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Muore uno degli ultimi testimoni della Gela infuocata degli anni ’90

Gela – Muore uno degli ultimi testimoni della Gela infuocata degli anni ’90. Chi non ricorda il gioielliere Di Dio: alto, magro, curvo sulle sue pietre preziose e con tanta, tanta pazienza per soddisfare le esigenze delle donne di qualche generazione passata che passavano ore su un monile prima di deciderne l’acquisto; la scusa giusta per parlare di ogni argomento di quel tempo. Quando i negozi erano un luogo di incontro dell’anima, prima della spersonalizzazione della vendita on line. Era in tempo in cui i regali erano d’oro; non c’erano computer per le comunioni dei ragazzi, né telefoni con videocamere. I regali di nozze erano marchiati  Ag20 -‘925’ e non in busta o col bonifico bancario.  Era il tempo del boom economico: il petrolchimico aveva portato ampliamento demografico, soldi e lavoro e il commercio era fiorente. Insieme ai soldi era lievitato l’interesse della malavita per l’economia della città. Poi Calogero Di Dio è sparito dal Corso Vittorio Emanuele dove aveva lasciato parte della sua vita ereditando una delle attività del padre. Una si;  perché il padre era anche il fondatore del primo istituto di vigilanza della città ‘Madonna delle Grazie’ , occhio vigile su tutte le attività di Gela dai trasporti valori, controllo dei negozi, allo stabilimento dell’Anic. Il padre di Calogero era un ex carabiniere,  guardia del corpo del Gen. Dalla Chiesa senior,  di Enrico Mattei tanto per citare qualcuno. Era cresciuto con i valori dell’arma Calogero ed il fratello. Quando nell’ambiente del commercio fece capolino la malavita non ebbe dubbi: NO! L’attività commerciale scambiata come lavatrice per ‘ripulire’ il denaro sporco, non faceva per lui. Da qui una serie di interlocuzioni con i carabinieri del Nucleo di Palermo per denunciare quanto poteva, superando lo spettro del sequestro della figlioletta di dieci anni, spedita in un convento di Messina come ai tempi dei Promessi sposi e testimone di una maxi retata del 1987 durante la quale caddero tante teste coronate che gestivano il mercato sotterraneo della Gela che emergeva. E che dire della terribile sera del novembre 1990 quando seppe di un omonimo del figlio caduto sotto i colpi di arma da fuoco.. si precipitò a Piazza Salandra convinto di trovare un cadavere:  fu lì che il suo cuore ancora giovane subì un contraccolpo che lo accompagnò fino alla fine dei suoi giorni, abbandonandolo definitivamente lunedì notte. Aveva superato tutto: esperienze tumultuose, malattie che non perdonano, avversità di ogni tipo ma la schiena dritta, mai piegata neppure da un morbo impietoso, l’aveva atterrato. Aveva la sua arte pittorica specializzata all’istituto di Monreale e poi anche una fede ritrovata e mai più abbandonata. Aveva affrontato di petto ogni tipo di mostro, senza supporti sociali, senza assistenze psicologiche, senza niente. Eppure senza clamori aveva contribuito a scardinare un sistema che si nutriva anche di enti pubblici istituzionali. Nel silenzio e senza interviste. Una verità che nessuno conosceva, solo le forze dell’ordine che avevano raccolto il suo racconto e oggi, noi che vogliamo tracciarne la figura che si staglia nuova, inaspettata. Poi è sparito dal Corso Vittorio Emanuele allora pullulante di vita, di passeggiare ed economia effervescente. Altre esperienze in giro per l’Italia fino ad arrivare a Medijugorie  dove la sua vita è cambiata nell’intimo. Adesso uno degli ultimi testimoni se n’è andato, in punta di piedi, come aveva vissuto, senza il funerale che aveva sognato ma con un onore degli altari che solo chi lo ha conosciuto può immaginare.

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