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Parvenu: Sensualità e Mistero nella pittura di Daniela Balsamo

Dipinto olio su tela

Quanto al fare della pittura, e alla sua specificità, ne germina personalità dalle più complesse visioni oniriche, dallo struggimento dalle scene teatrali, alle simbologie più disparate, le realtà, si mostrano sempre più parallele, e spesso, ne troviamo dei racconti. Daniela Balsamo, sa bene che utilizza il mezzo primordiale della pittura, che è nata con l’uomo, ma, colta, sino a trasgredire l’impossibile. Ella, infatti, ci porta, all’incanto e alla passione, per molti artisti ne rasenta l’autobiografia, una specie di indecifrabile interiorità. Daniela, ci parla di una misteriosa e caotica inquietudine,

Dipinto olio su tela

vissuta nell’anonimo e fatta di tante cose che ci rappresentano, e rappresentano la nostra normalità, ambienti domestici, come foreste affollate o come incubi, forse dei desideri forse paure. Dunque, la sua, è una emozionalità, e non la teoretica visione di chi vuol rappresentarsi fedele alla propria figuralità. Il suo, infatti, è performato impianto visivo di un momento, seppur, ella, sa bene, che la vera figurazione non ha tempo né stagione, benché se ne osservi un’interiorità. In ogni suo dipinto, vi è sempre un continuo divenire, qualcosa di imprevedibile, forse una nuova scena contigua alla precedente, e non il perseguire schemi o percorsi predefiniti. Il suo gusto, è naturalista e tutto di questo mondo, perché non distaccata dai propri sensi, che osservano ogni oggetto al quale vorremmo legarci o condannare. Movenza di un miasma personale che, sfocia nella graffiante e sedimentata materia pittorica, ne completa una poetica.

Dipinto olio su tela

Quindi, visioni che ritrovano i sensi, gli odori di un passato, senza esserne descrittiva o didascalica; giardini borghesi, di atri reconditi, e velati da muffe di chissà quali scrosci di piogge, o di attese, quelle della fragile vetrata della realtà, l’esser donna, nella perspicacia o nel proteggersi o proteggere un figlio che è nato o che nascerà.
Sensuale e misteriosa, la sua pittura, ci conduce ai ritratti ricchi di rosso Cinàbro, che brulica vibrante, come rosso tramonto, quel fuoco di pigmento tanto decantato da Bacon, dopo aver visto, per la prima volta, un tramonto di Monet; e ai blu di Prussia, selvaggi e “sporchi”, quanto allo sfociare sfumato, diventa sfregazzo e macchiante, sino al nitido Cobalto; riverberi questi, che sanno di penombre meridiane, senza nessuna ora, ma trasalite da profonde melanconie.

Dipinto olio su tela

Una tavolozza, la sua, che sa di vita , perché ne ha tutti i contrasti senza esserne espliciti. Poi, la sua gestualità, nel segno colante, che modula con sapienza sul lino crudo e intrecciato pur ricco di nodi. Daniela, consapevole di fare pittura, ne è colta, e ci dona lo screziante e il variopinto enigma di tutti i bagliori della luce. Le sue, sono scene di un teatro, ancor di vita, quello dall’increspante scenografia personale, ciò che ci assale nel quotidiano. Un’arte autobiografica o universalmente appartenente a noi tutti? Non è forse, che, nei campi di grano di VanGogh, olandesi fino al midollo, l’artista dalla barba rossa, non avesse parlato del fuoco della vita? O di Frida, che ci trasogna visioni come organiche corde dell’anima ? Comunque sia, ammesso ch’io abbia centrato o meno, Daniela mi comunica tutto ciò. E possiamo dire, che l’artista donna qui , ha tutta la sua sincerante storia personale, quella in cui l’ha vista impegnata nel teatro contemporaneo, con i maggiori registi e scenografi .

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Dalla esile voce, ella, quando ci sentiamo per telefono, le chiacchierate sanno di un discreto garbo gioviale, seppur introversa per indole. Ma non mi trattengo, nel dire che, in lei, intravedo Palermo , sociale e borghese, com’è realmente. E in questa accezione, i suoi dipinti, mi schiudono ai più rosati ornamenti liberty, e alle movenze delle gregoriettiane e riverberate colature di muffa, quel del tempo che fu, della grande realtà aristocratica della conca d’oro, delle sue poltrone, maestose e monumentali figure d’antiquario, quegli oggetti che vediamo sempre accompagnarci nei nostri riposi, lo stantio del nostro vivere, quello che non vorremmo abbandonare per ozio. Artista consapevole che trabocca nell’inconscio; un linguaggio, che, ci pone dinnanzi ai desideri e alle paure. Ricordo di un trattato di Freud, ove, lo studioso ceco, ci annoverava dei padri della psicologia: gli artisti. E Chagall, ne è un esempio.

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Ma ella è figlia della Sicilia, in un unicum di nostalgie, che s’incontrano con la storia millenaria, e con l’arsura di tutti i colori del sud, acri e arsi. Palermo, è una città generosa, colta e ricca di storia. E tra i vicini parallelismi dell’arte, nel novecento, si ricordano artisti come Amorelli, che da neoclassiche memorie, ci conduce ancora indietro, a quella del DiGiovanni, affrescare le architetture del Basile. Pippo Rizzo (futurista) ma persona d’impegno, difficile in quel tempo, ci descriveva “la colorazione selvaggia”, ove, in quel lembo di terra, l’espediente di maggiore derivazione, era quella del vedutismo di LoJacono, come

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senso del presagio e attento mecenatismo, finì per dare i natali a Silvestre Cuffaro e Pina Calì, dagli Alliata, a Quintino Di Napoli, Renato Guttuso, Ettore de Maria Bergler, Lia Pasqualino Noto, Pina Calì, Archimede Campini, Pippo Rizzo, Mario Mirabella, Nino Franchina, Elisa Maria Boglino, Nino Garajo, Piera Lombardo, Michele Dixit, il soprano e pittrice Ester Mazzoleni Cavarretta, Daniele Schmiedt, Corrado Cagli, Ezio Buscio, Giovanni Rosone ed altri. Ma Daniela Balsamo, appartiene al presente, e sembra aver visto tutto ciò o forse no.

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Ma non è questo il punto; ciò che è rilevante , è cosa ci emoziona, forse la sua rappresentazione, che, non si preclude ad una immagine conformista. Diciamo pure, che la pittura in genere, ha la sua autonomia e sa come, attraversare il proprio “paesaggio” interiore, volto ad una ricapitolazione del segno, che ci piaccia o no, si rivolge ad una nuova estetica, ad un mondo è già visto, ma riproposto con occhi nuovi quanti alla sua ostinata contrapposizione con la tradizione figurativa, per poi, spalancare le porte all’originalità, in parte già scritta, in parte già urlata nel teatro della vita.

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