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Salvini prova a rompere il giocattolo moderato di Meloni, per paura di arrivare quarto.

Matteo Salvini rovina la festa a Giorgia Meloni, guest star al Forum Ambrosetti. Lei pregustava il trionfo a Villa d’Este: una comunicazione netta e univoca, senza le contraddizioni che vive il centrodestra, come una one woman band. Invece il capo leghista squaderna davanti alla platea interdetta degli imprenditori e banchieri le sue critiche alle sanzioni «inefficienti e inutili» alla Russia. Con tanto di slide («che è ’sta novità», sibila Meloni seduta al suo fianco) in cui sono riportate dichiarazioni dell’ex amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni e di imprenditori per i quali queste sanzioni danneggiano l’Italia, fanno il solletico a Putin, facendo guadagnare solo Stati Uniti e Norvegia.

Salvini precisa di non voler parlare d’altro perché questo tema è fondamentale per l’economia di tutta l’Europa. E non gli interessa se verrà ancora accusato di essere una spia della Russia: le cose vanno dette chiare e tonde, senza per questo cambiare all’Italia collocazione geopolica. Dunque le sanzioni non fanno danni ai sanzionati.

Meloni freme sulla sedia, lei che si gioca tutto sull’atlantismo, l’affidabilità in Europa. Salvini le rompe il giocattolo davanti all’establishment imprenditoriale e lei chiarisce che se noi dovessimo levare le sanzioni non servirebbe a un fico secco: «Gli altri vanno avanti lo stesso. Sfilarsi dall’Ucraina non è solo questione di credibilità. Sento ancora parlare di sanzioni sì o no, ma voi pensate davvero che l’Italia decida il conflitto in Ucraina? È la nostra posizione che decidiamo, non le sorti della guerra».

Allora, perché Salvini insiste e al posto di sottacerle ne fa il cuore del suo discorso, rovinandole la scena? A parte il fatto che a Roma direbbero che rosica perché una donna dal nulla gli ha rubato la premiership sotto il naso, il terrore di Salvini corre sui numeri dei sondaggi. Non sono il vangelo, tutt’altro: anzi, c’è una lunga casistica in Italia e all’estero che ci rende scettici. Le tendenze a favore del centrodestra tuttavia sono chiare, ma non è indifferente come si vince e chi vince di meno.

Ecco allora il Capitano leghista dimezzato prima sorpassato da Meloni, ora tallonato a stretto giro di ruota dall’odiato Giuseppe Conte. I sondaggisti, che non sono oracoli, danno i Cinquestelle destinati al terzo posto. Se Lega e Forza Italia dovessero uscire molto ridimensionati dal voto del 25 settembre, il prossimo governo sarebbe non un monocolore Fratelli d’Italia, ma il potere della presidente del Consiglio avrebbe un peso notevole. Potrà decidere chi guiderà i ministeri più importanti, chi gestirà i rapporti con l’Europa, chi farà le nomine che contano in Rai e le robuste nomine pubbliche. Se l’abbrivio sarà questo, poi si aprirà in prospettiva la partita delle europee del 2024. Meloni punta a far diventare i Conservatori stabilmente il terzo partito continentale e scavalcare anche a Strasburgo la delegazione leghista, ancora legata al gruppo estremista insieme alla Le Pen.

Si dirà che c’è ancora tanto tempo, più di un anno di governo, e con la tempesta chissà come ci arriverà Meloni alle europee, se sopravviverà alla sua stessa maggioranza, alle pretese da Ghino di Tacco di Silvio Berlusconi, convinto di potere essere lui il garante moderato del centrodestra.

Torniamo a Salvini, anzi andiamo a Cernobbio, dove ieri si sono presentati tutti i leader come a scuola per l’esame di fronte alla platea di industriali, banchieri e lobbisti. Tutti gli occhi sono puntati su Giorgia, che smorza, rassicura, mostra il profilo governativo per convincere chi è spaventato da quello che sta succedendo sul mercato dell’energia e dagli effetti sulla domanda causati dall’inflazione. Una platea preoccupata anche della guerra che non finisce, che ha prodotto embarghi e sanzioni senza ancora gli effetti sperati. Una platea che non si sbilancia su Meloni perché è un oggetto non conosciuto, che teme i venti speculativi, l’autarchia, lo stigma della nuova Ungheria del Mediterraneo.

