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Strage del ’90: il ragazzino testimone

Gela – Un ragazzino che ha visto tutto sta parlando. Ha raccontato l’ inferno di quella sera nella sala dei biliardi, ha riconosciuto i killer, ha descritto Gela come una Chicago degli anni Trenta. Un testimone, un testimone minorenne spiega l’ ulti mo massacro siciliano. E’ uno di quei diciotto piccoli balordi scomparsi per paura dopo la strage, uno dei morti vivi della guerra per bande. Il terrore gli ha sciolto la lingua, ha confessato i suoi segreti dopo una fuga dalla città, lontano dai sicari dell’ esercito nemico. Una cantata che ha fatto chiudere ai poliziotti le prime investigazioni sulla mattanza. Nella notte hanno catturato uno dei presunti killer, altri tre sono ricercati. Top secret naturalmente i loro nomi, sono tutti giovanissimi, tutti della stessa gang, tutti ragazzi dell’ Anonima estorsioni di Gela. Quella raffica di pallottole La mafia, la mafia dei grandi traffici e degli intrecci perversi con il massacro di martedì 27 novembre non c’ entra nulla. Le due organizzazioni di tipo mafioso che regnano su Gela hanno in qualche modo perso il controllo del territorio, sono le bande e le sottobande di minorenni che spadroneggiano nella città che hanno firmato lo sterminio. A colpi di lupara, scaricando almeno un centinaio di pallottole sui picciotti della concorrenza, quelli che volevano spremere denaro a commercianti già taglieggiati. La guerra di Gela è una guerra che si combatte intorno al pizzo, le battaglie armate si fanno per una tangente in piu’ . E’ tutto questo che ha raccontato il ragazzino ai poliziotti della Criminalpol venuti da Roma e da Catania e a quelli del locale commissariato. Ha disegnato il contesto criminale di Gela, ha parlato dei gruppi che si scontrano, ha fatto i nomi dei suoi amici e dei suoi avversari. Ma soprattutto ha ricostruito il film della strage al Las Vegas, la sala giochi su corso Vittorio Emanuele, la tomba di tre ragazzi. Il piccolo pentito quella sera era là dentro, stava giocando attaccato ad un flipper. E ha visto arrivare sul marciapiedi un Enduro, una moto fuoristrada con sopra due tipi con addosso un casco. Ha continuato a seguire la palla di ferro sotto la lastra di vetro del suo flipper, fino a quando ha sentito il primo botto, la prima luparata. Era l’ inizio della strage. Due sicari sono saliti sui biliardi verdi e hanno cominciato a sparare nel mucchio, il terzo stava sulla porta. Era lì per sbarrare il passaggio, non faceva entrare e uscire nessuno, ha ricordato il testimone ai poliziotti. In una mano stringeva un fucile a canne mozze, nell’ altra un revolver. Il piccolo testimone ha assistito al massacro, immobile in un angolo, con il cuore in gola, le gambe che tremavano. Quando quei tre se ne sono andati il ragazzino è corso via. Prima è andato a casa, poi in ospedale a trovare un paio di amici tra i sei feriti dentro la sala di biliardo, poi è fuggito. Gli hanno consigliato di cambiare aria, di starsene lontano per un bel po’ dalla città. E per quattro giorni ha lasciato Gela, s’ è nascosto chissà dove, ha aspettato la fine della tempesta. Poi i poliziotti l’ hanno trovato e lui ha deciso di raccontare tutto. Adesso è protetto, sorvegliato 24 ore su 24 da agenti scelti esperti in queste cose. Ma come sono arrivati gli investigatori al testimone oculare? Come sapevano che proprio lui era uno degli scampati al massacro? L’ indagine è partita dal covo, quello scoperto cinque giorni fa dai carabinieri nella casba di Settefarine. In una strada senza nome c’ era una palazzina vuota, solo otto brande e quattro fucili con le canne segate. Ma sotto una botola ecco una sorpresa, un ragazzo nascosto, Carmelo Rapisarda, nome d’ arte Ivano Pistola. Nel covo forse sono state trovate