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Commemorati gli otto carabinieri uccisi a Feudo Nobile

La memori del loro sacrificio non lascia spazio all’oblio anche dopo 75 anni. Commemorato a Mazzarino il sacrificio degli otto Carabinieri della stazione di Feudo Nobile uccisi nel 1946.

Dopo 75 anni, con una semplice ma sentita cerimonia, è stata commemorata a Mazzarino (CL) il
loro sacrificio.
Il Generale Rosario CASTELLO, Comandante della Legione Carabinieri Sicilia, accompagnato dal
Colonnello Baldassare DAIDONE, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Caltanissetta e dal
Ten. Col. Ivan BORACCHIA, Comandante del Reparto Territoriale dei Carabinieri di Gela, ha
deposto una corona d’alloro sul monumento che all’interno del cortile della Caserma della Stazione
Carabinieri di Mazzarino, ricorda il sacrificio degli otto caduti. A seguire, presso la Chiesa Santa
Maria di Gesù di Mazzarino, è stata celebrata una Santa Messa di suffragio officiata da Don Salvatore Falzone, Cappellano Militare del Comando Legione Carabinieri Sicilia e dal parroco Don Giuseppe D’Aleo.

Il 28 gennaio 1946, nelle campagne tra Gela e Mazzarino furono vilmente uccisi otto Carabinieri. Erano i componenti della Stazione Carabinieri di Feudo Nobile ed erano stati sequestrati venti giorni prima dalla banda del bandito Salvatore Rizzo, che, come Salvatore Giuliano, infestava in quegli anni la Sicila.

Finita la seconda guerra mondiale la Sicilia era un cumulo di macerie e desolazione e povertà regnavano sovrani.

Gli Alleati, aiutati anche da componenti criminali mafiose, erano riusciti a sbarcare in Sicilia. Così anche dei capimafia dell’epoca arrivarono ad occupare ruoli di primo piano, come sindaci, in diversi Comuni, accrescendo in maniera esponenziale il potere delle cosche, meno evidente durante il ventennio fascista.

E’ in questo contesto che si affacciava il banditismo violento che, anche per darsi un aria di “rispettabilità”, si affiancava ai movimenti indipendentisti.
Nella parte occidentale dell’isola era presente la banda di Salvatore Giuliano mentre in quella orientale prendeva piede quella di Salvatore Rizzo e Rosario Avila.
Questi gruppi criminali sono stati responsabili di numerosi crimini, come ad esempio la strage di Portella della Ginestra, ritenuta a tutti gli effetti come la prima strage di Stato, eseguita dalla banda di Salvatore Giuliano il primo maggio 1947.

Quel che avvenne a Feudo Nobile rientra in questa serie di delitti. Il calvario, per le vittime, iniziò già il 10 gennaio 1946 quando il brigadiere Vincenzo Amenduni uscì ad effettuare un controllo in seguito ad una segnalazione della presenza di un pascolo abusivo. La pattuglia era composta da cinque uomini: Vittorio Levico, Emanuele Greco, Pietro Loria, Mario Boscone e lo stesso brigadiere Vincenzo Amenduni; i tre restanti carabinieri Mario Spampinato, Giovanni La Brocca e Fiorentino Bonfiglio rimasero a presidiare la caserma. La pattuglia, dopo aver effettuato il controllo cadde vittima di un’imboscata dei banditi. I militari cercarono di opporre una forte resistenza ma, dopo un durissimo scontro, vennero comunque fatti prigionieri. Stesso destino toccherà anche ai carabinieri rimasti in caserma. Il duo Avila-Rizzo, tramite la mafia che aveva un ruolo di mediatrice, arrivò a intavolare una vera e propria “trattativa” con lo Stato per la liberazione dei militari.

Le richieste erano chiare: la liberazione di alcuni capi indipendentisti, in particolare Concetto Gallo, arrestato il 29 dicembre del 1945 durante la battaglia di San Mauro. In caso contrario Avila chiedeva l’amnistia, per sé e per la sua banda, oppure un’agevole fuga all’estero. Il negoziato andò avanti per quasi tre settimane senza che si raggiungesse un risultato. I carabinieri furono costretti a spostarsi da una masseria all’altra, legati e semi nudi, sottoposti ad ogni genere di torture e sevizie da parte dei banditi. Il 28 gennaio le trattative naufragarono in modo irreversibile. Così Salvatore Rizzo ordinò di uccidere tutti gli otto i carabinieri, due ore prima della mezzanotte, incaricando i suoi scagnozzi di far uscire dal reclusorio i segregati, legati insieme a coppie, per condurli a Feudo Rigiulfo, a ridosso della contrada Bubonìa, ricadente nel territorio di Mazzarino. Quella zona venne scelta perché ricca di buche artificiali per l’estrazione dello zolfo. Dopo aver denudato i militari li fecero inginocchiare per poi ucciderli, uno alla volta, con raffiche di mitra.

Per completare la macabra opera i corpi vennero poi buttati in una buca profonda quindici metri dove rimasero per diversi mesi. Il ritrovamento dei caduti, avvenuto il 25 maggio 1946, fu possibile in seguito alle dichiarazioni di uno dei membri della banda che partecipò all’eccidio, tale Giuseppe Milazzo, il quale, dopo stringenti interrogatori, confessò il delitto rivelando il luogo e le modalità della strage. Condannato all’ergastolo, prima di morire il Milazzo riferì un ulteriore dettaglio: la sera prima del 28 gennaio un giovane elegante, mai identificato, si sarebbe presentato nel luogo in cui si trovava Salvatore Rizzo per comunicare che ogni trattativa per i militari era fallita.(da Antimafia di Luca Grossi)

 

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