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Silenzio elettorale: cos’è, quando inizia e quando finisce. Cosa dice la legge. E vale anche sui social.

In Italia è previsto un periodo di silenzio elettorale per dare la possibilità ai cittadini di riflettere (senza interferenze varie) sulla preferenza da esprimere alle urne. Silenzio che deve scattare nel giorno precedente e in quelli stabiliti per la votazione: sono vietati, infatti, comizi e ogni tipo di propaganda, in segno di rispetto verso gli elettori. Lo prevede la legge 212 del 4 aprile 1956.

Silenzio elettorale, cosa dice la legge

Lo scopo della norma è quello di dare la possibilità ai cittadini, dopo aver ascoltato e analizzato i programmi dei vari partiti nel corso della campagna elettorale, di elaborare una scelta senza ulteriori condizionamenti. La legge 212 del 4 aprile 1956, all’articolo 9, recita: “Nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi e le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, nonché la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri o manifesti di propaganda o l’applicazione di striscioni, drappi o impianti luminosi. Nei giorni destinati alla votazione è vietata, altresì, ogni propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall’ingresso delle sezioni elettorali”.

Silenzio elettorale e sanzioni: valgono anche per i social?

La norma del 1975 ha integrato in quella originaria le sanzioni previste per la violazione del silenzio elettorale. Chiunque trasgredisca al provvedimento è punibile con la reclusione fino ad un anno o con una multa da 103 a 1.032 euro.

La legge del 1984 può considerarsi abbastanza elastica da includere nel suo spettro di applicazione anche altre forme di comunicazione mediatica che sono arrivate successivamente, come i social network. È questo il parere dell’Agcom, l’autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che nelle sue linee guida del 2019 aveva disposto che anche il rispetto del silenzio elettorale fosse da esercitare anche sulle piattaforme digitali. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dell’Agcom riconoscendo i social come un luogo pubblico, di dibattito e diffusione di notizie. Ovviamente questa sentenza ha prodotto diverse polemiche e diverse interpretazioni, che ritengono invece che FacebookTikoTokInstagram e così via debbano essere trattate separatamente, e che il vuoto legislativo non possa essere tappato da una norma risalente al 1956.

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