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Multati del lockdown: i ricorsi per chi ha sbagliato i metri, gli orari o gli acquisti permessi

Il concetto di prossimità all’abitazione, come quello di beni essenziali è applicato in modo diverso a seconda dell’accertatore. Se l’interpretazione è troppo restrittiva, ci si può rifare al senso delle norme che è quello di evitare il contagio

C’è chi è uscito dallo studio troppo tardi, chi è rientrato a casa
dopo un intervento chirurgico e chi ha comprato soltanto poche cose al
supermercato. Cos’hanno in comune? Sono stati tutti multati per aver violato i divieti imposti dai decreti di urgenza che dall’11 marzo scorso hanno gradualmente ridotto la libertà di spostamento individuale per fronteggiare l’emergenza sanitaria.

Criteri discordanti per gli accertamenti
A fare le sanzioni sono vigili, poliziotti e carabinieri, tutti titolati a multare chi sgarra, con criteri spesso discordanti tra di loro. Così c’è l’avvocato di Torino che si è visto elevare il verbale perché stava rientrando a casa alle dieci di sera, orario – a dire dell’accertatore – incompatibile con l’attività professionale. Oppure la moglie che stava rientrando a Milano dal marito, dopo un intervento chirurgico specialistico a Napoli, passata indenne ai controlli dalla stazione di partenza e multata all’arrivo. «Avrebbe dovuto restare ospite da qualche familiare», si è sentita replicare da
chi l’ha multata. Non si contano più le obiezioni sul contenuto delle buste della spesa: il vino non sarebbe una necessità che giustifica lo spostamento, il latte sì. E poi c’è l’ormai famoso concetto di “prossimità all’abitazione” dei forzati del jogging.

Un campionario di casi e giustificazioni che sta già intasando le Prefetture di tutta Italia, chiamate adesso a segnare il passo e a dare interpretazioni – possibilmente uniformi – alle norme.

Il concetto di “prossimità” all’abitazione
Tra i casi più contestati quelli dei multati perché sorpresi a correre
o passeggiare vicino casa. Dopo un mese di isolamento, i nervi cedono e il corpo reclama i suoi spazi. La circolare del ministro della Salute dello scorso 20 marzo ha stabilito che è consentita l’attività motoria solo in “prossimità” della propria abitazione.

Ma come si interpreta il concetto di prossimità dal momento che nessuna circolare indica un criterio numerico preciso? Per alcuni accertatori 300 metri sono troppi, per altri si può chiudere un occhio, per altri ancora non si accettano scuse e la corsa è illecita anche in piena campagna. Le reazioni dei multati sono inevitabili e anche i ricorsi.

Quando l’interpretazione letterale da sola non basta, ci sono altri
criteri che bisogna invocare. Le norme devono essere interpretate seguendo la loro “ratio” ovvero la finalità, avendo sempre ben presente il bene giuridico tutelato. Occorre poi allargare lo sguardo e ricostruirne il significato all’interno del contesto più ampio delle altre norme e dei principi che regolano quella materia.

La ratio della norma per valutare le distanze
Molte ordinanze regionali hanno ridotto a 200 metri dall’abitazione lo
spazio entro il quale è possibile correre o passeggiare, avendo sempre
cura di mantenere la distanza di un metro dalle altre persone. Ma da
soli i numeri non bastano e anche quelli rischiano di essere
opinabili. Come si calcolano? In linea d’aria? Chi li misura e come?

Per interpretare questo concetto dovrebbe venirci in soccorso la ratio di tutte le norme emergenziali che è quella di evitare le possibili occasioni di
contagio. Occorre quindi contestualizzare il concetto di prossimità e
applicarlo al caso concreto. Chi abita in aperta campagna e viene sorpreso a passeggiare a 500 metri da casa può essere multato? In teoria sì, ma la sanzione contrasterebbe con la ratio della norma. Se nell’area circostante non ci sono abitazioni e la persona sta passeggiando senza arrecare alcun danno, neppur potenziale ad altri, la norma nel suo complesso non può considerarsi violata.

E allora cosa si fa? Le norme emergenziali devono necessariamente essere applicate col metro del buon senso al fine di non privarle di autorevolezza.
Una legge applicata violando la sua finalità rischia di essere pericolosa perché non percepita come autorevole dai suoi destinatari.
Non si potrebbe allora più fare affidamento sulla collaborazione dei
cittadini, svuotandone del tutto la funzione generalpreventiva.

La responsabilità pratica della corretta applicazione delle numerose norme di queste ultime settimane è allora tutta nelle mani degli accertatori che dovrebbero seguire dei protocolli omogenei, al fine di non creare pericolose disparità di trattamento, derivanti da interpretazioni difformi affidate al giudizio del singolo.

La procedura per fare ricorso
Nell’attesa, ai più non resterà che opporsi alle sanzioni.
Il Dl 19 dello scorso 25 marzo ha depenalizzato tutte le
violazioni commesse fino a quella data. Tutto da rifare. Chi ha
violato le regole in precedenza pagherà una multa ridotta di 200 euro,
per gli altri la sanzione va da 400 a 3mila euro. Però se si paga
entro 30 giorni verrà accordato lo sconto del 30 per cento.

Entro trenta giorni, con termini sospesi fino all’11 maggio, sarà
possibile difendersi, inviando una memoria alla Prefettura
competente, va bene anche a mezzo Pec. L’interessato può chiedere poi
di essere sentito. A quel punto il Prefetto, se non dovesse ritenere
di archiviare la procedura, dovrà emettere l’ordinanza ingiunzione.

Entro 30 giorni dalla notifica dell’ordinanza, il presunto
trasgressore potrà fare ricorso al giudice monocratico del luogo dove
è stata commessa l’infrazione. Un iter lungo che nei prossimi mesi, dedicati al rilancio del Paese, rischia di concentrare risorse ed energie nell’interpretazione di norme emergenziali, già messe a dura prova nella loro tenuta pratica. (Ilsole24ore)

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