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La linguista Gueli interpreta Dante come fautore dell’ identità linguistica

Niscemi – Una passeggiata incantata nei gironi dell’inferno dantesco e nel monte del purgatorio per svelare all’uditorio numeroso ed attento quanto l’uomo si possa identificare attraverso il logos. L’ UniTre di Niscemi diretto da Maria Grazia D’Agostino, ha scelto la prof. Agata Gueli per assistere ad una lectio su ‘Dante e la nascita della volgar lingua’. Il pubblico la conosce come la dirigente coriacea e volitiva, immersa nei temi attuali e avanguardisti della scuola e l’abbiamo riscoperta come la fine linguista capace di trascinare l’uditorio in un mondo sospeso fra l’onirico e la cultura dalla quale nasce l’identità culturale del popolo italiano, come di ogni popolo. I lavori sono stati introdotti dalla presidente dell’UniTre e dal sindaco Massimiliano Conti. Con i versi dell’eterno poeta la linguista Gueli ha trascinato il pubblico nella fantasia del mondo di Dante per dimostrare la tesi della lingua come elemento di identità culturale. “….la tua loquela ti fa manifesto di quella nobil patrïa natio, a la qual forse fui troppo molesto”. “Il tuo modo di parlare ti svela, originario di quella nobile patria, alla quale forse [io] fui troppo gravoso”. In questo consiste il fulcro della dissertazione. Il sesto cerchio dell’Inferno viene descritto in un canto dinamico: il decimo. Siamo tra gli eretici,  gli epicurei. Dante viene fermato all’improvviso da un’anima destinata a giacere per l’eternità dentro un sepolcro infuocato. E’ Farinata degli Uberti, un ghibellino di Firenze che dall’accento udito riconosce in Dante un concittadino e, pieno di pathos, lo chiama accoratamente per parlargli. Viene descritta l’emozione di questo uomo che, pur stravolto dalla sofferenza della pena a cui è sottoposto, prova ancora un attaccamento fortissimo nei confronti della sua, della nostra città.

“In un momento storico in cui spesso si confondono i termini di identità e radici – dice la Gueli –  Dante ci offre l’opportunità di fare una profonda riflessione essendo sempre attuale. Un popolo si riconosce dalla sua identità culturale che passa attraverso una koine’ linguistica. L’Italia è tale perché unirà un unico idioma pur nella diversità dei tanti diletti che pullulano l’isola. Si riconoscono fratelli di una stessa terra attraverso la lingua comune cosi nel decimo canto dell’inferno farinata degli Uberti. Riconosce Dante perchè parlano la stessa lingua: entrambi toscani. Farinate altero e sdegnoso, ghibellino e nemico di Dante. Così come nel canto del purgatorio il poeta Sordello da Goito, abbraccia con affetto Virgilio perchè entrambi mantovani” .

Dante spiega che quando finisce il gioco della zara, il perdente resta solo e impara a sue spese come comportarsi nella prossima partita, mentre tutti si affollano intorno al vincitore, attirando la sua attenzione; quello non si ferma, ma si difende dalla calca dando retta a tutti e porgendo la mano all’uno e all’altro. Lo stesso fa il poeta attorniato dalle anime dei morti per forza, rivolgendosi ora a questo ora a quello, e si allontana promettendo. Tra le anime c’è quella dell’Aretino che fu ucciso da Ghino di Tacco e Guccio de’ Tarlati che morì annegato; ci sono Federico Novello e il pisano che fece sembrare forte il padre Marzucco; ci sono il conte Orso degli Alberti e l’anima di Pierre de la Brosse, che dice di essere stato ucciso per invidia e non per colpa, per cui Maria di Brabante dovrebbe pentirsi per evitare di finire tra i dannati.

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