Attualita

Condannato il Comune di Gela: la dipendente non si era allontanata durante l’orario di lavoro

Il Giudice del Lavoro Vincenzo Accardo del Tribunale di Gela, disattesa ogni ulteriore domanda, eccezione e difesa, definitivamente pronunciando nel procedimento in epigrafe indicato, così statuisce:
accoglie il ricorso; dichiara l’illegittimità della sanzione disciplinare impugnata, che per l’effetto
annulla;
condanna parte resistente a corrispondere alla ricorrente la retribuzione non
erogata in conseguenza della sanzione disciplinare illegittimamente disposta;
condanna il Comune di Gela, in persona del suo legale rappresentante pro
tempore, al pagamento, in favore di parte ricorrente, delle spese processuali, che si
liquidano nell’intero in complessivi € 1.950,00 per compensi, oltre spese forfettarie al
15%, CPA e IVA, come per legge; condanna il Comune di Gela al pagamento in favore di parte ricorrente, ai sensi
dell’art. 96, comma 3, c.p.c., per le ragioni di cui in parte motiva, dell’ulteriore somma
complessiva di € 1.000,00.

Il ricorso depositato il 27 gennaio 2020, Agatina Ragonesi ha proposto ricorso
avverso la sanzione disciplinare del 16 ottobre 2019 (prot. U.P.D. ris. n.60) della multa di
quattro ore di retribuzione, prevista dall’art. 59 co. 3 lett. a) CCNL Enti locali del 21 maggio 2018, rassegnando le seguenti conclusioni: “annullare, per i motivi di cui in narrativa, il provvedimento di sospensione cautelare senza stipendio disposta in danno della ricorrente dal Dirigente del Settore Demografico del Comune di Gela (n. 102603 del 26 settembre 2019, doc. all.to n. 1 indice delle odierne produzioni), disponendo, in ogni caso, per la reintegrazione stipendiale in favore della ricorrente (comprensiva di oneri e contributi previdenziali e assistenziali come per legge), limitatamente all’intero periodo di vigenza del provvedimento sopra detto, con la conseguente condanna del Comune di Gela al pagamento, in favore della ricorrente, di tutti gli importi della retribuzione alla
medesima non corrisposti per effetto della vigenza del provvedimento sopra detto
(comprensivi di oneri e contributi previdenziali e assistenziali), oltre accessori e
rivalutazione come per legge, occorrendo anche previo annullamento, in parte qua, del
provvedimento prot. 111089 del 16.10.2019 della commissione per il procedimento
disciplinare – UPD del Comune di Gela (doc. all.to n. 3 indice delle produzioni); annullare
e/o revocare, in favore della ricorrente, il provvedimento conclusivo del procedimento
disciplinare cod. id. n. 22/2019, prot. 111089 del 16.10.2019 della commissione per il
procedimento disciplinare – UPD del Comune di Gela (doc. all.to n. 3 indice delle
produzioni), nella parte in cui dispone per l’irrogazione della sanzione della multa di ore
4 di retribuzione, in quanto illegittima e/o ingiusta per i motivi tutti di cui in narrativa”.
Con memoria del 22 gennaio 2021, si è costituito in giudizio il Comune di Gela,
chiedendo il rigetto del ricorso.
2. Fatti di causa.
Ai fini di una più agevole comprensione della decisione, appare opportuno
ricostruire brevemente i fatti oggetto di giudizio per come rappresentati, provati in via
documentale e incontestati tra le parti.
In data 26 settembre 2019, a seguito di segnalazione del funzionario responsabile
dei Servizi Demografici, Rita Psaila, e di verifica attraverso il sistema di rilevazione
elettronico delle presenze, alla ricorrente è stata contestata la violazione degli artt. 55-
quater, co. 1 lett. a), 3 d.lgs. n. 165/2001 e 57, comma 3, lett. a) del CCNL Enti Locali del
21 maggio 2018, per essersi allontanata ingiustificatamente dal posto di lavoro, dalle ore
08:00 alle ore 8:29, nella giornata del 24 settembre 2019 (cfr. contestazione di cui all’all. 1
di parte ricorrente).
Potendo l’illecito contestato ascriversi all’ipotesi di licenziamento disciplinare
senza preavviso, Ragonesi Agatina è stata sospesa in via cautelare dal servizio senza
stipendio, con contestuale avvio del procedimento disciplinare nei suoi confronti.
A conclusione dell’istruttoria svolta, il preposto U.P.D. ha revocato la sospensione
cautelare del servizio, irrogando la sanzione disciplinare della multa di 4 ore di retribuzione
(cfr. all. 3 di parte ricorrente).
In particolare, nel corpo del provvedimento amministrativo si dà atto che la
ricorrente, nel corso della propria audizione, ha dichiarato che, dopo aver fatto ingresso

