a tutte le autorità civili, religiose e politiche presenti insieme ai cittadini, come sia un dovere quello di ricordare la storia, specialmente in un momento importante come in questo 2022, tempo di Guerra (con la G maiuscola perché ancora una volta possiede nomi e volti) che minaccia di perseguitare nuovamente la storia. 

<< Se viviamo in un’Italia che vuole e difende la pace, è grazie a coloro che hanno combattuto. E’ però uno strano 25 aprile: abbiamo superato la pandemia, siamo tornati ad abbracciarci e vivere momenti felici, ma ora siamo devastati dalle immagini strazianti che giungono dall’Ucraina, e che ci ricordano come l’orrore della guerra non sia solo nel passato, ma sia presente anche ora, e nel cuore dell’Europa >>.

Una guerra a tutti gli effetti all’interno delle nostre case, secondo il sindaco Greco, che ha creato un clima di paura e di orrore nelle società europee, perfettamente consapevoli di ciò che hanno vissuto 77 anni fa.

L’Europa era un calderone costituito da militari, armamenti e morte. Nessun cittadino aveva più il diritto di vivere perché qualcosa di più grande e imponente aveva scelto di annientare. 

Oggi si parla tanto di Putin, di Russia e di Ucraina. Anni fa si parlava con meno interesse di paesi medio-orientali come Siria, Africa, Turchia ecc. Tutti paesi profondamenti colpiti dal capitalismo e dal predominio militare e politico europeo e non, caratterizzati dalla dittatura e da poteri dispotici, ma “sicuramente” meno rilevanti dell’Ucraina, terra di cuscinetto che separa a questo punto, forse ideologicamente forse economicamente, due superpotenze in via di definizione.

Nulla da fare, dunque, se non la guerra. E in questo anche l’Italia, che la guerra dovrebbe ripudiarla, si è resa protagonista dei migliori rifornimenti di armi all’Ucraina e paesi attualmente non interessati dal conflitto russo ucraino.

Secondo una recente inchiesta, pubblicata dal noto giornale L’Espresso, l’Italia sarebbe stata l’artefice di uno dei commerci più imponenti di armi all’estero. Il primo cliente italiano che si classifica nella lista di numerosi paesi, è il Qatar, paese nel Golfo Persico, con un giro che si rifaceva a circa 813,5 milioni di euro solo nel 2021 e fortemente voluto a livello politico da più governi italiani.

Sarà vero che l’Italia ripudia la guerra, che l’Italia promuove la pace e celebra la liberazione da vecchi regimi politici, ma in tempi come questi, quando si parla tanto e solo di guerra, perché da un lato celebrare la liberazione e dall’altro permettere a uomini fuori dai nostri confini di imbracciare artiglieria pesante e continuare una guerra di cui ne sentiamo solo le voci?

Per questo trovo interessante il pensiero ambivalente espresso oggi da uno dei nostri parlamentari italiani in un’intervista: “come si fa a celebrare la resistenza se il diritto a resistere ci viene negato?”.

Chiederei, piuttosto e lecitamente, come si fa a ripudiare la guerra quando in Italia e in Europa chi dovrebbe astenersi dai conflitti produce armi a catena, per uomini che nelle loro braccia hanno strumenti che permettono tanto la difesa quanto l’attacco, e di conseguenza anche la morte?

 

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