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I bagni greci dietro un cancello chiuso

Gela – Da qualche mese uno degli ingressi dell’area retrostante l’ospedale dove ha sede l’Ipab Antonietta Aldisio, è chiuso. Il cancello dal quale si accede anche ai bagni greci è stato ristrutturato, insieme alla facciata ma interdetto ai cittadini. I custodi che ogni mattina sorvegliano le aree di pertinenza del Parco archeologico di Gela se ne sono accorti ed hanno riferito alla dirigenza. Immediato è stato il sopralluogo del personale del Museo archeologico che ha chiesto spiegazioni visto che i reperti archeologici custoditi in quell’area sono di competenza del Parco archeologico museale. La dirigenza della nuova gestione dell’Ipab ha spiegato che, nell’ottica di tutelare gli ospiti della Casa di riposo da ingerenze esterne è stato deciso di chiudere il cancello ed ha consegnato le chiavi al personale del Museo che restano i custodi istituzionali. Da anni infatti gli ingressi selvaggi hanno creato imbarazzo alla struttura che resta l’unica tutrice degli anziani che vi risiedono. Resta il problema della fruizione libera dei bagni greci.  “Per il momento – spiega il direttore del Parco archeologico, arch. Luigi Gattuso – abbiamo convenuto con la dirigenza dell’Ipab di apporre un manifesto ben visibile in cui si informano i visitatori di suonare al campanello e verrà loro aperto. Resta inteso che in vista della nuova stagione troveremo una nuova soluzione per rendere agevole la fruizione del sito archeologico che deve essere fcolmente visitabile”. Non è escluso che venga realizzato un progetto per un cancello interno che lasci fuori i bagni greci, in maniera a proteggere la struttura da auto selvagge e visite indesiderate e, nel contempo, lasciare libero l’ingresso per potere vedere l’importante vestigia risalenti al V secolo a.C.

 

I Bagni greci di Gela sono degli stabilimenti termali venuti alla luce nel 1957, in prossimità dell’Ospizio di Mendicità, in via Europa, Caposoprano, datati all’epoca ellenistica.Come per tutto il resto della città i Bagni furono demoliti nel 282 a.C., a seguito della conquista da parte del tiranno agrigentino Finzia.

Il complesso è costituito da due ambienti, in origine separati da una parete di mattoni di argilla cruda probabilmente intonacata, coperti da un tetto di tegole di terracotta, seguendo una tecnica edilizia molto diffusa in città sin dalle origini (vedi ad esempio l’area archeologica di Bosco Littorio).

Il primo dei due ambienti (situato a nord-ovest) è caratterizzato da due gruppi di vasche disposte radialmente intorno ad uno spazio centrale e collegate da un sistema di refluo delle acque. Il primo di questi due gruppi ne contava 14, di cui oggi ne sono andate perdute due soltanto, disposte a ferro di cavallo e realizzate sul tipo greco a sedile; avevano inferiormente una concavità emisferica che doveva servire a raccogliere facilmente l’acqua per svuotare la vasca dato che, mancando il foro di scarico, ciò avveniva a mano. Il materiale usato per le vasche per lo più è un conglomerato cementizio formato prevalentemente da frammenti fittili e detriti in arenaria, mentre in alcuni casi (le vasche del tratto occidentale) sono interamente in terracotta e portatili (forse appartenenti allo stesso periodo del pavimento e come questo appartenenti al periodo più antico). Il secondo gruppo è costituito da 22 vasche disposte a cerchio intorno ad un pavimento in conglomerato, ma sono tutte mancanti della metà superiore, forse perché mai completate.

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