Attualita

Gli auguri del vescovo Gisana

L’incarnazione del Verbo in Gesù di Nazareth, che ricordiamo con la festa di Natale, costituisce
per il cristianesimo un momento di riflessione importante. Essa rammenta un evento creduto,
unico e irrepetibile, oltre al fatto che la sua manifestazione, nella concretezza di un bambino
presso la mangiatoia di Betlemme, lascia stupiti e perplessi. Nasce infatti spontanea la domanda
sul valore che questa vicenda, ammantata di segni straordinari, ha per la società odierna. Si
pensi, per esempio, al modo con cui Maria diventa la madre di Gesù, come pure tutto quello
che è descritto nei racconti dell’infanzia sia canonici, nella duplice versione di Matteo e Luca,
che extra-canonici, come il Proto-vangelo di Giacomo. Ciò propende a dimostrare che nel
cosiddetto tempo della pienezza (cfr. Gal 4,4) sia accaduto qualcosa di eccezionale da fare
memoria: un bisogno particolarmente sentito che fonda nella maggior parte le ragioni della
propria fede. È la forza evocativa di un racconto eccezionale che continua a sollecitare
cambiamenti di vita, a ripensare l’umano da angolature diversificate, a proporre gestualità
solidali che tengano conto delle differenze.
Seppure è difficile capire il senso di quello che è accaduto all’uomo Gesù, vale la pena
questionare sul dato che ci offre l’evangelista Luca con la sua puntualizzazione: «oggi, nella
città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11). L’enfasi di
quest’annuncio, come si evince dall’avverbio di tempo «oggi», cade sulla temporalità
dell’evento. Tale riferimento allude a quanto afferma Papa Francesco in Evangelii gaudium al
n. 222: «Il tempo è superiore allo spazio», secondo cui la nascita di Gesù, verificatasi in un
preciso spazio della storia ebraica, si sottopone al corso della temporalità che consente
all’evento dell’incarnazione di esprimersi in processo. È il senso della salvezza lucana. Quello
che è accaduto a Betlemme è certamente un evento strabiliante, rivelativo del modo di essere
di Dio; ma è pure assoggettamento al tempo della storia, dal quale si capisce che Dio entra
fisicamente nell’esistenza dell’umanità, lasciando che l’evento avvii processi. L’incarnazione
del Verbo si inserisce nel compimento degli atti rivelativi di Dio e svolge un’operazione
interessante che permette di affermare la sua mediazione in ordine alla salvezza.
Il primo grande momento di questo processo è lo svelamento della natura di Dio, la sua
natura relazionale, conosciuta, per mezzo di Gesù, nella mutua accoglienza trinitaria. Il Verbo
che si fa carne (cfr. Gv 1,14) avvia infatti questo processo per l’umanità. L’intima comunione
trinitaria non interessa soltanto la conoscenza del mistero di Dio; essa è sussistente in
riferimento alla condizione primigenia dell’umanità che custodisce l’immagine di Dio (cfr. Gen
1,26-27), per incarnarla nella dimensione della relazione fraterna. Non si potrebbe capire il
senso dell’esortazione alla fratellanza universale, senza quest’atto rivelativo, irrepetibile che è
l’inserimento di Dio nella storia dell’umanità. Ciò non significa che egli non abbia, fin dalla
fondazione del mondo (cfr. Ef 1,3), accompagnato l’esistenza umana. Egli è sempre stato,
nonostante la preconizzazione tardiva dei profeti, il Dio con noi che assiste, guida, determina,
in dialogo con l’umanità nella sua libera e condiscendente scelta. Ma l’incarnazione del Verbo,
se da una parte ha confermato un interesse travolgente di Dio per l’umanità decaduta, dall’altra
ha segnato un evento che svela il moto di un processo: Dio entra nella storia dell’umanità per
condividere, assumere, partecipare: è la forma di una compromissione mai accaduta, dalla quale
l’umanità impara a comprendere che la prossimità di Dio, al di là di ogni aspettativa, è
eliminazione di ogni distanza. Benché egli sia l’onnipotente, non dimenticando l’opera
creatrice, l’incarnazione attua una modalità di relazione inaudita che rivela il senso
dell’onnipotenza divina. Dio è il pantocratore (onnipotente), che, a partire dalla nascita di Gesù,
determina una speciale forma di accompagnamento, una sorta di totale condivisione che
soltanto chi è dentro la storia può realizzare: Dio è colui che trattiene tutto (panto-krateō),
trattiene in sé stesso l’umanità dalle decadute peggiori, indirizzandola, nel rispetto del libero
arbitrio, verso il sommo bene.
Con l’incarnazione del Verbo si avvia ancora un altro processo: la consapevolezza
dell’alterità. Direbbe M. de Certeau: «mai senza l’altro», cioè mai senza colui che, per la sua
diversità, fonda il senso della relazionalità: l’uno verso l’altro in mutua accoglienza. Non si può
infatti vivere senza l’altro, senza questa vitale apertura che difende e nutre il dinamismo vivente
dell’umanità. Se essa decidesse di ritorcersi in sé stessa, emarginando, segregando, eliminando,
correrebbe il rischio di implodere nel suo stesso bisogno. È quello che purtroppo si intravede
nelle affezioni peggiori: solitudine, paura, diffidenza, le quali stanno stravolgendo il nostro
modo di stare assieme, la condizione di fraternità e sororità in cui sussiste l’umanità. La nascita
di Gesù si colloca invece dentro un altro orizzonte, ove si capisce che l’altro è un dono
importante, decisivo per la nostra esistenza. La sua presenza, ispiratrice di diversità, non è solo
motivo di arricchimento – sarebbe un rapporto di tornaconto, seppur valido per la salvaguardia
dell’umanità – ma senso di completamento per la nostra ragione d’essere.
Il Natale è una festa in cui si desidera stare assieme, incontrarsi, ritrovarsi con le persone
care: una festa in cui questo nobile sentimento di alterità nasce spontaneo. È lo spirito del Natale
che ci coinvolge, ci trascina, ci educa e, al di là dei tanti egoismi che continuiamo a disseminare,
sentiamo il bisogno di riconciliarci con l’altro. Questo sentimento natalizio – magari
riuscissimo a farlo diventare stile di vita –, scaturisce dall’onda messianica di Gesù, la cui
nascita ci esorta a ripensare in modo serio l’importanza dell’altro, della sua esistenza nelle
nostre relazioni. Questo processo di alterità, che l’incarnazione del Verbo ha avviato, ci riporta
ovviamente alla relazione primordiale, quella con Dio, l’Altro per antonomasia. Dal momento
in cui egli si è rivelato, cioè dall’istante in cui abbiamo percepito e, mediante l’incarnazione,
abbiamo imparato a constatare la sua esistenza dentro la nostra storia, è mutata l’idea che
avevamo di Dio e soprattutto è mutato il modo con cui dovremmo rapportarci con l’altro,
considerando che l’alterità, quella che si apprende dalla relazione trinitaria, è accoglienza
dell’altro nel nostro spazio di vita.
✠ Rosario Gisana

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