municipio utilizzando l’apposito badge di rilevazione presenze, colta da improvviso
malore, è stata soccorsa dai colleghi presenti nell’atrio del palazzo municipale, i quali,
dopo averle offerto una bottiglietta d’acqua, l’hanno invitata “a prendere un po’ d’aria”,
perciò limitandosi a sostare vicino alla porta di ingresso del municipio “qualche minuto
appena, il tempo necessario per riprendersi, tant’è che già alle 8:30, si trovava a servire
l’utenza, in coincidenza con l’orario di apertura dell’ufficio al pubblico”; che tali
circostanze sono state confermate, in ogni loro aspetto, dai dipendenti intervenuti,
segnatamente Giuseppe Baresi, Nunzio Lo Porto e Francesco Paolo Conte; che la
funzionaria che aveva dapprima aveva denunciato l’assenza sul posto di lavoro “dalle ore
8:00, sino alle 8:29”, escussa nel corso dell’istruttoria, “non ha saputo fornire alcuna
notizia circa il momento in cui la Ragonesi Agatina è uscita dalla sede del Palazzo di Città
ed ha solo detto di poter riferire di averla vista fuori solo alle 8:27”.
A fronte delle risultanze probatorie acquisite, l’U.P.D., pur avendo preso atto che
“la prova di tale sua assenza è stata raggiunta solo per due minuti”, ha disposto
l’irrogazione della sanzione oggi impugnata.
3. Merito.
Ricostruita la vicenda in punto di fatto, parte ricorrente lamenta che, fronte degli
elemini acquisti dall’amministrazione procedente, la sanzione sia illegittima in quanto la
condotta della lavoratrice non assumerebbe alcun rilievo disciplinare e, ad ogni modo, in
subordine, sarebbe sproporzionata.
Il Comune di Gela ha resistito in giudizio, sostenendo che la sanzione trova il
proprio fondamento nell’effettiva ricorrenza materiale del fatto contestato e sulla assenza
di discrezionalità della pubblica amministrazione procedente a forte di una condotta di
falsa attestazione della presenza in servizio. In via gradata, ha domandato la
rideterminazione della sanzione ai sensi dell’art. 63 co. 2-bis d.lgs. n. 165 del 2001.
Ebbene, il ricorso è fondato.
Per giurisprudenza di legittimità costante, nel giudicare la congruità di una sanzione
disciplinare ai sensi degli art. 2106 e 2119 c.c., il giudice deve procedere a verificare di
ogni elemento caratterizzante il fatto concreto. Ciò determina che devono essere
considerate le modalità con cui si sono svolti i presunti fatti illeciti contestati, al fine di
valutare adeguatamente l’eventuale sussistenza e la gravità della condotta (cfr. Cassazione
civile sez. lav., 18/02/2000, n.1892).

