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Strage di Licata: un caricatore intero per uccidere il fratello ed altre 2 pistole per il resto della famiglia.

E’ stata eseguita l’autopsia sul corpo di Diego Tardino, il 44enne ucciso con tutta la sua famiglia a Licata dal fratello, Angelo Tardino, 48 anni. Tra lunedì e martedì, si terranno anche le autopsie delle altre tre vittime.

I tempi dello svolgimento degli esami potrebbero dilatarsi a causa dell’alto numero di colpi di pistola che Angelo Tardino avrebbe sparato sul fratello Diego, sulla cognata Alexandra Angela di 40 anni, e sui nipoti Alessia e Vincenzo, di 15 e 11 anni. I corpi si trovano all’obitorio dell’ospedale di Agrigento. Angelo Tardino avrebbe sparato, contro il fratello Diego, quasi un caricatore intero. Poi, infatti, avrebbe utilizzato altre due pistole per colpire la cognata e i nipotini e poi spararsi due colpi alla tempia, nonostante il tentativo dei carabinieri di dissuaderlo.

«Io abito qui e lui sta sopra, vedevo la macchina e basta. Con Angelo parlavo poco: era per i fatti suoi, ci trattavamo poco». Parla l’83enne Vincenzo Tardino, padre di Angelo e Diego: i due fratelli divisi come Caino e Abele da una porzione di terreno lasciata disgraziatamente in eredità dall’anziano, e che è all’origine della strage familiare balzata alle cronache nazionali. Diego aveva chiamato il figlioletto maschio come lui che ora, pietrificato, non si dà pace e ragione: «Sei anni fa – racconta a Repubblica – ho donato i due ettari di terreno ai miei due figli, alla divisione hanno provveduto loro».

Da allora se n’era lavato le mani: «Non sapevo dei litigi, qui a casa mia non è arrivata notizia: non ho fatto interventi pacificatori perché non sapevo nulla, ma Angelo non era un violento». Eppure abitavano tutti accanto. Quel pezzetto di terra della discordia era diventato oggetto di ritorsioni e ripicche: per rifarsi dello scomodo accesso alla proprietà Angelo s’era  accaparrato una stradella che attraversa i due filari di serre, di cui il fratello pretendeva il diritto di passaggio: «Quella strada è solo mia», lo minacciava.

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