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Melfa: lettera al Presidente della Repubblica

Gela – “Sono Maurizio Melfa di 49 anni, imprenditore gelese da oltre 25 anni, figlio orgoglioso di questa terra malata, complessa per chi vuole operare con altruismo, disgraziata per chi vuole un vero sviluppo economico, sociale e culturale. 

Non voglio soffermarmi sulla mia storia personale e aziendale perché non è mio interesse autocelebrarmi ma sento, fortissimo dentro di me, il dovere morale di raccontare quanto accaduto perché, sin da piccolo, la vita mi ha insegnato a non subire le storture di un sistema senza combattere.

Purtroppo oggi i diritti costituzionali vengono quotidianamente calpestati ad opera di chi, invece, dovrebbe garantirli e difenderli ed è per questo che mi rivolgo a Lei, garante della Costituzione della Repubblica Italiana, affinchè Le giunga un grido disperato che proviene dalla nostra terra.

Da troppi anni, ormai, imprenditori e cittadini sono costretti a vivere passivamente le lentezze della giustizia italiana ma, ancora peggio a patire gravissimi errori giudiziari, e poco importa se esistono tre gradi di giudizio perché in questo sistema anche solo la semplice indagine, ha già valore di condanna morale, sociale de economica propria e dell’azienda che si rappresenta.

Non vige più il principio di “presunta non colpevolezza” ma quello secondo cui “un rinvio a giudizio non si nega a nessuno”.

Sono migliaia i casi di uomini sbattuti in prima pagina come mostri solo per un avviso di conclusione delle indagini che, invece, dovrebbe essere uno strumento a garanzia dell’indagato.

Appare ormai evidente che non vi sia la consapevolezza di tutto ciò; appare chiaro che una parte dello Stato non si rende conto che condannare un innocente rappresenta il fallimento del sistema costruito dai padri costituenti.

Ed è ancor più grave che lo Stato, che dovrebbe concentrarsi per lo sviluppo economico di un territorio abbandonato e depresso, invece colpisca quegli imprenditori che spendono la propria vita per la collettività, lasciandoli soli e rendendoli ancora più deboli e impauriti.

Chi Le scrive è stato costretto, sin da piccolo, a difendersi dai criminali attivando un percorso proteso al superamento di questa paura, ma paradossalmente oggi non temo più la criminalità ma lo Stato.

La mafia e la criminalità possono e devono essere combattute ma come ci si può difendere dagli uomini dello Stato che commettono errori? Non sarà certamente una assoluzione nei gradi di appello, dopo molti anni a restituire il maltolto ad un uomo perbene.

Nella mia vita avevo anche deciso di servire la mia città, prima ricoprendo il ruolo di assessore per un paio di mesi e poi candidandomi a Sindaco e, proprio in quell’occasione, ho capito quanto basta poco per distruggere la storia quarantennale di un imprenditore o di un’azienda, la storia di intere famiglie.

In quel momento ho capito come basti l’errore di un singolo servitore dello Stato per trasformare la vita di un padre in un incubo, ho dovuto lottare contro un fantasma che non si può combattere perché il sistema non ti dà gli strumenti.

È addirittura inimmaginabile che un uomo possa trovarsi magari indagato solo per avere stretto una mano o salutato un cittadino in campagna elettorale.

Può uno Stato accettare che un imprenditore si suicidi perchè la propria azienda è stata eliminata, erroneamente, dall’elenco white list?

Può lo Stato accettare che un imprenditore che ha speso centinaia di migliaia di euro per attività sociali venga condannato per tali attività? 

Io, come tanti altri miei colleghi in tutta Italia, ho deciso di spendermi per la mia terra con azioni concrete: basti pensare che da solo sto recuperando per la mia città, un palazzetto dello sport intitolato al giudice Rosario Livatino, vittima della mafia, struttura chiusa da anni e che oggi diverrà di nuovo punto di riferimento per migliaia di giovani.

Ebbene, per queste attività di solidarietà e di vicinanza al territorio ho ricevuto una condanna ad 1 anno e 2 mesi.

Da stamani mi ronza in testa una frase che tanti miei concittadini e colleghi imprenditori in questi anni mi hanno sempre detto: “ma perché fai tutto questo per la Città? Ma chi te lo fa fare?”  Il solo fatto di pormi, da oggi, questa domanda mi fa rabbrividire e mi sconforta.

Oggi ho dato le dimissioni e da domani mattina non sarò più Presidente della squadra di Basket, non potrò più sostenere la squadra di calcio e tutte le altre associazioni culturali, sportive e sociali fino ad oggi supportate.

Sono abituato a non stare zitto dinanzi alle angherie subite e oggi ho il coraggio e la forza di parlare anche per tutti quegli imprenditori rovinati da errori giudiziari o anche da semplici fughe di notizie o segnalazioni.

Voglio rappresentarLe la paura di noi imprenditori, la paura di investire, la paura di fare, la paura anche di parlare al telefono, con il rischio che qualcosa venga interpretato più o meno discrezionalmente.

La paura di quegli imprenditori che si ritrovano attenzionati dall’autorità giudiziaria solo per aver dato lavoro ad un ragazzo per levarlo dalla strada e liberarlo da un sistema criminale.

Ci hanno trasformato in conigli impauriti.

L’intelligenza, la coscienza e la verità dovrebbero far sì che si comprendessero gli effetti di quanto sopra, lo Stato dovrebbe capire che tutto ciò è una vera e propria “strage economica, sociale oltre che culturale” di un territorio perché, evidentemente, significa scoraggiare chiunque voglia investire e credere nella propria città, nella propria terra.

Questo vale per gli imprenditori ma anche per coloro che ricoprono cariche pubbliche ormai impegnati più a difendersi dalle decine di indagini che a lavorare per la comunità.

Non accetterò mai questo stato di cose. 

Non voglio, non posso e non devo avere paura né di fare, né di pensare, né di parlare al telefono, né di incontrare qualunque persona; non voglio avere paura di investire, nè di fare il mio lavoro.

Il sistema legislativo e giudiziario dovrebbe avere il compito di proteggere i cittadini, gli imprenditori onesti e chiunque voglia dare il proprio contributo alla Res Publica non l’esatto contrario.

Le sentenze non si commentano ma si appellano ed è quello che farò ma occorre che, da oggi in poi, lo Stato non crei nuove vittime, non distrugga ulteriori territori, non massacri aziende sane e floride, non abbandoni altri onesti imprenditori.

Quindi, caro Presidente, confido vivamente in un suo intervento forte, efficace, autorevole in difesa della Costituzione e degli uomini liberi.

Caro Sig.Presidente, io ho deciso di non arrendermi, e confido nel suo aiuto”.

 

Gela, li    24.02.2021                        Maurizio Melfa

                         Imprenditore libero di Gela

 

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