Tale valutazione deve essere svolta, dunque, considerando la portata del fatto, le
circostanze del suo verificarsi, i motivi, nonché l’intensità dell’elemento volitivo
(Cassazione civile sez. lav., 13/01/2003, n.313).
Va, inoltre, rammentato che, come affermato anche dalla più recente
giurisprudenza, per “fatto contestato” debba intendersi non il “fatto materiale”, ma il “fatto
giuridico”, cioè non una mera condotta materiale (azione/omissione, nesso di causalità,
evento), ma una condotta imputabile e colposa, ai sensi dell’art. 2106 c. c., dovendosi
quindi trattare di un inadempimento disciplinarmente rilevante e astrattamente punibile.
Sicché, deve ritenersi esente da qualsiasi addebito, non soltanto l’ipotesi in cui il fatto non
si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente
accaduto, non abbia rilievo disciplinare o quanto al profilo oggettivo ovvero quanto al
profilo soggettivo della imputabilità della condotta al dipendente (cfr. ex multis Cass. n.
10019/2016 e Cass. n.12174/19).
Appare evidente come il confronto tra tali principi di diritto e il contenuto del
provvedimento datoriale faccia emerge l’infondatezza della sanzione disciplinare irrogata.
Invero, come sopra osservato, a seguito dell’attività istruttoria svolta dall’U.P.D., è
emerso che la ricorrente è uscita dalla casa comunale, sostando dinnanzi alla porta
d’ingresso, per solo due minuti, dalle 8:27 alle 8:29, in conseguenza di uno stato di
malessere improvviso.
Tale condotta non è connotata da alcuna rilevanza disciplinare.
In particolare, non può essere riscontrata la sussistenza dell’elemento soggettivo nel
comportamento oggetto dell’addebito mossole, posto che non può imputarsi alcuna
intenzione della lavoratrice di abbandonare il luogo di lavoro, essendo la stessa uscita
soltanto per “prendere un po’ d’aria” in conseguenza di un improvviso stato di malessere.
Per di più, ciò è avvenuto per un lasso di tempo ridottissimo, di appena due minuti,
che non ha impedito alla stessa di essere al proprio posto alle ore 8:30, al momento
dell’apertura dell’ufficio all’utenza. Sicché alcun danno può dirsi che la stessa ha arrecato
allo svolgimento delle attività della pubblica amministrazione, né tantomeno alla pubblica
immagine del Comune di Gela.
Pertanto, non può essere condivisa la posizione datoriale secondo la quale tale
comportamento integri un’ipotesi di inadempimento contrattuale per inosservanza dei
doveri sulla stessa gravanti.

