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Oggi festa liturgica in onore del SS Crocifisso, compatrono di Gela

Gela –  “All’unnici di innaru e vintun’ura , si vitti e un si vitti Terranova. Si un’ era ppi Maria nostra Signura, sutta li petri fussi Terranova..” Si ricorda così la Madonna ed il compatrono SS Crocifisso.

11 gennaio 1693 alle ore 21 , il terribile terremoto che devastò la Sicilia Orientale,  e con essa parte di Gela; distrusse il borgo di Occhiolà.

Oggi 11 gennaio 2021 alla chiesa del Carmine,  le celebrazioni eucaristiche cominciano a partire dalle 7 e si susseguiranno alle 8, alle 9 ed alle 10.30. Alle 12 è prevista la solenne celebrazione eucaristica con panegirico presieduta dal Vicario forneo don Pasqualino Di Dio, con canto del Te Deum.

Le celebrazioni continueranno alle 17, alle 18. Alle 19 è prevista la celebrazione solenne officiata dal Vescovo della Diocesi di Piazza Armerina Mons Rosario Gisana.

Il Triduo è stato predicato dal don Franco Greco, amministratore della chiesa del Carmine

Il corso della storia ci porta all’11 gennaio del 1693 a ventun’ora cioè verso le ore 15 , i fedeli gelesi si trovavano nella chiesa del Carmine per una funzione in onore del SS. Crocefisso, quando avvertirono una tremenda scossa; era il terremoto. Il popolo spaventato uscì all’aperto invocando il nome di Gesù Crocefisso e di Maria Santissima d’Alemanna.
Vi furono crolli in varie parti della città ma non si ebbero vittime.
In un giorno di Marzo di quel triste anno, sull’imbrunire, nel Piano del Carmine convennero la Municipalità, il Clero, le Comunità religiose, i nobili e il popolo tutto, e tutti, prostati in ginocchio, proclamarono Patrono e Protettore della città il SS. Crocifisso insieme con la Beatissima Vergine della Manna, levando supplici lo sguardo ai loro simulacri che troneggiavano, tra splendori di luminarie e odore di incensi, sull’altare che era stato allestito dinanzi alla porta maggiore della Chiesa. Promisero, inoltre, (e un notaro consacrò la promessa in un solenne documento) di festeggiare l’11 Gennaio di ogni anno “in infinitum et in perpetuum” quale memoriale della grazia ricevuta. Una celebrazione che impegnasse i cuori con la penitenza del digiuno e la partecipazione alla messa eucaristica, e che coinvolgesse la Municipalità con l’offerta da parte dei Giurati, suoi rappresentanti, di una somma di denari e di una torcia ornata di fiori e alta quando il più anziano di essi.
Da allora l’11 gennaio, in adempimento della solenne promessa di quel lontano 1693, è grande festa al Carmine.
Le modalità celebrative, nel corso del tempo, hanno subito variazioni. Non c’è più, fra l’altro, l’offerta di contributi in denaro che i Magistrati civici (i Giurati: oggi Sindaco e Assessori) facevano alla Chiesa per la solenne celebrazione, né il più anziano fra essi, pittorescamente, porta in dono alla Chiesa una torcia adorna di fiori e di altezza pari alla sua.
Ma le omelie del pergamo che, in un’ampia trama di rievocazioni, fanno vivere i prodigi e le grazie del Simulacro; le torce sfavillanti numerose sull’altare; le preghiere corali levantisi dai cuori dei fedeli; i loro canti di ringraziamento e di invocazione risuonanti sotto le volte del tempio, il suono delle campane che si effonde festoso nell’aria e penetra – “vox vitae” – nelle case per ampio tratto della città… sono ancora le forme devozionali in cui si esprime, nella ricorrenza festiva dell’”unnici ‘i jnnaru”, la venerazione delle genti per il “Crocifisso Carmelitano”.
E le genti devote, dal simulacro visibile, levano i loro pensieri e i loro sentimenti alla grande realtà, invisibile ma presente, di cui esso è simbolo sacro: a Gesù che vive nella gloria dei cieli.

Rosario Medoro – Virgilio Argento

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