altre tracce, forse gli investigatori hanno seguito certi indizi che li hanno portati poi ai quattro nomi, ai quattro ragazzi accusati adesso di avere ucciso dentro la sala Las Vegas. E Ivano Pistola c’ entra nulla con il massacro? Ufficialmente no, gli hanno fatto il guanto di paraffina, il risultato si conoscerà tra qualche giorno. Il teste del massacro ai poliziotti ha fornito anche informazioni preziose sul caso Gela, sulle sparatorie non stop che insanguinano le sue strade. Nel dossier che i poliziotti hanno presentato ieri al procuratore capo di Caltanissetta Salvatore Celesti non ci sarebbero infatti i nomi dei due capiclan della zona, Giuseppe Madonia e Salvatore Iocolano, i due superboss di Gela, i protagonisti della grande faida con i cento morti in due anni. Sullo sfondo c’ è la guerra tra i due, ammette un investigatore, ma la strage dell’ altra sera è un’ altra cosa, è come se certi pezzi di organizzazione fossero diventate schegge impazzite…. Bande che si fronteggiano senza esclusioni di colpi, senza regole, senza una regia precisa. Fino al gennaio di quest’ anno Gela era divisa per influenza: gli uomini di Iocolano controllavano il centro, quelli di Madonia la periferia e i paesi vicini. Un equilibrio durato dieci mesi. Senza morti, senza luparate, senza stragi. Poi sono entrati in scena loro, i minorenni, i ragazzini, i senza padrone e i senza storia di Gela. E hanno cominciato a seminare il terrore, a chiedere sempre piu’ soldi ai commercianti, a fare lavori particolari senza l’ approvazione dei boss. Una schiera di qualche centinaia di disposti a tutto, di teste calde che non avevano nulla da perdere. Si sono piano piano impadroniti della città, hanno dettato la loro legge: terrorizzando, ricattando, uccidendo. Un’ escalation, fino agli otto morti e alla dozzina di feriti dell’ altra sera. Hanno sparato per uccidere tutti, nemici e incolpevoli testimoni. Pronti a tutto Hanno sparato così per far sapere che sono pronti a tutto, che sono organizzati militarmente, che sono invincibili. Ma dopo il massacro ecco i primi blitz dei carabinieri, le case rifugio individuate nei quartieri abusivi, le prime telefonate ai numeri verdi dell’ alto commissariato. Telefonate pubblicamente sottolineate con soddisfazione dal ministro degli Interni Scotti. Un muro di omertà è caduto sotto i colpi di una lupara impazzita, soffiate e spiate orchestrate abilmente per mettere gli investigatori sulle tracce dei pazzi, dei senza legge di Gela. Il resto l’ ha fatto il piccolo testimone, il piccolo terrorizzato teste che al Las Vegas ha visto con i suoi occhi come sono morti tre suoi amici. Intanto, ieri mattina, Gela ha gridato il suo no allo strapotere della mafia con saracinesche abbassate, scuole e uffici deserti, e un corteo lungo alcuni chilometri. Più di trentamila persone hanno aderito alla giornata di mobilitazione indetta da Cgil Cisl e Uil con lo slogan Gela si ferma per andare avanti. I settemila lavoratori del petrolchimico e del suo indotto hanno incrociato le braccia dalle 9 alle 13 unendosi al corteo che ha percorso le vie del centro fino a piazza Umberto dove hanno preso la parola Raffaele Morese, della segreteria nazionale della Cisl, Paolo Brutti della Cgil e il segretario regionale della Uil Roberto Franchi. Una manifestazione imponente che ha visto in prima fila gli studenti che, ancora una volta delusi per l’ assenza di rappresentanti del governo, hanno rinnovato al presidente della Repubblica il polemico invito a rimanersene al Quirinale. Fischiato il sindaco, il socialista Salvatore Placenti, che ha preferito non prendere la parola e si è giustificato: Il comizio è stato indetto dai sindacalisti, è giusto che siano loro a parlare. Fonte: laRepubblica

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