editoriale

I simboli si accasciano al livello della bassa politica

Si è spezzato in due. Come il Titanic. Sempre per la mano nefasta dell’uomo. Stanco dopo un secolo di vita con le radici affondate nell’acqua. Testimone della fine di una guerra, quella del 43-45, l’ultima con la dignità di questo nome. Dopo quella la guerra si fa con nuove armi invisibili, traditrici, sotterranee. Il simbolo di una Italia che rinasce si è accasciato sulle onde che lo hanno cullato per tutta la vita, che lo hanno investito con la potenza dell’acqua in tempesta, quando il mare rumoreggia. Si è accasciato stanco il pontile sbarcatoio. Come la Conchiglia. Come l’Arena dimenticata. Come tutti i simboli di Gela, dimenticati. Come è dimenticata questa città maledetta che assiste inerme ad un destino che la vede inabissare nella thalassa. Anno dopo anno, decennio  dopo decennio. Inesorabilmente. Eppure di quanti amori è stato testimone il pontile; di quante preghiere a San Francesco di Paola portato in mare per tradizione; di quante reti gettate con la speranza di un futuro migliore. Si è addormentato stanco dell’indifferenza. Quella che lo ha visto protagonista di inutili e ipocrite parate nel tentativo di convincere i gelesi che qualcuno stava pensando a lui.

Quattrocentomila euro inutili per un rammendo durato dieci anni e adesso il declino, come i milioni di euro spesi per liberare il porto malformato dalla sabbia che poi torna puntuale a foraggiare un businnes destinato ad una èlite ma non ai pescatori. E poi le passerelle; gli incontri di colletti bianchi: “è fra le nostre priorità! Tutto pronto si va in gara!” E passano gli anni e le compagne elettorali. E passano i sindaci e i presidenti della Regione.

‘Parte il catamarano per Malta’..; ‘Facciamo la metropolitana’.

Tutto cambia per non cambiare nulla, nella Sicilia gattopardiana, dove i cittadini vivacchia e la politica sgraffigna, si incunea nei meandri dei palazzi. Si presenta come salvatrice e invece succhia il midollo di popolazioni che si susseguono nel tempo e che approdano al nostro tempo sempre più povere, demotivate, svuotate, senza tono. Deluse. Tanto da chiudersi nei gusci delle case con la consapevolezza che nulla cambia. Senza amore per una città perduta che non vede luce in fondo al tunnel. Quante parole al vento da un palco montato sulla piazza da marzo a giugno di tanti anni passati. Promesse. Giuramenti. Illusioni. “Cambierà…!” E poi non cambia nulla. “Sconfiggeremo la mafia”. E la mafia è sempre in agguato. “Porteremo l’acqua 24 ore su 24”. E i rubinetti restano a secco. “Faremo il porto” . E il porto è ancora in discussione”. “Porteremo il lavoro, bandiremo i concorsi”. E il lavoro diminuisce ogni giorno di più. “Ristruttureremo Gela e pianificheremo il turismo”. E Gela cade a pezzi. Di fronte una politica fallimentare che si pavoneggia sul niente. Di quelle che cavalca le tigri e poi cammina come tartaruga. Di questo ha sofferto il pontile, la Conchiglia, la Torre del Duce e la fabbrica ‘do scupazzu’ che non ci sono più.

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