Se gli organizzatori del Forum Ambrosetti avessero fatto un sondaggio anonimo tra gli imprenditori su chi vorrebbero presidente del Consiglio tra gli ospiti politici, Carlo Calenda molto probabilmente avrebbe vinto: l’applauso dopo il suo intervento non finiva più, è intervenuto il moderatore della tavola rotonda, il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, per riprendere il dibattito.

Antonio Tajani non pervenuto, come Silvio Berlusconi, che almeno in queste occasioni potrebbe almeno essere presente fisicamente. Giuseppe Conte in collegamento riceve, come sempre in quell’ovattata sala di Villa d’Este, un sentiment tiepido. Enrico Letta, che è di casa in questi ambienti più che davanti a Mirafiori, è stato ascoltato distrattamente: per anni è venuto sulle rive del lago di Como una volta come presidente del Consiglio e poi nella veste di professore di Sciences-Po. Ieri era il caro ma potenziale perdente, mentre Calenda è vissuto come la novità, l’ex collega ed ex manager un po’ pazzerello e avventuroso, che si misura con la politica, sgomitando a destra e a manca, meritevole di essere preso in considerazione.

Meloni è passata al microscopio perché probabile prossima interlocutrice a Palazzo Chigi. Così Salvini si sente il junior partner di una donna che gli sta facendo mangiare la polvere e vive l’angoscia del quarto posto. E quindi si sbraccia per recuperare terreno e l’unico modo non è ovviamente fare concorrenza a Conte, ma a Fratelli d’Italia. Li è fuggito il grosso dei voti leghisti in questi ultimi due anni.

È chiaro che deve radicalizzare il suo messaggio elettorale, ritornando ossessivamente sui temi forti dell’immigrazione: si presenta all’hot spot di Lampedusa che scoppia di migranti e si fa fotografare mentre allarga le braccia in segno di sdegno. Sul terreno delle tasse e delle pensioni promette il colpo di spugna alle cartelle esattoriali, la flat tax al 15% e quota 41. E spara scostamenti di bilancio da 30 miliardi per coprire il costo dell’energia a imprese e famiglie.

Nella sedia accanto di Villa d’Este, Meloni lo guarda di sottecchi e precisa che bisogna essere prudenti, la situazione dei conti pubblici è quella che è, si farà il possibile, ma non si promette la luna. Forse se ne rende conto anche Salvini, ma adesso la sua missione è non scivolare nella vergogna del quarto posto dopo Conte.

I voti glieli ha fregati Meloni e in piccola parte, da ultimo, Italiexit di Paragone, addirittura. Deve correre ai ripari, Salvini, approfittando dell’esigenza di Fratelli d’Italia di centrare il suo messaggio su toni e posizioni più moderate per accreditarsi, non preoccupare i mercati e non scatenare la speculazione sui nostri titoli di Stato. E perché sa, Meloni, che quello che l’aspetta fa tremare le vene ai polsi e non la fa dormire la notte. Ah, se Draghi fosse rimasto altri sei mesi a Palazzo Chigi a toglierle le castagne dal fuoco! Ora deve contenere Salvini, spiegare al direttore Fontana che la incalza sulle divergenze del centrodestra che loro hanno una visione comune sui grandi temi. Ma così non è. Soprattutto, deve mettere in conto che Salvini si gioca la segretaria se il suo risultato sarà vicino al 10%, mentre gli altri sono in risalita, compreso M5S.

A Cernobbio il leader leghista blandisce i presenti, dice che in sala ci sono almeno dieci imprenditori che potrebbero fare il ministro. Non vuole fare i nomi perché li «danneggerebbe». Meloni stringe i denti, di ministri non parla, finisce il suo intervento e si dilegua, evitando di dover rispondere ai giornalisti che voglio tempestarla di domande su Salvini il guastafeste. Mentre Matteo folleggia con la fidanzata Francesca Verdini tra i magnifici giardini di Villa d’Este. Esorcizzando il terrore di finire a metà classifica.(Linkiesta)

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