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‘Figli delle App’: l’ultimo studio di Francesco Pira

Il questionario, composto da diciassette domande, è stato definito proprio per indagare il rapporto con le tecnologie, computer e smartphone e l’utilizzo dei social durante il periodo del lockdown. I ragazzi e le ragazze delle scuole medie inferiori e superiori sono stati coinvolti attraverso i docenti, che hanno fornito loro il link al questionario online. La somministrazione è avvenuta nel periodo aprile – maggio 2020. La survey ha coinvolto in totale 1.858 studenti, di cui 712 maschi e 1146 femmine. Per quanto riguarda il livello scolastico, 1021 ragazze frequentavano le medie superiori e 125 le medie inferiori; i ragazzi appartenenti alle medie superiori erano 613 e 99 quelli che frequentavano le scuole medie inferiori.

 

Una generazione digitale

La fotografia che emerge dalle risposte fornite, ci mostra che la rivoluzione tecnologica è ormai compiuta e che gli adolescenti rappresentano a tutti gli effetti la prima generazione digitale. La tecnologia è parte integrante delle loro vite. Praticamente il 100% (96,6%) degli intervistati possiede uno smartphone e oltre l’80% (88,8%) ha un computer.

 

Adolescenti sempre più soli e fragili

Uno degli aspetti di maggiore interesse emerso è quello relativo alla tendenza a isolarsi rispetto all’ambiente familiare. I ragazzi raccontano di avere provato momenti di paura e di avere sentito moltissimo la mancanza degli amici. Nelle risposte al quesito dieci: Cosa ti manca di più? (quesito a risposta aperta) le considerazioni ruotano per la maggior parte intorno al tema dell’amicizia e dello stare fuori con gli amici. Le ragazze e i ragazzi utilizzano il sostantivo libertà riferito alla possibilità di uscire di casa. Uscire con gli amici, vedere gli amici, stare con…, tutte espressioni che raccontano di un bisogno di fisicità, che nel loro modo di relazionarsi si interseca senza soluzione di continuità con la connessione e l’interazione online. 

Una dipendenza dagli altri che, come è evidente da quanto emerge dal quesito, genera il paradosso di una forte sensazione di isolamento, paura e scoraggiamento, con oltre il 60% degli intervistati che dichiara di avere provato questo sentimento durante il periodo di lockdown. Gli adolescenti sono passati da vite super organizzate, fin troppo piene di attività, nelle quali la tecnologia e i social media giocano il ruolo di facilitatori della comunicazione, ad una situazione in cui la propria vita si racchiude tutta dietro uno schermo.

 

La pandemia e l’isolamento fisico sembrano avere acutizzato insicurezze e fragilità, sentimenti di paura e scoraggiamento alimentati dalla dipendenza dall’accettazione e approvazione da parte del gruppo di pari che si realizza solo nelle dinamiche social.

 

Vittime o spacciatori di fake news

Oltre il 99% dei ragazzi ha un profilo social; ma non è tanto questo che rappresenta un elemento critico o preoccupante, piuttosto le risposte danno conferma di quanto sia articolato e complesso il processo di vetrinizzazione in atto, e di come sia diventata centrale per i giovani quella vera e propria strategia della rappresentazione di se stessi al proprio pubblico.

Appare infatti approssimativo parlare di un generico profilo social, perché in realtà i giovani utilizzano diversi social media in funzione degli obiettivi di comunicazione e del pubblico a cui si rivolgono. E le risposte confermano che Instagram e Whatsapp sono i loro luoghi prediletti, il regno dell’immagine il primo, l’impero dell’immediatezza il secondo. 

C’è poi un ulteriore elemento che offre spunti di approfondimento, ed è quello relativo alla possibilità che i giovani intervistati avessero attivo anche un profilo social falso.

Il quesito ha ottenuto 544 risposte, e già questo è un dato significativo, solo il 29% ha risposto. Ma dato ancora più impressionante, il 69% di questi ha dichiarato di avere un profilo falso. Ciò porta a formulare alcune ipotesi. Una prima considerazione deriva dai processi di proliferazione della disinformazione, che hanno aperto la strada all’affermarsi di forme deviate di esercizio della libertà che si muovono nell’opacità dell’anonimato. Un secondo elemento, insito nel DNA stesso di un falso profilo, è l’interiorizzazione di una visione distorta del principio di tutela della propria privacy. Più in generale appare evidente, una volta di più, come nell’era liquido-moderna l’inganno sia diventato centrale nei processi di comprensione del reale, e la distinzione tra vero e falso non sia più percepita.

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