Economia

Rincari ed energia. I riflessi del conflitto sulla filiera del grano spiegati da Ferrari (Italmopa)

Il granaio d’Europa, nel cuore del conflitto. Da qualche tempo assistiamo ormai al razionamento di alcuni generi alimentari che, nei supermercati, non possono essere venduti in quantità superiori a una certa soglia. Tra questi c’è l’olio di semi. Ma ora il rischio è che possano essere contingentate anche le vendite dei prodotti derivati dalla farina. Sì perché uno degli aspetti in assoluto più preoccupanti di questo conflitto, oltre alla perdita di vite umane, è il riverbero sui mercati e in particolare sugli asset strategici per il nostro Paese in relazione ai consumi. Per orizzontarci con più chiarezza in questo mare magum, abbiamo chiesto il parere di Emilio Ferrari, presidente di Italmopa – l’associazione industriale mugnai d’Italia.

Nel mercato della pasta, in che modo sta impattando il conflitto in Ucraina?

La Russia e l’Ucraina sono forti produttori di cereali e semi oleosi. Rappresentano insieme circa il 30% delle esportazioni mondiali di Grano Tenero e di Orzo, il 20% circa di semi di Girasole e il 15% di Mais, mentre invece il grano duro non riveste attualmente alcuna importanza. L’impatto diretto sul mercato dell’unione europea per quanto riguarda il grano tenero è poco significativo. I contingenti all’importazione imposti per limitare la concorrenza di queste origini all’interno della UE rispetto al grano comunitario, che ha produzioni largamente eccedentarie, fanno si che non esista una dipendenza dai paesi del Mar Nero. L’effetto sui mercati è comunque importante perché il venir a mancare di questa origine sui paesi terzi, come Egitto o Turchia, tradizionali importatori dal Mar Nero, provoca un aumento di domanda sul mercato Europeo o Americano ed un generale aumento di prezzi.

Che incidenza ha l’incerto esito del conflitto?

L’incertezza sugli sviluppi futuri crea una fortissima volatilità. Questa situazione fa scattare inevitabilmente fenomeni di ritenzione e di accaparramento con forti risvolti speculativi da parte degli operatori.

Come si manifesta questa volatilità?

Per capire il fenomeno basta vedere come anche i semplici consumatori si siano precipitati a fare scorte di pasta o farina. Atteggiamento che alla luce della reale disponibilità di prodotto risulta totalmente ingiustificato. Ma è logico che se improvvisamente tutti i consumatori cercano di acquistare grande quantità di questi prodotti gli scaffali si svuotano rapidamente, anche se il flusso di prodotto per le normali esigenze non è mai stato interrotto.

Per far fronte al fabbisogno nazionale di farina, la produzione di cui disponiamo è sufficiente?

Certo. La quantità di grano tenero per la produzione di farine sul territorio dell’Unione Europea è largamente sufficiente a coprire i fabbisogni, mentre la disponibilità di grano duro non viene influenzata in maniera significativa da questo conflitto. Tuttavia, ci sono Paesi che stanno assumendo atteggiamenti inaccettabili.

A chi si riferisce in particolare?

All’Ungheria, che ha temporaneamente bloccato le esportazioni, contravvenendo alle regole della libera circolazione delle merci nella comunità Europea, subordinando la spedizione della merce all’approvazione del governo. La situazione sembra si stia lentamente normalizzando, anche dopo l’intervento della nostra associazione presso le Autorità Italiane e comunitarie. Infatti il perdurare del blocco avrebbe causato un forte impatto sul mercato Italiano, per cui l’Ungheria rappresenta la fonte di importazione più importante, costringendo i molini ad acquisti da altre origini molto più care. Rimane invece preoccupazione per le future produzioni Ucraine, a causa delle distruzioni provocate dalla guerra sulle catene di approvvigionamento e logistica, nonché per la disponibilità di manodopera.

Dunque è concreta l’ipotesi che ci possa essere un calo nella produzione dei derivati del grano?

Sono a rischio le semine primaverili di mais e girasole di cui l’Italia è importante acquirente, e in parte il raccolto del grano già presente in campo. Fattori che potrebbero mantenere le tensioni rialziste sui prezzi mondiali. È molto probabile però che, a fronte di produzioni mondiali nella norma, le quotazioni delle materie prime ritornino su livelli più accettabili nel prossimo raccolto, anche se nel breve non vedremo comunque prezzi molto bassi.

Rimane invece aperto il tema legato ai rincari delle forniture energetiche.

Questo aspetto potrebbe pesare molto negativamente sulle produzioni industriali. Il prezzo estremamente elevato della componente energetica ha visto aumenti impressionanti in tempi recenti, dell’ordine del +500/600%, su livelli insostenibili dalle aziende trasformatrici.

Dalla politica sono state fornite risposte o sono stati pianificati strumenti a sostegno delle aziende del settore?

Il governo ha già attuato una serie di misure che hanno aiutato il settore a mitigare l’impatto di questi fattori ma, a seguito degli ulteriori aumenti dovuti al conflitto ucraino, le misure sono attualmente insufficienti ed è necessario un intervento urgente sui costi energetici per evitare la chiusura o il fallimento delle aziende del settore.

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