tale punto di vista, appare paradossale che l’U.P.D., pur cosciente delle
circostanze evidenziate, abbia comunque deciso disporre la sanzione disciplinare oggetto di
odierno vaglio giurisdizionale.
Infatti, nel provvedimento impugnato si legge che “la condotta in questione è stata
originata dallo stato di prostrazione psicologica in cui versava la dipendete Rognesi”, che
“la prova della sua assenza dal luogo di lavoro è stata raggiunta solo per due minuti e ciò
esclude un danno grave di carattere erariale o di immagine da parte di questa P.A.”, che
“in ogni caso, al dipendente è rimasta nelle immediate vicinanze del pazzo di città, senza
per ciò manifestare un reale intento assenteistico”, e che, infine, “la sua condotta è
rimasta circoscritta all’orario in cui gli uffici sono chiusi al pubblico”.
Peraltro, lo stesso organo disciplinare, a sostegno della propria decisione ha
riportato una serie di pronunce della Suprema Corte che, evidentemente fraintese, sono
espressione di principi che avrebbero dovute indurre a ritenere irrilevanti le contestazioni
oggetto di addebito nei confronti di Ragonesi Agatina, in quanto fanno espresso
avvertimento di esaminare in concreto le modalità e il contesto in cui le condotte sono
avvenute, nonché invitano a riflettere sulla gravità oggettiva e soggettiva delle stesse.
Ancora appare del tutto pretestuosa l’affermazione che l’allottamento, si rammenti
di soli due minuti, “abbia però integrato la condotta tesa all’elusione dei sistemi di
rilevamento delle presenze” e che “ciò senza alcuna autorizzazione dirigenziale e senza
avere segnato tal sua assenza nell’apposito registro delle presenze”. Seguendo tale
ragionamento al ricorrente, infatti, per evitare qualsiasi rilievo disciplinare, pur in stato di
malessere fisico e psicologico, avrebbe dovuto, non si comprende in quale lasso di tempo,
in ordine di tempo: chiedere di essere autorizzata a lasciare la casa comunale, adoperare il
badge delle presenze e sottoscrivere il registro delle presenze.
In ragione di ciò la sanzione disciplinare appare illegittima e pertanto deve essere
annullata.
4. Lite temeraria.
La resistenza in giudizio del Comune di Gela integra, altresì, l’ipotesi di
responsabilità aggravata di cui all’art. 96 co. 3 c.p.c.
Secondo l’insegnamento della Suprema Corte “La responsabilità aggravata ai
sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., a differenza di quella di cui ai primi due commi della
medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige pur
sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di
avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo
sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la
mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel
suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento
processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua
richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed
alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la
palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione” (Cassazione civile sez. un.,
20/04/2018, n.9912).
Ebbene, è stato evidenziato al precedente punto di motivazione come parte
resistente, nonostante un chiarissimo quadro della vicenda oggetto di esame, abbia deciso
di sanzionare la condotta della lavoratrice che, per la dinamica in cui si è svolta, non poteva
che apparire giuridicamente priva di rilievo.
Il Comune di Gela, invece, piuttosto che prendere atto dell’errate conclusioni
dell’U.P.D., ha preferito resistere in giudizio, mentre avrebbe potuto annullare in autotutela
la propria decisione, con un sicuro risparmio anche per le casse dell’ente territoriale delle
spese di giudizio, invece di proseguire sino alla pronuncia di questo Tribunale, aggravando,
senza ragione, il carico di lavoro dell’Ufficio.
In tal senso, le difese odierne si sono limitate a sostenere la legittimità della
condotta datorile senza aggiungere alcun elemento nuovo alla vicenda oggetto di esame.
Stando così le cose, la sanzione a tale titolo irrogata deve ritenersi finalizzata
all’assolvimento di due obiettivi. In primo luogo, mira a sensibilizzare la pubblica
amministrazione resistente ad assumere le proprie determinazioni con maggiore accortezza.
In secondo luogo, serve a porre in luce come la risorsa giustizia non sia inesauribile e che
sia auspicabile come, nell’ottica deflattiva per cui è pensata la norma oggetto di
applicazione, l’autorità giudiziaria sia impegnata solo in ipotesi realmente controverse.
Perciò, in ragione del valore della controversia, unico parametro economico certo di
riferimento, ritiene questo giudice che la condanna per la lite temeraria debba essere pari a
€ 1.000,00.
5. Spese di lite.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo tenuto
conto della materia oggetto di causa, la complessità delle questioni di diritto affrontate, valore della controversia (tra € 1.100 ed € 5.200, siccome dichiarato da parte ricorrente),
secondo i parametri di cui al d.m. 55/2014.
P.Q.M.
Il Tribunale di Gela, in funzione di Giudice del Lavoro, disattesa ogni ulteriore
domanda, eccezione e difesa, definitivamente pronunciando nel procedimento in epigrafe
indicato, così statuisce:
accoglie il ricorso;
dichiara l’illegittimità della sanzione disciplinare impugnata, che per l’effetto
annulla;
condanna parte resistente a corrispondere alla ricorrente la retribuzione non
erogata in conseguenza della sanzione disciplinare illegittimamente disposta;
condanna il Comune di Gela, in persona del suo legale rappresentante pro
tempore, al pagamento, in favore di parte ricorrente, delle spese processuali, che si
liquidano nell’intero in complessivi € 1.950,00 per compensi, oltre spese forfettarie al
15%, CPA e IVA, come per legge;
condanna il Comune di Gela al pagamento in favore di parte ricorrente, ai sensi
dell’art. 96, comma 3, c.p.c., per le ragioni di cui in parte motiva, dell’ulteriore somma
complessiva di € 1.000,00.

 

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